28/03/09

I Sovrani del Corpo

Il disegno di legge sul testamento biologico approvato in Commissione e attualmente in votazione al Senato - che ieri ha confermato l'impossibilità di sospendere l'idratazione e l'alimentazione forzate a prescindere dalla volontà del paziente anche quando è espressamente nota - non introduce affatto nel nostro ordinamento il testamento biologico o, come preferisce chiamarlo, la «dichiarazione anticipata di trattamento». Al contrario lo esclude sotto più aspetti che equivalgono ad altrettante negazioni dei principi di libertà e dignità della persona stabiliti dalla nostra Costituzione.
La sua norma più assurda, concepita chiaramente per volontà di rivalsa sulla conclusione del dramma di Eluana Englaro, è l'articolo 3 comma 6: «Alimentazione e idratazione, nelle diverse forme in cui la scienza e la tecnica possono fornirle al paziente, sono forme di sostegno vitale fisiologicamente finalizzate ad alleviare le sofferenze fino alla fine della vita. Esse non possono formare oggetto di dichiarazione anticipata di trattamento». È con questo gioco di parole, chiamando «forme di sostegno vitale» e così escludendo dalla dichiarazione anticipata quelli che sono chiaramente trattamenti sanitari, che questa norma tenta di aggirare il divieto costituzionale che taluno sia ad essi sottoposto obbligatoriamente.
Ma la truffa non cambia la natura delle cose: a questi trattamenti o forme, se si preferisce, di sostegno vitale, dice l'articolo 32 della Costituzione, nessuno può essere obbligato.
C'è in proposito una questione che è di solito trascurata. Nel dibattito svoltosi sull'idratazione e sull'alimentazione forzata l'opinione pubblica si è divisa tra chi considera queste pratiche dei trattamenti terapeutici e chi le ritiene equivalenti al dar da bere agli assetati e da mangiare agli affamati. Ma la Costituzione non parla di «trattamenti terapeutici», bensì, più genericamente, di «trattamenti sanitari», cioè di interventi che richiedono l'assistenza di personale sanitario, l'apposizione di sonde o sondini, la somministrazione di preparati farmacologici e simili.
Ciò che insomma la Costituzione intende garantire, escludendo il carattere «obbligatorio» di tali interventi, è che non si possa essere «trattati» contro la propria volontà. Dovremo domani pretendere sempre, se questo principio costituzionale sarà violato, di morire nel nostro letto per non rischiare, una volta ricoverati in ospedale, di essere catturati da una macchina e di essere sottoposti, senza il nostro consenso, a idratazione e ad alimentazione forzate?
Ma c'è un secondo aspetto, più grave, di incostituzionalità e prima ancora di immoralità dell'idratazione e dell'alimentazione forzata. Queste pratiche, se non consentite dall'interessato, ledono non solo il diritto della persona di rifiutare trattamenti sanitari non graditi, ma anche l'habeas corpus e l'immunità da torture.
Negano non solo la libertà di autodeterminazione, secondo la bella massima di John Stuart Mill che «sul proprio corpo e sulla propria mente ciascuno è sovrano», ma ancor prima il diritto all'integrità personale. Dobbiamo infatti pur chiederci quali siano le condizioni di vita che l'idratazione forzata impone a una persona in coma irreversibile.
I sedicenti difensori della vita dovrebbero riflettere seriamente su questo problema. Il disegno di legge, si è visto, dice che alimentazione e idratazione sono, in qualsiasi forma, «finalizzate ad alleviare le sofferenze». Ma qui il gioco di parole è decisamente intollerabile. Come si può dire che simili trattamenti «alleviano le sofferenze» e non che, semmai, le moltiplicano e le prolungano senza fine?
Giacché i casi sono due. O la persona in coma irreversibile, come ritiene la scienza medica prevalente, è priva di qualsiasi forma di coscienza e sensibilità; e allora la cessazione dell'accanimento è imposta dal dovere, richiesto dall'articolo 32 della Costituzione oltre che dalla massima morale kantiana secondo cui nessuna persona può essere trattata come una «cosa», di «non violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Oppure quella persona, come hanno dichiarato molti «difensori della vita», conserva un qualche tipo di sensibilità o di vitalità consapevole; e allora il suo mantenimento in vita artificiale sarebbe ancor più atroce, infinitamente più atroce.
Pensiamo all'orrore e al terrore di chi, sia pure in qualche barlume di consapevolezza, comprendesse, senza possibilità di comunicare in alcun modo, di essere condannato per un tempo infinito a rimanere prigioniero delle macchine che lo nutrono, senza potersi muovere, né cambiare posizione, né parlare o sentire o vedere.
C'è insomma una grammatica del diritto e una semantica del linguaggio legale che nessun legislatore può violare. Non è permesso giocare con le parole, chiamando «alleviamento delle sofferenze» quello che, se sofferenze ci fossero, sarebbe un incubo terribile, e imponendolo come obbligatorio a quanti lo rifiutano. Pensiamo al terrore nel quale sarebbe costretto a vivere chi subisse una simile condanna a questa prigionia cupa e spaventosa, senza scampo e senza fine. Come non vedere nell'imposizione di questo inferno, di questa solitudine tremenda, di questa morte senza fine, una violazione della dignità della persona e, soprattutto, dell'habeas corpus e della libertà personale garantite dall'articolo 13 della Costituzione secondo cui «la libertà personale è inviolabile... E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà»?
C'è poi un terzo aspetto, forse il più insidioso, di incostituzionalità, oltre che di interna contraddittorietà della legge: la mancanza di un effettivo valore prescrittivo delle stesse «dichiarazioni anticipate di trattamento», da cui pure sono state escluse, a scanso di equivoci, l'idratazione e l'alimentazione artificiali. Benché l'articolo 4 le dichiari «vincolanti», tali dichiarazioni hanno infatti, in base all'articolo 7, il carattere di indicazioni soltanto orientative: sono solo, dice questa norma, «attentamente prese in considerazione dal medico curante» e «valutate... in applicazione del principio dell'inviolabilità della vita umana»; con la conseguenza che «il medico non può prenderle in considerazione» se sono «orientate a cagionare la morte del paziente».
Ma allora a cosa servono queste dichiarazioni? Giacché i medici, in contrasto con l'articolo 32 della Costituzione repubblicana, ben potranno o addirittura dovranno ignorarle e costringere il paziente a subire trattamenti da lui non voluti. Servono, in realtà, a far sì che sia disattesa la volontà del paziente tutte le volte che mancano. «In assenza di dichiarazione anticipata di trattamento», dice infatti l'articolo 3 comma 5, «sono garantite tutte le terapie finalizzate alla tutela della vita e della salute, ad eccezione esclusiva di quelle configurate come accanimento terapeutico». La dichiarazione, aggiunge l'articolo 4 comma 3, «ha validità per cinque anni, termine oltre il quale perde efficacia».
E' qui che si manifesta l'intento truffaldino della legge. I medici non solo potranno, ma dovranno ignorare la volontà del paziente non manifestata nelle forme della dichiarazione anticipata, cioè nella stragrande maggioranza dei casi. Nessun valore avranno, per esempio, una lettera nella quale l'interessato avrà espresso chiaramente la sua volontà, o la testimonianza di parenti od amici, o qualunque altro tipo di dichiarazione orale, o comunque informale ma inequivoca resa prima di perdere coscienza.
Non avranno valore, se scadute, neppure le dichiarazioni anticipate, dato che, si suppone, il paziente potrebbe, dopo cinque anni, aver cambiato idea: dove non si capisce, al di là del fatto che su questioni di questa natura di solito non si cambia idea, perché mai, nel caso di dichiarazioni scadute, debba presumersi una volontà opposta del paziente e perciò la scelta di mettergli le mani addosso anziché quella di lasciarlo morire in pace, come avrebbe voluto, di morte naturale. Capovolgendo il senso del testamento biologico, queste norme trasformano insomma la «dichiarazione anticipata» in una sorta di prova legale, in assenza della quale si presume, arbitrariamente e illogicamente, la non-volontà o la volontà contraria dell'interessato.
Ne consegue un quarto profilo di incostituzionalità del disegno di legge: la lesione del principio di uguaglianza stabilito dall'articolo 3 della Costituzione. Il diritto del paziente al consenso informato quale condizione della legittimità di qualunque trattamento sanitario è infatti garantito dalla legge, in conformità alla Costituzione, a tutte le persone vigili e consapevoli.
Questo testo, escludendo di fatto che una persona possa lasciar detto di non volere essere sottoposta, in caso di coma irreversibile, a inutili trattamenti, nega questo diritto a una specifica classe di pazienti: i pazienti in coma i quali, solo perché in condizione di menomazione e di inferiorità, vengono così discriminati e sottoposti, contro la loro volontà, a interventi invasivi e, forse, a torture sanitarie obbligatorie.
dal Manifesto del 27/3/09

