La crisi della Lega Nord non inizia oggi. Ma certo quella crisi oggi conosce un salto qualitativo e un possibile punto di svolta.
LEGA NORD: UN PARTITO DEL SISTEMA CONTRO I LAVORATORI
La Lega ha rappresentato negli ultimi 20 anni una parte costituente decisiva della Seconda Repubblica. Contro la sua autorappresentazione propagandistica di partito “antisistema”, la Lega ha costituito nei fatti uno strumento di governo fondamentale della borghesia italiana contro i lavoratori. Indipendentemente dalla mutevole collocazione parlamentare del Carroccio, tutte le misure più reazionarie assunte dal grande capitale e dai suoi governi contro il lavoro hanno avuto per decenni la firma della Lega o il sostegno della Lega. La Lega ha sostenuto 20 anni fa, dall'”opposizione”, la distruzione della scala mobile dei salari (92/93). Ha varato, come partito di governo alleato del centrosinistra, la controriforma contributiva della previdenza pubblica ( governo Dini '95). Ha gestito in prima persona, col ministro Maroni e in alleanza con Berlusconi, le più gravi misure di precarizzazione del lavoro di un intera generazione ( Legge 30, 2002). Ha infine gestito con l'ultimo governo del Cavaliere la straordinaria stretta sociale contro la scuola pubblica, la sanità pubblica, gli enti locali, in funzione del pagamento degli interessi alle banche ( finanziarie Tremonti 2008/9/10). Se “Roma è ladrona”- e sicuramente lo è ai danni del lavoro- Bossi e Maroni sono stati fra i suoi capobanda, non certo fra i suoi avversari.
La corsa di tanti commentatori borghesi in questi giorni a salvare l'immagine della Lega, a lodare “nonostante tutto” la sua “funzione storica per il Nord”, a esaltare il “genio” di un avventuriero ciarlatano come Umberto Bossi, è solo l'espressione giustificata di un debito di riconoscenza per il lavoro sporco compiuto dal Carroccio contro il proletariato italiano.
LA MITOLOGIA PADANA: DIVERSIVO DELL'IMMAGINARIO E CALMIERE SOCIALE
La capacità della Lega è stata quella di nascondere questo lavoro reale agli occhi di grandi masse, dietro la maschera di una mitologia immaginaria, ogni volta abilmente rinnovata. Sia al proprio interno con la produzione artificiale del mito farlocco della Padania e dei suoi riti, quale potente cemento identitario del proprio campo militante. Sia nella proiezione pubblica, con la sequenza propagandistica prima della “Secessione” e poi del “Federalismo”: ogni volta spostando in avanti l'orizzonte della Terra Promessa agli occhi di vasti settori di popolo, per aiutarlo a sublimare le proprie delusioni nel presente. La guerra della Lega ai migranti, col suo carico di cinismo, di crimini e di orrori, sta in questo quadro: è stata ed è la volontà di dirottare il malcontento sociale di ampi strati popolari- prodotto della crisi e delle politiche dominanti- contro le fasce più marginali del proletariato e delle masse oppresse, riprodotte e allargate da quelle stesse politiche e dalla crisi capitalistica internazionale. Anche qui la “cacciata dei migranti” all'insegna del motto “padroni in casa nostra” viene rappresentata come mito liberatorio: un altro giardino dell'Eden, da coltivare e innaffiare col veleno quotidiano della Xenofobia, per farlo fruttare nell'urna. E al tempo stesso un altro prezioso diversivo dell'immaginario, un altro potente calmiere sociale, in funzione della conservazione dell'ordine borghese e della sua miseria.
LA CRISI CAPITALISTA SMASCHERA L'ILLUSIONISMO LEGHISTA
Questo impasto reazionario da illusionisti da circo mostrava da tempo la propria usura. Nel momento della massima espansione del ruolo politico della Lega, a livello nazionale ( ultimo governo Berlusconi) e locale ( conquista di Piemonte e Veneto), iniziava paradossalmente la sua parabola declinante.