23/03/09

Cerreto d'Esi: è necessario invertire la rotta

Da "Cafè Revolution" il giornalino di Cerreto d'Esi
A Cerreto d’Esi le politiche sociali sono state del tutto dimenticate dalle amministrazioni, visto che un tema così importante viene solamente usato in campagna elettorale per riempire i depliant del programma.
Non basta convertire la casa albergo in casa protetta, istituire l’università degli adulti o finanziare il cag, per far si che un paese allo sfascio come il nostro rifiorisca. Drammatico pensare che a Cerreto vada tutto bene quando vediamo un razzismo latente, una situazione giovanile drammatica, gli anziani della casa albergo segregati nel castello come suore di “clausura” perché alle sette di sera il cancello già è chiuso, un palazzetto di nuova costruzione che non è aperto a tutti i cittadini nonostante siano loro a doverlo pagare, un asilo nido con rette da capogiro etc..
Noi non promettiamo chissà che ma vorremmo solo che il paese si risvegli da un lungo sonno che l’economia locale e i suoi potentati hanno sempre voluto per i loro lavoratori,dove gli stessi, lavorando da una vita per gli industriali locali, stanno pagando in prima persona gli errori fatti da quei potentati che da oltre trent’anni hanno solo voluto che il benessere fosse volto solo dalla loro parte; quindi noi come sempre rivendichiamo il diritto di contrastare queste ingiustizie attraverso una politica che ridistribuisca le ricchezze a chi non ha potuto godere dei tanti sacrifici fatti in questi anni.
Questa guerra tra poveri cesserà solo quando le future amministrazioni metteranno al centro della politica la vita sociale dei cittadini. Il sociale sarà il punto principale del nostro programma, mettendo come una delle tante priorità la tassazione dei grandi beni privati di quella fascia sociale che usufruisce dei servizi dello Stato dimenticando che il loro contributo non può essere alla pari o leggermente superiori a quello dei cittadini che sono semplici lavoratori. Un esempio può essere quello di mettere le rette dell’asilo nido e della casa albergo rapportate al reddito percepito, poiché non è concepibile che ad es. la quota mensile dell’asilo nido comunale , di circa 250 Euro possa essere erogata in egual misura sia da un operaio con uno stipendio di 1000 Euro che da un imprenditore con un reddito di milioni d’Euro. Togliere se ci sono ancora, i finanziamenti pubblici alle scuole cattoliche e private, per far si che tali fondi vengano utilizzati per aiutare le fasce più deboli o dirottarli per potenziare le scuole pubbliche. Fondamentale è rivedere il regolamento della casa albergo, garantendo agli ospiti che se un mese o più si trovassero in difficoltà economica, i loro risparmi non verranno pignorati dal Comune come invece espresso esplicitamente nell’attuale regolamento. Cerreto vanta poi la presenza del maggior numero di cittadini provenienti da molti paesi del mondo, ma secondo noi, nulla è stato fatto per integrare queste persone in altre attività che non siano solo di sfruttamento lavorativo. Si potrebbero anche creare delle squadre amatoriali di calcio o altri sport, dove le varie culture si ritrovino e si conoscano anche divertendosi, visto che se non erro, presso il campo di calcetto quasi tutte le settimane i cittadini di altre popolazioni si ritrovano per giocare. Quindi perché non coinvolgerli aprendo il palazzetto anche a tutti i cittadini, ritagliando degli spazi settimanali non solo ad associazioni riconosciute? Altra cosa fondamentale è incentivare e stimolare la fascia giovanile e non solo nel creare degli spazi autogestiti dove potersi esprimere liberamente in iniziative che coinvolgano l’intera comunità, in concerti, feste, teatro .., creando così un confronto intergenerazionale. Un’ altra idea potrebbe essere istituire delle cantine permanenti tipo quelle della festa dell’Uva da aprirsi più volte all’ anno a seconda delle esigenze e delle ricorrenze.
Non tralasciamo che di primaria importanza sarà fronteggiare la gravissima crisi economica e sociale che ci sta colpendo dimenticata invece dalle attuali classi politiche dominanti. Contrastando con tutte le forze a disposizione di un Comune la delocalizzazione del lavoro e nei confronti di quelle persone che rischiano di perdere la casa, non potendo non potendo più pagare mutui o affitti, garantire aiuti economici; convertendo gli stabilimenti chiusi in altre forme di lavoro interamente gestite dai lavoratori con il contributo dello Stato; incentivando l’agricoltura attraverso la possibilità di acquistare direttamente dal produttore ( mercato agricolo permanente e filiera corta); valorizzando il nostro territorio con nuove attività turistiche (agriturismi, ostello della gioventù), questi saranno alcuni dei tanti punti che presenteremo ai nostri cittadini nel nostro programma elettorale. Cercheremo di rompere quegli schemi che finora hanno portato la politica ad essere subalterna e complice ai poteri forti, riportando al centro di tutto, non gli interessi privati, ma la vita democratica e collettiva di questo paese, ribadendo che la politica è uno strumento per il bene di tutti e non di pochi.
Marco Zamparini

La crisi la paghino banchieri e padroni


Cub - Confederazione Cobas - SdL intercategoriale

Manifestazione nazionale a Roma il 28 marzo e Sciopero Generale il 23 aprile per sostenere la piattaforma unitaria del Patto di Base

La seconda Assemblea Nazionale indetta dalla CUB, dalla Confederazione COBAS e da SDL Intercategoriale, che ha approvato il 7 febbraio l’evoluzione del Patto di Consultazione tra le tre organizzazioni in Patto di Base, ha lanciato due grandi mobilitazioni a carattere nazionale per approfondire ed estendere la battaglia contro i poteri economici e politici che vogliono far pagare la crisi ai salariati, ai giovani, ai settori popolari. Chiamiamo ad una manifestazione nazionale (28 marzo) e ad uno sciopero generale e generalizzato con manifestazioni regionali (23 aprile) sulla base della seguente “Piattaforma contro la crisi” approvata nell’Assemblea:
1) blocco dei licenziamenti;
2) riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario;
3) aumenti consistenti di salari e pensioni, introduzione di un reddito minimo
garantito per chi non ha lavoro;
4) aggancio dei salari e pensioni al reale costo della vita;
5) cassa integrazione almeno all’80% del salario per tutti i lavoratori/trici,
precari compresi, continuità del reddito per i lavoratori “atipici”, con
mantenimento del permesso di soggiorno per gli immigrati/e;
6) nuova occupazione mediante un Piano straordinario per lo sviluppo di
energie rinnovabili ed ecocompatibili, promuovendo il risparmio energetico e
il riassetto idrogeologico del territorio, rifiutando il nucleare e diminuendo le
emissioni di CO2;
7) piano di massicci investimenti per la messa in sicurezza dei luoghi di lavoro e
delle scuole, sanzioni penali per gli omicidi sul lavoro e gli infortuni gravi;
8) eliminazione della precarietà lavorativa attraverso l’assunzione a tempo
indeterminato dei precari e la re-internalizzazione dei servizi;
9) piano straordinario di investimenti pubblici per il reperimento di un milione
di alloggi popolari, tramite utilizzo di case sfitte e mediante recupero,
ristrutturazione e requisizioni del patrimonio immobiliare esistente; blocco
degli sfratti, canone sociale per i bassi redditi;
10) diritto di uscita immediata per gli iscritti/e ai fondi-pensione chiusi.
E’ decisivo che, oltre a vivere nelle due occasioni nazionali di lotta citate, questi temi suscitino grandi campagne di mobilitazione, durature nel tempo e incisive, che pervadano ogni territorio e luogo di lavoro, impiantando su di esse vaste alleanze dei movimenti sociali e delle strutture sindacali e associative, puntando su scadenze nazionali di scioperi e manifestazioni di piazza, e al contempo su vertenze territoriali e iniziative decentrate a livelli locali e di posti di lavoro.
Abbiamo scelto la data del 28 marzo per una manifestazione nazionale a Roma perché, lì ed allora, si riuniranno i ministri del welfare del G14 per ripresentare le ricette che hanno portato alla crisi e all’immiserimento popolare, per scaricarne ancor più i costi sui salari, l’occupazione, le pensioni, i tagli ai servizi sociali e ai beni comuni, la pressione fiscale.
Vogliamo dunque chiamare tutti i lavoratori/trici, le forze sociali, i movimenti di lotta contro la crisi e la devastazione ambientale, gli studenti e tutti/e coloro che si battono contro il tentativo del capitalismo di uscire indenne dalla crisi, colpendo di nuovi i ceti popolari, a essere in piazza con noi a Roma. Analoghe impostazioni e alleanze vogliamo realizzare nel secondo grande impegno assunto nell’Assemblea del Patto: lo sciopero generale del 23 aprile, con manifestazioni regionali. Se le manifestazioni nazionali hanno il pregio di rendere evidente la notevole quantità di persone che condividono la nostra piattaforma – come è avvenuto il 17 ottobre – è però necessario effettuare anche iniziative di sciopero che nei luoghi di lavoro blocchino la produzione e ogni attività sul territorio, per dare forza alla Piattaforma e cercare di vincere almeno su alcuni punti di essa, ripetendo quanto accaduto con il tentativo di far passare il TFR ai Fondi pensione che abbiamo contribuito, in maniera determinante, a bloccare. Anche in questa occasione dobbiamo coinvolgere il più vasto movimento sociale, trovando forme sempre più incisive di generalizzazione dello sciopero, che diano protagonismo anche a settori sociali non assimilabili nel classico lavoro salariale relativamente stabile.
Riteniamo però fondamentale che tali scadenze vengano preparate a livello territoriale da una vasta gamma di iniziative durante il mese di marzo, basate sui vari punti della piattaforma e da realizzare davanti a sedi politiche, padronali, istituzionali, con forme quanto più possibile coinvolgenti, visibili, incisive. A tal fine invitiamo tutte le sedi territoriali delle organizzazioni del Patto a dar vita ad assemblee regionali e cittadine - da gestire con tutte le forze sociali e di movimento interessate alla Piattaforma e al conflitto contro i responsabili della crisi - che abbiano come obiettivo la promozione delle iniziative locali e la preparazione delle due iniziative nazionali.
Al fine di garantire la più ampia partecipazione e il successo delle iniziative - per costruire insieme il percorso che ci porta alla manifestazione del 28 marzo e allo sciopero del 23 aprile - proponiamo alle realtà sociali e ai movimenti in lotta contro la crisi che condividono l'impostazione della Piattaforma del Patto di Base , un incontro nazionale per sabato 28 febbraio a Roma.