La grande crisi capitalista a partire dal 2008 presentava il conto alla Lega. Il salto delle leggi finanziarie straordinarie per inseguire il pagamento del “debito pubblico” colpiva pesantemente la base elettorale popolare della Lega, distruggendo la credibilità delle tradizionali promesse di riduzione fiscale per la piccola borghesia. Le politiche di taglio verticale dei trasferimenti pubblici verso Regioni e Comuni, imposte dall'emergenza finanziaria, da un lato smentiva nel modo più clamoroso la propaganda leghista del federalismo, mostrando un federalismo reale esattamente capovolto rispetto a quello immaginario; dall'altro minava le basi materiali del potere leghista sul territorio, riducendo i suoi margini redistributivi, e acuendo le contraddizioni interne del suo composito blocco sociale: mancanza di fondi per infrastrutture, crisi della piccola impresa, moltiplicarsi di vertenze aziendali sul territorio, dilagare della disoccupazione giovanile anche nel Nord. Lo scenario sociale del settentrione cambiava volto: e finiva col minare la credibilità dell' armamentario mitologico del Carroccio. La stessa presa tradizionale delle campagne d'ordine sulla “sicurezza” antimigranti si indeboliva a livello di massa: perchè ben altre urgenze materiali investivano la condizione popolare, segnate dalla rapina dei banchieri e dei capitalisti assai più che dal furtarello... di uno zingaro.
Negli ultimi tre anni, l' abbraccio mortale del berlusconismo e della sua crisi, le crescenti differenziazioni interne al leghismo con la fine del suo vecchio monolitismo, l'apertura di una vera e propria guerra di successione per il dopo Bossi, accompagnavano e scandivano una parabola declinante che aveva già, di per sé, robuste radici materiali.
LO SCANDALO LEGA: UN PARTITO BORGHESE “COME GLI ALTRI”
L'attuale scandalo che investe la Lega segna un indubbio salto di qualità. Perchè è una vendetta liberatoria della verità sul mito. Lo scandalo è innanzitutto la radiografia della miseria morale del massimo entourage dirigente della Lega: un impasto di familismo, nepotismo, affarismo, col contorno di ruberie, truffe penose e cartomanzie esoteriche. L'affresco ambientale è impietoso. Umberto Bossi, ex ministro delle “riforme istituzionali”(!), appare nelle vesti di protettore e garante di un figlio grullo e rampante, di una moglie avida e spregiudicata, di un tesoriere faccendiere già buttafuori. Mentre l'attuale vicepresidente del Senato ( Rosi Mauro), già improbabile sindacalista, emerge col volto di una fattucchiera parassita e ricattatrice. “Padroni a casa nostra” recitava lo slogan: ma pochi avevano pensato che la “casa” fosse quella di Bossi e dei suoi famigli. Che di ( cerchio) “magico” ha davvero assai poco.
Al tempo stesso lo scandalo va ben al di là del familismo privato di Gemonio. Getta un fascio di luce più ampio sulle relazioni materiali del leghismo con gli ambienti del capitale: la pista Belsito porta in Fincantieri, porta in Vaticano, porta alle cosche della ndrangheta calabrese, porta nei paradisi fiscali del riciclaggio internazionale. Non si tratta della personale spregiudicatezza di una “mela marcia”, peraltro da tutti tollerata e coperta sino all'esplosione dello scandalo. Si tratta dell'anatomia di un partito borghese “come gli altri”. Come gli altri, crocevia di guerra di cordate e di affari. Belsito è solo l'antropologia della Lega, quale ordinario partito borghese.
Ma proprio l'apparire “un partito come gli altri” agli occhi di chi lo aveva immaginato “diverso” costituisce per la Lega, più che per altri, un vero problema politico. Un partito che ha vissuto sulla falsificazione della propria realtà, che ha costruito il proprio mito su quella falsificazione, non può sottrarsi al processo della verità. Che può essere ben più severo di quello della magistratura.
GLI SBOCCHI INCERTI DI UNA CRISI STORICA
Non è possibile prevedere la dinamica della crisi della Lega. E sarebbe sbagliato, purtroppo, celebrare sbrigativamente il suo de profundis. La Lega conserva risorse militanti consistenti, dispone tuttora di un radicamento territoriale diffuso, ha margini di ricambio del proprio gruppo dirigente, dove l'ascesa di Maroni ( odioso ministro anti migranti) potrebbe, a certe condizioni, riabilitare in parte l'immagine.
Ma la possibilità di una frana a valanga del leghismo è per la prima volta presente. Per la prima volta- a differenza che nel 94- tutti i fattori della crisi del leghismo si presentano congiuntamente e in forma concentrata: crisi della sua base sociale, crisi di leadership al massimo livello, crisi di immagine pubblica, crisi di alleanze e prospettiva politica. Per la prima volta siamo di fronte ad una crisi storica del principale partito del blocco reazionario del Settentrione.
SOLO UNA SVOLTA DEL MOVIMENTO OPERAIO PUO' PRECIPITARE LA CRISI DELLA LEGA SINO AL PUNTO DI NON RITORNO
Questo punto d'analisi è ricco di implicazioni politiche per il movimento operaio. La crisi della Lega è un'occasione preziosa per liberarsi di anni di menzogne reazionarie contro i lavoratori e i settori più oppressi della società. L'obiettivo può e deve essere quello di lavorare per precipitare la crisi del leghismo oltre il punto di non ritorno: liberando innanzitutto dall'abbraccio leghista quei settori proletari del Nord che sono stati egemonizzati dalle suggestioni reazionarie di Bossi.