Roma, 19 febbraio 2009

Cub - Confederazione Cobas - SdL intercategoriale

20/03/09

Iniziativa pubblica con i compagni Ferrando e Bendelari

ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2009

“LE PROPOSTE PER SUPERARE LA CRISI E GOVERNARE LE NOSTRE CITTA’ IN ALTERNATIVA AL BIPOLARISMO PDL-PD”

PER POLITICHE VERE DI SINISTRA
DALLA PARTE DEL MONDO DEL LAVORO
PER IL RILANCIO DI POLITICHE ECONOMICHE E SOCIALI PUBBLICHE


MERCOLEDI 1 APRILE ALLE ORE 21,00

SALA ITALIA - SERRA DE’ CONTI


CONVERSAZIONE / DIBATTITO CON:


MARCO FERRANDO ( portavoce nazionale PCL )

GIORGIO BENDELARI ( consigliere comunale PCL )


LA CITTADINANZA, LE FORZE POLITICHE, SOCIALI E SINDACALI SONO INVITATE A PARTECIPARE

La Nazionalizzazione delle banche. Mistificazione e realtà.


L’ATTUALITA’ DI UNA RIVENDICAZIONE RIVOLUZIONARIA.

Il PCL è stato l’unico partito della sinistra a sollevare pubblicamente , nella stessa campagna delle elezioni politiche, la rivendicazione della nazionalizzazione delle banche. Quando sollevammo questo tema, appena 10 mesi fa, incontrammo una reazione generale di incredulità, scetticismo, o addirittura irrisione. E non solo negli ambienti borghesi liberali, com’è naturale. Ma nell’ambito stesso della sinistra e dei suoi stati maggiori. L’obiezione borghese, ancora imbevuta dell’ipocrisia “liberista,, ci accusava di intollerabile “statalismo”. Gli stati maggiori delle sinistre (PRC- PDCI-SC) irridevano, con sufficienza, al nostro “astratto propagandismo ideologico, che non si confrontava con la realtà”. Ed in effetti..”la realtà” di allora vedeva tutte le sinistre votare un regalo di 10 miliardi di euro alle banche ( tra cuneo fiscale del 2006 e taglio IRES del 2007), pur di compiacere un governo Prodi e un PD che vantavano il sostegno dei principali banchieri. La parola d’ordine della nazionalizzazione delle banche non poteva che suonare lunare alle orecchie del loro mondo. Da allora sono passati solo 10 mesi. E sull’onda della grande crisi del capitalismo internazionale, l’intero vocabolario ideologico del mondo appare capovolto. Il tema della nazionalizzazione delle banche entra prepotentemente nel dibattito pubblico dominante. Molti vecchi campioni del liberismo borghese si scoprono improvvisamente statalisti, e plaudono all’”intervento pubblico” nel sistema creditizio. Mentre gli stati maggiori della sinistra, totalmente frastornati e politicamente a pezzi, ripetono come un disco rotto il vecchi rosario “antiliberista” col rischio di accodarsi alla truffa delle nazionalizzazioni borghesi : incapaci, ieri come oggi, di una propria proposta indipendente all’altezza della crisi.
LIBERISMO E STATALISMO. IL LINGUAGGIO DELLA CONFUSIONE
La riscoperta ideologica, dal versante borghese, del tema “nazionalizzazioni”, dopo 20 anni di ubriacatura liberista, è tuttaltro che irrilevante. In un certo senso è la misura indiretta della profondità della crisi capitalistica. Il combinarsi della crisi finanziaria e bancaria con la recessione internazionale, e la straordinaria rapidità della dinamica della crisi, hanno scosso profondamente la borghesia mondiale, ponendola di fronte a compiti nuovi, su un terreno largamente inesplorato dalle sue ultime generazioni. La svolta borghese non è affatto rappresentabile come passaggio “dal liberismo allo statalismo”, se non nello schermo distorto dell’ideologia. Occorre diradare il fumo dell’ideologia per evidenziare la realtà. Nella realtà, la borghesia non è mai stata “liberista” in passato, come non è diventata “socialista”oggi. La borghesia difende sempre, ieri come oggi, in forme diverse e con diversi strumenti, il proprio sistema di oppressione e di sfruttamento. Nella cosiddetta era “liberista”, gli Stati imperialisti hanno svolto un ruolo centrale nella liberalizzazione dei mercati finanziari, nelle privatizzazioni bancarie, industriali e dei servizi, nell’abbattimento del prelievo fiscale sui profitti, nello smantellamento delle protezioni sociali dei lavoratori, nell’imporre ai Paesi dipendenti la rimozione di ogni protezione del loro mercato interno ( mentre erigevano barriere doganali a difesa del proprio mercato dai prodotti di quei Paesi). Il “liberismo” contro i lavoratori e i popoli oppressi era solo il manto ideologico delle politiche statali del capitalismo, entro una nuova competizione mondiale tra Stati. Specularmente, nella nuova fase statalista che si va aprendo, ogni intervento dello Stato nell’economia capitalista non solo non ha nulla di “socialista” o di “progressivo”, ma serve a tutelare il mercato capitalistico dagli effetti rovinosi della sua crisi planetaria. Entro un nuovo quadro di relazioni mondiali segnato dal declino americano e dalla rottura dei vecchi equilibri. Lo “statalismo” o addirittura i civettamenti linguistici con il “socialismo” (“siamo tutti socialisti” titolava New Sweek), sono solo la copertura ideologica delle politiche di salvazione del capitalismo contro i lavoratori e tutte le sue vittime sociali.
LE NAZIONALIZZAZIONI BORGHESI: LA SOCIALIZZAZIONE DELLE PERDITE
La questione “nazionalizzazioni” si pone in questo quadro. Lo sdoganamento borghese di questo termine “proibito” si combina con il rovesciamento di segno del suo significato. Le nazionalizzazioni di cui parlano, in forme diverse, Obama e Merkel, Sarkosy e Berlusconi, Brown e Zapatero, non espropriano banche ma socializzano le loro perdite, ad esclusivo vantaggio dei loro profitti e del loro rilancio . E a carico di lavoratori e contribuenti. A tutte le latitudini del mondo, le grandi banche capitaliste, protagoniste della ventennale rapina finanziaria, hanno due problemi di fondo: liberarsi dei titoli tossici e ridurre il rapporto tra debito e capitale. Gli Stati e i governi capitalisti di ogni colore si affannano a risolvere questi problemi. Le forme del loro intervento sono tra loro molto diverse. Lo Stato può prestare risorse pubbliche alle banche private, o attraverso l’intervento della banca centrale, o attraverso l’acquisto di obbligazioni bancarie ( come i Bond di Tremonti). Una pratica di cui hanno usufruito sinora decine di grandi banche in tutto il mondo ( ma senza risultati..) Lo Stato può mettere a disposizione delle banche risorse pubbliche sotto forma di “garanzia pubblica dei depositi” dei risparmiatori, al fine di impedire il ritiro dei depositi e di sostenere il valore delle azioni bancarie in Borsa, quindi il patrimonio dei banchieri. E’ ciò che ha fatto in parte il governo Berlusconi con i decreti d’ottobre ( ma le azioni bancarie hanno continuato a calare). Lo Stato può acquistare i titoli tossici delle banche ( porcherie accumulate con speculazioni e truffe senza confini) e depositarli in una ( o più) cosiddetta “ bad bank”: al fine di ripulire le banche speculatrici e rilanciarle sul mercato. E’ ciò che ha in progetto il decantato governo Obama, con un’operazione calcolata in oltre 1000 miliardi pubblici; è ciò che ipotizza il governo Brown con un investimento di 500 miliardi, e che non escludono i governi tedesco e italiano. E’ l’operazione che è stata fatta in Italia con il Banco di Napoli alla metà degli anni 90. Ed è l’operazione ad un tempo più costosa e più cinica: lo Stato accolla ai contribuenti il costo sociale delle speculazioni per salvare gli speculatori. Lo Stato può infine acquisire con soldi pubblici pacchetti azionari delle banche in crisi, al fine di allargare il loro patrimonio e salvarle dal fallimento: e può farlo sia con l’acquisizione di quote di minoranza e con azioni prive di diritto di voto ,sia conseguendo in casi particolari la maggioranza azionaria e dunque il controllo pubblico ( come è avvenuto con la Northern Bank in GB). Sono anch’esse operazioni costose per le risorse pubbliche, e sono a termine: lo Stato risana la banca coi soldi pubblici per poi rivenderla agli speculatori privati, quando la bufera è passata, a vantaggio dei loro profitti.( E’ l’operazione fatta dal governo svedese nel 79). Salvo che oggi la bufera non è ordinaria, ha una dimensione mondiale, e le risorse pubbliche oltre una certa soglia scarseggiano. Sono, come si vede, operazioni di diversa portata su un terreno spesso sperimentale e accidentato, segnato dalla recessione internazionale dell’economia reale, dal rischio default di diversi Paesi dell’Est europeo, dalle contraddizioni esplosive tra i diversi paesi capitalisti. E tuttavia qual è il tratto comune di queste diverse soluzioni? Salvare il capitalismo e i capitalisti dalla loro bancarotta, con risorse sottratte ai salari, alle protezioni sociali, ai servizi pubblici. Sottrarre ulteriori risorse a coloro che hanno sempre pagato per darle a chi non solo non ha pagato mai, ma è il responsabile, da tutti riconosciuto, del grande crak: il banchiere e il capitalista. Chiamare tutto questo “ nazionalizzazioni” è solo la misura dell’ipocrisia borghese. E’ l’eterno tentativo- come diceva Marx- di spacciare per interesse generale l’ interesse particolare della borghesia.
LE SINISTRE: DAL VOTO ALLE PRIVATIZAZIONI ALL’AVALLO DELLE NAZIONALIZZAZIONI BORGHESI
Proprio per questo colpisce l’afasia delle sinistre italiane di fronte a questo scenario. Tutto il riformismo italiano ed europeo ha rimosso da alcuni decenni lo stesso termine “ nazionalizzazione”, persino nella sua torsione riformistica. Nella battaglia interna al PRC, la rivendicazione della nazionalizzazione delle banche, avanzata ostinatamente per 15 anni dalla sinistra rivoluzionaria di quel partito ( futuro PCL), è stata assunta a emblema dell’”estremismo ideologico” da combattere: e non solo dai gruppi dirigenti riformisti, ma dagli stessi dirigenti di Sinistra Critica. “ Ha senso rivendicare solo ciò che è immediatamente ottenibile”, ci hanno spiegato tutti per anni, con aria saccente, contro la rivendicazione delle nazionalizzazioni. Salvo votare, una volta al governo ( o nella sua maggioranza), le..privatizzazioni della borghesia (certo “ottenibilissime” senza sforzo). Ora che la realtà della crisi capitalistica ha superato il loro limitato immaginario; ora che i circoli borghesi evocano loro stessi le “nazionalizzazioni”, cosa fanno i dirigenti riformisti e centristi? Si accodano “criticamente” alla moda corrente, e avallano “criticamente” le “nazionalizzazioni” della borghesia. La politica economica della nuova amministrazione Obama è salutata dal riformismo italiano con estatica ammirazione: i suoi versamenti stratosferici a grandi imprese e banche sono stati assunti come esempio di intervento pubblico nell’economia e di svolta “antiliberista”. Persino l’evocazione populista di Berlusconi sulle nazionalizzazioni è stata salutata come “una buona idea” da Paolo Ferrero e come “una rivendicazione comunista” dal PDCI, forse con ironia, ma con scarso senso del ridicolo. La proposta testuale del PRC è quella di “acquisire quote di proprietà pubblica” delle banche, e di destinare risorse pubbliche alle imprese “solo in cambio di impegni occupazionali”( v. il volantone di partito al sciopero fiom del 13 febbraio). Ma per quale ragione si dovrebbero spendere soldi pubblici( cioè dei contribuenti lavoratori) per sostenere il patrimonio delle banche, per di più in posizione di minoranza? Per queste misure non serve Ferrero, è sufficiente Brown o Merkel. E quale valore avrebbero gli improbabili “impegni” occupazionali dei capitalisti, a fronte del regalo materiale di nuovi miliardi di euro che Ferrero e Diliberto sarebbero disponibili a concedere loro, alla coda di tutti i politicanti borghesi? I casi di General Motors o di Pegeout o della stessa Fiat non sono sufficientemente eloquenti? . Tanti impegni, tanti soldi pubblici intascati, tanti licenziamenti. Ma c’è di più: la burocrazia dirigente della CGIL ha sentito il bisogno di dichiarare pubblicamente la propria preoccupazione per l’”autonomia” degli istituti