Ma questo lavoro di scomposizione del blocco sociale leghista richiede una svolta radicale di programma e di azione del movimento operaio.
Le fortune della Lega negli ultimi 20 anni sono state direttamente proporzionali alla crisi della classe operaia italiana, per responsabilità preminente delle sue direzioni. Se la rabbia di alcuni settori proletari del settentrione è stata ripetutamente capitalizzata dalle mistificazioni della Lega, ciò è avvenuto anche in ragione della subordinazione delle sinistre politiche e sindacali al grande capitale. Se oggi la Lega conserva nonostante tutto uno spazio potenziale di parziale recupero negli strati popolari, ciò è anche in ragione della presenza di un governo di Confindustria e Banche, retto dai liberali del PD, e aiutato dalle disponibilità sindacali.
Rompere con la borghesia, i suoi partiti, i suoi governi, è dunque la condizione necessaria per intervenire nella crisi profonda del leghismo da un versante di classe.
Solo una classe operaia che ritrova fiducia nella propria forza, che si pone al nuovo livello di scontro sociale imposto dal padronato e dal governo, che sa indicare un'alternativa anticapitalista e rivoluzionaria alla crisi capitalista, può polarizzare attorno a sé i più ampi settori proletari liberandoli da ogni subordinazione alla reazione.
Ma questa svolta richiede una nuova direzione politica e sindacale del movimento operaio italiano. Non una burocrazia dirigente della CGIL succube del PD e dunque del governo delle banche che il PD sostiene. Non sinistre cosiddette “radicali” ( da SEL a FDS) che continuano a inseguire il PD liberale per strappare al suo tavolo assessorati e ministeri, come già in passato. E neppure un antagonismo inconcludente senza progetto. Ma una sinistra rivoluzionaria antisistema, che non abbia altro interesse che la difesa del lavoro e la rivoluzione sociale. Che porti in ogni movimento di lotta un progetto di liberazione: la prospettiva di un governo dei lavoratori.
La costruzione del Partito comunista dei Lavoratori(PCL), trova una ragione in più nella crisi storica del leghismo.
LEGA NORD: UN PARTITO DEL SISTEMA CONTRO I LAVORATORI
La Lega ha rappresentato negli ultimi 20 anni una parte costituente decisiva della Seconda Repubblica. Contro la sua autorappresentazione propagandistica di partito “antisistema”, la Lega ha costituito nei fatti uno strumento di governo fondamentale della borghesia italiana contro i lavoratori. Indipendentemente dalla mutevole collocazione parlamentare del Carroccio, tutte le misure più reazionarie assunte dal grande capitale e dai suoi governi contro il lavoro hanno avuto per decenni la firma della Lega o il sostegno della Lega. La Lega ha sostenuto 20 anni fa, dall'”opposizione”, la distruzione della scala mobile dei salari (92/93). Ha varato, come partito di governo alleato del centrosinistra, la controriforma contributiva della previdenza pubblica ( governo Dini '95). Ha gestito in prima persona, col ministro Maroni e in alleanza con Berlusconi, le più gravi misure di precarizzazione del lavoro di un intera generazione ( Legge 30, 2002). Ha infine gestito con l'ultimo governo del Cavaliere la straordinaria stretta sociale contro la scuola pubblica, la sanità pubblica, gli enti locali, in funzione del pagamento degli interessi alle banche ( finanziarie Tremonti 2008/9/10). Se “Roma è ladrona”- e sicuramente lo è ai danni del lavoro- Bossi e Maroni sono stati fra i suoi capobanda, non certo fra i suoi avversari.
La corsa di tanti commentatori borghesi in questi giorni a salvare l'immagine della Lega, a lodare “nonostante tutto” la sua “funzione storica per il Nord”, a esaltare il “genio” di un avventuriero ciarlatano come Umberto Bossi, è solo l'espressione giustificata di un debito di riconoscenza per il lavoro sporco compiuto dal Carroccio contro il proletariato italiano.