di credito minacciati dall’invadenza “statalista”del governo. Si è schierata con Bankitalia e i banchieri speculatori contro l’invocazione prefettizia di Tremonti. Il che significa che il principale sindacato italiano, nel momento stesso della sua opposizione a Berlusconi è riuscito, in un colpo solo, a difendere i banchieri e a prendere sul serio il Cavaliere, avallando le sue mistificazioni populiste. Come ci si può meravigliare se, nonostante la crisi, il governo continua a raccogliere il ( tragico) consenso di un settore significativo dello stesso mondo del lavoro? La verità è che la borghesia, a suo modo, si mostra infinitamente più radicale, nel suo stesso linguaggio e propaganda, di chi dovrebbe combatterla. E che una cultura riformista e centrista, impregnata di realismo minimalista e di adattamento alle vecchie regole del gioco, si trova totalmente spiazzata dalla più grande crisi capitalista degli ultimi 80 anni, e dalla stessa disinvoltura della svolta ideologica borghese.
L’ESPROPRIO DELLE BANCHE, QUALE UNICA VERA NAZIONALIZZAZIONE
Questa stessa crisi è invece un’eccezionale occasione storica per l’intervento dei comunisti rivoluzionari. E la questione della “ nazionalizzazione delle banche” è al riguardo paradigmatica. Ad una borghesia costretta a contraddire, nel modo più clamoroso, tutto il corso ideologico iperliberista post89; costretta per la prima volta sulla difensiva – in campo culturale- dalla grande crisi del capitalismo; costretta a nobilitare, controvoglia, la stessa tematica delle nazionalizzazioni, non si può rispondere col vecchio approccio sindacale e minimale, né con l’armamentario culturale “antiliberista”, se non al prezzo di una nuova subordinazione. Si può e si deve rispondere opponendole un’alternativa di sistema, che restituisca alla rivendicazione della nazionalizzazione il suo significato anticapitalista e rivoluzionario. Si tratta di far leva sul nuovo linguaggio ideologico della borghesia per rivolgerlo contro di essa. Al salvataggio delle banche a spese dei contribuenti va contrapposto il salvataggio dei contribuenti a spese delle banche: non un soldo alle banche; le banche vengano nazionalizzate, senza alcun indennizzo per i grandi azionisti, e sotto il controllo operaio e popolare ( visto che l’indennizzo se lo sono già pagato con decenni di truffe,rapine, mutui usurai..), mentre lo Stato garantirà pienamente ( a differenza degli attuali banchieri) il piccolo risparmio; e le risorse pubbliche così risparmiate saranno investite in salari, protezioni sociali, servizi pubblici, in tutte quelle voci sociali falcidiate per vent’anni in ogni finanziaria, su pressione delle banche. Una grande banca pubblica, sotto controllo sociale, con dirigenti eletti e revocabili, pagati col salario di un operaio medio,sarà uno strumento formidabile per riorganizzare dalle fondamenta l’intera economia e società. Come si vede, non si tratta affatto di un approccio astratto e incomprensibile. Al contrario: tutte le rivendicazioni immediate dei lavoratori di fronte alla crisi; tutte le rivendicazioni di difesa del lavoro, di assunzione dei precari, di estensione del diritto di cassa integrazione all’insieme dei lavoratori con l’80% del salario, di reale indennità per tutti i disoccupati, di difesa ed estensione dei servizi pubblici e delle opere di pubblica utilità ( casa, scuola, sanità..), riconducono all’interrogativo naturale: chi paga?.E non c’è risposta possibile a questo interrogativo senza chiamare in causa l’immensa mole di risorse pubbliche oggi destinate alla borghesia e in primo luogo alle banche. A sua volta non è possibile privare le banche di quelle risorse, senza una loro nazionalizzazione-esproprio sotto controllo operaio e popolare. Per questo la tematica delle nazionalizzazioni può e deve acquisire, nella crisi, un carattere popolare.
IL GOVERNO DEI LAVORATORI, QUALE UNICA VERA SOLUZIONE
La prospettiva del governo dei lavoratori è sottesa organicamente, alla rivendicazione delle nazionalizzazioni. Il PCL non chiede a Berlusconi, come non lo chiederebbe a Prodi, di espropriare i banchieri. Tutta la propaganda e l’agitazione sulla rivendicazione della nazionalizzazione ha un senso esattamente opposto: ricondurre alla necessità di un governo operaio e popolare, capace di liberare la società dalla crisi del capitalismo e dalla spazzatura politica e morale delle sue classi dirigenti. Di ogni colore. Questo resta il punto decisivo e discriminante. Tutti coloro che,a sinistra, parlano oggi di nazionalizzazioni ( dopo aver votato ieri le privatizzazioni), senza porre la prospettiva di un governo operaio e popolare, fanno loro sì, pura propaganda, subalterna e ingannevole. Continuano a illudere i lavoratori, in forme nuove, su un possibile capitalismo “sociale” e “riformato”, e su una funzione neutrale dello Stato. Per di più alla coda dell’emergente statalismo borghese, e di fronte alla catastrofe capitalistica. La nostra proposta è opposta. La rivendicazione della nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo, e sotto controllo dei lavoratori, è apertamente contrapposta allo statalismo della borghesia perchè vuole liberare i lavoratori da ogni vecchia illusione riformista : rivendica l’esproprio del cuore stesso del capitale finanziario, delle sue proprietà, del suo potere ; afferma l’istanza di un potere nuovo e autonomo ( il “controllo operaio”), apertamente alternativo al comitato d’affari dello stato borghese, alla sua burocrazia, al suo funzionariato. Se il ministro Tremonti evoca il controllo prefettizio sulle banche private, (col plauso di Di Pietro), per chiedere loro di dare più soldi ai capitalisti, il PCL propone il controllo dei lavoratori su un’unica banca pubblica,per dare più soldi alla maggioranza della società. Solo un governo dei lavoratori, che rovesci il dominio dei capitalisti, potrà realizzare questa misura.
MARCO FERRANDO.

18/03/09

Lettera alla citadinanza di Bendelari (consigliere comunale del PCL di Serra de'Conti)

Serra de'Conti 17/3/09
Carissimi, i tempi stringono ed ogni dilazione nelle nostre decisioni ci si ritorcerà contro. Il Pcl, che ho l'onore di rappresentare a Serra de' Conti, facendo propria l'esigenza politica di avere una visibilità per i prossimi 5 anni anche a livello amministrativo locale, mette a disposizione le proprie liste per la presentazione di candidature di persone che si impegnino politicamente a rappresentare le esigenze e le rivendicazioni di larga parte del mondo del lavoro, lese, oltre che dalla drammaticità dell'attuale crisi economica e politica, anche dall'incapacità del Pdl e del Pd di andare oltre le rivendicazioni contingenti.
E' STANDO DALLA PARTE DELLE RIVENDICAZIONI DEL MOVIMENTO OPERAIO CHE SI POTRA' USCIRE DA QUESTA CRISI. Mandiamo a casa Berlusconi, Confindustria, banchieri e governino i lavoratori. Oltre il riformismo, per il superamento del Capitalismo che per la sua voracità (non sono mai sazi dei propri profitti) non potrà che produrre crisi, per un Paese governato nel rispetto della Costituzione, la Carta fondante della nostra Repubblica. Il Pcl è impegnato a costruire un'iniziativa pubblica con la partecipazione del compagno MARCO FERRANDO. In quell'occasione metteremo a confronto le nostre proposte per il superamento dell'attuale crisi e per governare i nostri paesi, le nostre città, in costante contatto con gli sviluppi e le lotte che vengono avanti sia in Europa che in altre parti del Mondo. Per un Internazionazionalismo vero e non di facciata. Compagne/i, non diamoci per vinti e riprendiamo la lotta. W IL COMUNISMO!
Giorgio Bendelari
(consigliere comunale di Serra de'Conti)
Partito Comunista dei Lavoratori

16/03/09

Vergogoso atto autoritario del sindaco fermano Di Ruscio


COMUNICATO STAMPA del 13.03.2009


SOLIDARIETA’ DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI AL COLLETTIVO ANTIFASCISTA

Il Partito Comunista dei Lavoratori di Fermo esprime il proprio sdegno e la più vibrata delle proteste per la vergognosa e antidemocratica decisione del Sindaco Di Ruscio di revocare la già concessa Sala Multimediale al Collettivo Antifascista e all’Anpi, per l’incontro con la ricercatrice storica Alessandra Kersevan sulla campagna mistificante delle foibe.
Con una pretestuosa e ridicola motivazione il Sindaco Di Ruscio si è prestato ad una operazione di censura di stampo fascista, facendo proprie le pressioni squadristiche di An Azione Giovani e tale Aries casa nazional popolare. Di contro, a trenta metri di distanza da dove si sarebbe dovuta tenere la conferenza, si poteva invece svolgere senza problemi una autorizzata nonché provocatoria manifestazione di neofascisti che avrebbe potuto provocare incidenti.
Evidentemente per il Sindaco e candidato alla Presidenza della Provincia rispettare i dettami costituzionali significa poter invitare un pregiudicato come Dell’Utri a parlare di Mussolini e al contrario censurare la libertà di espressione dei cittadini.
Ma limitarsi a denunciare questo ignobile sopruso non è sufficiente, perché si tratta di una ferita gravissima inferta al tessuto democratico di Fermo che se passasse impunita rafforzerà i rigurgiti autoritari in atto e avallerà il ripetersi di simili infamie.
E’ necessaria una rapida e ferma risposta da parte di tutti i sinceri democratici attraverso una mobilitazione organizzata, perchè la battaglia contro il revisionismo storico, fomentato in questi anni in maniera bipartisan, è un patrimonio comune di tutte le forze antifasciste.


Partito Comunista dei Lavoratori
sezione di Fermo

Quando i padroni falliscono


12/03/09

Petizione contro le bollette anomale

Dal Corriere Adriatico del 11/03/2009
Serra de’ Conti
Giorgio Bendelari, consigliere comunale d’opposizione del Partito Comunista dei lavoratori, lancia la sottoscrizione di una sorta di petizione indirizzata a Enel, Sadori Gas, Inpdap, Inps. “Fatture Enel e del metano al di fuori della norma – afferma Bendelari - pensioni Inpdap decurtate da detrazioni fiscali abnormi che riducono al minimo il reddito di chi le percepisce ed i Caf dei vari Patronati intasati da gente arrabbiatissima che giustamente chiede come fare. E’ per questo motivo che in qualità di consigliere comunale lancio indice una raccolta di firme per esprimere civilmente la protesta contro le angherie della burocrazia che sta minacciando con simili provvedimenti, i redditi di persone singole e di interi nuclei familiari”.“Ritengo – afferma Bendelari - questi aumenti e queste decurtazioni fiscali, prive di una preventiva informazioni, atti al limite della legalità e chiediamo l’intervento immediato dei responsabili dei vari Ministeri ed Enti interessati”.
L.R.

11/03/09

Appennino, no alla crisi, si al lavoro

Il Partito Comunista dei Lavoratori partecipera' alla manifestazione "appennino no alla crisi si al lavoro" di domenica 15 marzo a Gualdo Tadino. Coscienti dell'importanza dell'appuntamento ci auguriamo che sia una vera manifestazione di popolo e chiediamo agli amministratori e ai politici locali in cerca di reincarico che abbiano la compiacenza di non trasformarla nella solita passerella pre-elettorale. Speriamo inoltre che le organizzazioni sindacali che hanno indetto la manifestazione evitino il solito "pianto" e la solita richiesta generica di sovvenzioni pubbliche, aspettiamo da esse proposte e soluzioni concrete. La crisi economica della fascia appenninica è essenzialmente la crisi della Antonio Merloni, azienda per la quale si attende un piano industriale che la rilanci. Considerando che i concorrenti della AM hanno da tempo delocalizzato e vista la forte esposizione debitoria crediamo che realisticamente nessun piano di rilancio sia possibile. I commissari potranno al massimo cedere quei rami d'azienda ancora appetibili sul mercato degli speculatori cosi' da ripianare l'esposizione nei confronti delle banche. Tutti gli altri siti produttivi saranno destinati a diventare cattedrali nel deserto della mala gestione e della mala amministrazione. Il PCL, nella sua indipendenza, aderisce alla manifestazione con una propria piattaforma: chiediamo che la AM venga nazionalizzata senza indennizzo per la proprieta' e sotto il controllo dei lavoratori e proponiamo che venga riconvertita con soldi pubblici, per esempio nella produzione di pannelli fotovoltaici. Sappiamo che giace in parlamento una proposta di legge che incentiva la sostituzione delle centinaia di migliaia di metri quadri di tetti di capannoni industriali fatti col pericoloso eternit con pannelli fotovoltaici. Basta con il sostegno e il salvataggio di aziende private con i soldi dei contribuenti, lo Stato torni ad avere una sua industria pubblica!
PartitoComunista dei Lavoratori

08/03/09

Nazionalizzazioni? Si, ma quelle vere. E senza indennizzi

dal Manifesto del 07/03/2009

«Hanno sdoganato il termine 'nazionalizzazioni'? Bene. Allora facciamole sul serio. Non le regalìe alla Tremonti, o in grande alla Obama. Nazionalizziamo la proprietà delle banche in crisi, ma sotto il controllo dei lavoratori e senza indennizzi ai proprietari, che sarebbero ridicoli, con tutti i soldi che si sono presi fin qui». Che la crisi, qualunque crisi, si affronti con massicce dosi di socialismo, Marco Ferrando, leader trozkista del Pcl, l'ha sempre detto. Ora che di 'nazionalizzazioni' parlano un po' tutti e molto a sproposito, rilancia: con una campagna per le nazionalizzazioni, che ha già il sì di cento delegati operai, dalla Cub Alitalia alla Sdl della Fiat di Cassino, ma anche di dirigenti Fiom, Cgil e Rdb.