LA MITOLOGIA PADANA: DIVERSIVO DELL'IMMAGINARIO E CALMIERE SOCIALE
La capacità della Lega è stata quella di nascondere questo lavoro reale agli occhi di grandi masse, dietro la maschera di una mitologia immaginaria, ogni volta abilmente rinnovata. Sia al proprio interno con la produzione artificiale del mito farlocco della Padania e dei suoi riti, quale potente cemento identitario del proprio campo militante. Sia nella proiezione pubblica, con la sequenza propagandistica prima della “Secessione” e poi del “Federalismo”: ogni volta spostando in avanti l'orizzonte della Terra Promessa agli occhi di vasti settori di popolo, per aiutarlo a sublimare le proprie delusioni nel presente. La guerra della Lega ai migranti, col suo carico di cinismo, di crimini e di orrori, sta in questo quadro: è stata ed è la volontà di dirottare il malcontento sociale di ampi strati popolari- prodotto della crisi e delle politiche dominanti- contro le fasce più marginali del proletariato e delle masse oppresse, riprodotte e allargate da quelle stesse politiche e dalla crisi capitalistica internazionale. Anche qui la “cacciata dei migranti” all'insegna del motto “padroni in casa nostra” viene rappresentata come mito liberatorio: un altro giardino dell'Eden, da coltivare e innaffiare col veleno quotidiano della Xenofobia, per farlo fruttare nell'urna. E al tempo stesso un altro prezioso diversivo dell'immaginario, un altro potente calmiere sociale, in funzione della conservazione dell'ordine borghese e della sua miseria.
LA CRISI CAPITALISTA SMASCHERA L'ILLUSIONISMO LEGHISTA
Questo impasto reazionario da illusionisti da circo mostrava da tempo la propria usura. Nel momento della massima espansione del ruolo politico della Lega, a livello nazionale ( ultimo governo Berlusconi) e locale ( conquista di Piemonte e Veneto), iniziava paradossalmente la sua parabola declinante.
La grande crisi capitalista a partire dal 2008 presentava il conto alla Lega. Il salto delle leggi finanziarie straordinarie per inseguire il pagamento del “debito pubblico” colpiva pesantemente la base elettorale popolare della Lega, distruggendo la credibilità delle tradizionali promesse di riduzione fiscale per la piccola borghesia. Le politiche di taglio verticale dei trasferimenti pubblici verso Regioni e Comuni, imposte dall'emergenza finanziaria, da un lato smentiva nel modo più clamoroso la propaganda leghista del federalismo, mostrando un federalismo reale esattamente capovolto rispetto a quello immaginario; dall'altro minava le basi materiali del potere leghista sul territorio, riducendo i suoi margini redistributivi, e acuendo le contraddizioni interne del suo composito blocco sociale: mancanza di fondi per infrastrutture, crisi della piccola impresa, moltiplicarsi di vertenze aziendali sul territorio, dilagare della disoccupazione giovanile anche nel Nord. Lo scenario sociale del settentrione cambiava volto: e finiva col minare la credibilità dell' armamentario mitologico del Carroccio. La stessa presa tradizionale delle campagne d'ordine sulla “sicurezza” antimigranti si indeboliva a livello di massa: perchè ben altre urgenze materiali investivano la condizione popolare, segnate dalla rapina dei banchieri e dei capitalisti assai più che dal furtarello... di uno zingaro.
Negli ultimi tre anni, l' abbraccio mortale del berlusconismo e della sua crisi, le crescenti differenziazioni interne al leghismo con la fine del suo vecchio monolitismo, l'apertura di una vera e propria guerra di successione per il dopo Bossi, accompagnavano e scandivano una parabola declinante che aveva già, di per sé, robuste radici materiali.
LO SCANDALO LEGA: UN PARTITO BORGHESE “COME GLI ALTRI”
L'attuale scandalo che investe la Lega segna un indubbio salto di qualità. Perchè è una vendetta liberatoria della verità sul mito. Lo scandalo è innanzitutto la radiografia della miseria morale del massimo entourage dirigente della Lega: un impasto di familismo, nepotismo, affarismo, col contorno di ruberie, truffe penose e cartomanzie esoteriche. L'affresco ambientale è impietoso. Umberto Bossi, ex ministro delle “riforme istituzionali”(!), appare nelle vesti di protettore e garante di un figlio grullo e rampante, di una moglie avida e spregiudicata, di un tesoriere faccendiere già buttafuori. Mentre l'attuale vicepresidente del Senato ( Rosi Mauro), già improbabile sindacalista, emerge col volto di una fattucchiera parassita e ricattatrice. “Padroni a casa nostra” recitava lo slogan: ma pochi avevano pensato che la “casa” fosse quella di Bossi e dei suoi famigli. Che di ( cerchio) “magico” ha davvero assai poco.
Al tempo stesso lo scandalo va ben al di là del familismo privato di Gemonio. Getta un fascio di luce più ampio sulle relazioni materiali del leghismo con gli ambienti del capitale: la pista Belsito porta in Fincantieri, porta in Vaticano, porta alle cosche della ndrangheta calabrese, porta nei paradisi fiscali del riciclaggio internazionale. Non si tratta della personale spregiudicatezza di una “mela marcia”, peraltro da tutti tollerata e coperta sino all'esplosione dello scandalo. Si tratta dell'anatomia di un partito borghese “come gli altri”. Come gli altri, crocevia di guerra di cordate e di affari. Belsito è solo l'antropologia della Lega, quale ordinario partito borghese.
Ma proprio l'apparire “un partito come gli altri” agli occhi di chi lo aveva immaginato “diverso” costituisce per la Lega, più che per altri, un vero problema politico. Un partito che ha vissuto sulla falsificazione della propria realtà, che ha costruito il proprio mito su quella falsificazione, non può sottrarsi al processo della verità. Che può essere ben più severo di quello della magistratura.
GLI SBOCCHI INCERTI DI UNA CRISI STORICA
Non è possibile prevedere la dinamica della crisi della Lega. E sarebbe sbagliato, purtroppo, celebrare sbrigativamente il suo de profundis. La Lega conserva risorse militanti consistenti, dispone tuttora di un radicamento territoriale diffuso, ha margini di ricambio del proprio gruppo dirigente, dove l'ascesa di Maroni ( odioso ministro anti migranti) potrebbe, a certe condizioni, riabilitare in parte l'immagine.
Ma la possibilità di una frana a valanga del leghismo è per la prima volta presente. Per la prima volta- a differenza che nel 94- tutti i fattori della crisi del leghismo si presentano congiuntamente e in forma concentrata: crisi della sua base sociale, crisi di leadership al massimo livello, crisi di immagine pubblica, crisi di alleanze e prospettiva politica. Per la prima volta siamo di fronte ad una crisi storica del principale partito del blocco reazionario del Settentrione.
SOLO UNA SVOLTA DEL MOVIMENTO OPERAIO PUO' PRECIPITARE LA CRISI DELLA LEGA SINO AL PUNTO DI NON RITORNO
Questo punto d'analisi è ricco di implicazioni politiche per il movimento operaio. La crisi della Lega è un'occasione preziosa per liberarsi di anni di menzogne reazionarie contro i lavoratori e i settori più oppressi della società. L'obiettivo può e deve essere quello di lavorare per precipitare la crisi del leghismo oltre il punto di non ritorno: liberando innanzitutto dall'abbraccio leghista quei settori proletari del Nord che sono stati egemonizzati dalle suggestioni reazionarie di Bossi.
Ma questo lavoro di scomposizione del blocco sociale leghista richiede una svolta radicale di programma e di azione del movimento operaio.
Le fortune della Lega negli ultimi 20 anni sono state direttamente proporzionali alla crisi della classe operaia italiana, per responsabilità preminente delle sue direzioni. Se la rabbia di alcuni settori proletari del settentrione è stata ripetutamente capitalizzata dalle mistificazioni della Lega, ciò è avvenuto anche in ragione della subordinazione delle sinistre politiche e sindacali al grande capitale. Se oggi la Lega conserva nonostante tutto uno spazio potenziale di parziale recupero negli strati popolari, ciò è anche in ragione della presenza di un governo di Confindustria e Banche, retto dai liberali del PD, e aiutato dalle disponibilità sindacali.
Rompere con la borghesia, i suoi partiti, i suoi governi, è dunque la condizione necessaria per intervenire nella crisi profonda del leghismo da un versante di classe.
Solo una classe operaia che ritrova fiducia nella propria forza, che si pone al nuovo livello di scontro sociale imposto dal padronato e dal governo, che sa indicare un'alternativa anticapitalista e rivoluzionaria alla crisi capitalista, può polarizzare attorno a sé i più ampi settori proletari liberandoli da ogni subordinazione alla reazione.
Ma questa svolta richiede una nuova direzione politica e sindacale del movimento operaio italiano. Non una burocrazia dirigente della CGIL succube del PD e dunque del governo delle banche che il PD sostiene. Non sinistre cosiddette “radicali” ( da SEL a FDS) che continuano a inseguire il PD liberale per strappare al suo tavolo assessorati e ministeri, come già in passato. E neppure un antagonismo inconcludente senza progetto. Ma una sinistra rivoluzionaria antisistema, che non abbia altro interesse che la difesa del lavoro e la rivoluzione sociale. Che porti in ogni movimento di lotta un progetto di liberazione: la prospettiva di un governo dei lavoratori.
La costruzione del Partito comunista dei Lavoratori(PCL), trova una ragione in più nella crisi storica del leghismo.
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