Ferrando, una provocazione.
Neanche un po'. Una soluzione seria, certo più seria di mantenere ai vertici delle aziende e delle banche i manager e i piani che le hanno mandate alla malora. E non mi si dica che è una proposta radicale o ideologica: radicali sono i licenziamenti e la valanga che abbatte sui lavoratori, ideologica è la scelta delle classi dominanti di nazionalizzare perdite e debiti.

Scusi, ci riprovo: le sembra una proposta realista?
Scusi, ho il senso della realtà e quello del ridicolo, non è che lancio la proposta a Berlusconi. La lancio fra i lavoratori, che sono realisti sempre, soprattutto quando ricevono le lettere di licenziamento. E, com'è successo in Francia, ora dicono 'licenziamo chi ci ci licenzia'. Realisticamente, Lenin diceva: le riforme sono un sottoprodotto della lotta rivoluzionaria. Com'è successo nelle grandi stagioni di lotta, se c'è una speranza di ottenere qualcosa è quando i padroni rischiano di perdere tutto.

Però proprio grazie alle 'finte' nazionalizzazioni che tappano buchi e evitano catastrofi, non sembra che siamo in una fase in cui gli imprenditori rischiano di perdere tutto.
Per favore evitiamo le caricature: noi andiamo fabbrica per fabbrica, banca per banca. Nelle nostre piattaforme ci sono le rivendicazioni che i lavoratori decidono in ciascuna lotta. Ma come diceva il manifesto dei comunisti, non nascondiamo i nostri obiettivi. Questa nostra proposta libera enormi risorse e le dirotta nella difesa del lavoro. Mille euro di indennità, assunzione per i precari: altro che il miniassegno di Franceschini.

Fra i leader della sinistra qualcuno è d'accordo?
Ci rivolgiamo a tutte le organizzazioni dei lavoratori, e anche a tutte le sinistre: uniamo le forze per una battaglia anticapitalista a difesa del lavoro. Poi se penso a Vendola, o a Ferrero, mi chiedo come fanno a aderire: hanno partecipato alle enormità di un governo organico alle banche. E ora, anziché fare un il bilancio delle responsabilità contro i lavoratori, continuano imperterriti a preservare le collocazioni di governo, persino nelle situazioni più impresentabili . Neanche la disfatta riesce a riformarli. Né il fatto che il Pd nel frattempo li vuole distruggere.


di Daniela Preziosi

05/03/09

NAZIONALIZZARE L’ ARDO

Fabriano 5/3/09
Comunicato stampa:

E’ recente la notizia di finanziamenti pubblici alla Ardo spa per promuovere una ripresa nel settore elettrodomestico. Si continua lo spreco di denaro pubblico in favore di imprenditori incapaci e senza scrupoli. L’azienda di Antonio Merloni ha continuato discutibilmente a fossilizzarsi in un settore ormai moribondo, quando avrebbe dovuto, affrontando delle spese, riconvertire parte della produzione e compiere nuovi investimenti. Oggi lo stato gli corre in soccorso per continuare in quel vicolo cieco di cui vedrà di nuovo presto il fondo.
Perché sperperare i fondi pubblici per finanziare un imprenditore che è lo stesso che ha portato l’azienda a questo punto? Perché far si che l’eventuale profitto vada in tasche di quei pochi che si sono sempre arricchiti alle spalle dei lavoratori mentre ora che non servono più li scaricano?
Non sarebbe meglio utilizzare i finanziamenti per una riconversione industriale, per razionalizzare la produzione, per recuperare i posti di lavoro perduti?
L’unica vera soluzione è nazionalizzare l’azienda che sta licenziando e rovinando molte famiglie, senza indennizzo per le infrastrutture ed i mezzi di produzione e sotto controllo operaio. I soldi, invece di regalarli agli oligarchi industriali, andrebbero investiti per finanziare questo progetto, in modo tale che il rientro di utili ritorni allo stato, ma soprattutto nelle tasche dei lavoratori.
Il Partito Comunista dei Lavoratori continuerà a gridare: Nazionaliziamo le banche che falliscono e le aziende che licenziano, nessun finanziamento pubblico alle aziende private!


Partito Comunista dei Lavoratori
coordinamento provinciale di Ancona

04/03/09

Serra de' Conti - Il PCL lancia la lista di sinistra e ambientalista

Dal Corriere Adriatico del 2/03/09
Serra de’ Conti, per il voto di giugno Bendelari lancia la lista di sinistra e ambientalista Serra de’ Conti Mancano poco più di tre mesi alle elezioni per il rinnovo dei Consigli comunali e a Serra de’ Conti cominciano a definirsi alcuni schieramenti che si presenteranno al vaglio degli elettori. Così che dopo l’annuncio della candidatura a primo cittadino di Arduino Tassi per la lista di centro sinistra, Giorgio Bendelari, consigliere uscente del Partito comunista dei lavoratori indice per le ore 21 di venerdì prossimo un incontro presso la sala riunioni della residenza municipale allo scopo di formare una lista unitaria di sinistra ed ambientalista. Bendelari invita tutti coloro che vogliono offrire il proprio contributo di idee per la gestione del Comune di Serra de’ Conti a partecipare all’incontro o eventualmente a contattarlo telefonicamente (0731-879102).Si profila quindi la possibilità di presentazione di una lista che raccoglierebbe tutti quei cittadini di Serra de’ Conti appartenenti alla sinistra che puntano anche a realizzare in sede locale una politica tesa alla tutela e salvaguardia dell’ambiente. Da rimarcare il fatto che Bendelari da anni segue il locale circolo “Verdeacqua”, aderente a Legambiente e che in quest’ottica si è reso protagonista di varie iniziative unitamente all’Assessorato all’Ambiente.

02/03/09

Perchè il PCL lavora ad una presentazione autonoma


La riforma della legge elettorale europea con sbarramento al 4%, imposta da Veltroni e Berlusconi, e sostenuta da IDV e UDC, risponde al cinico interesse politico dei principali partiti borghesi e delle loro leaderschip, in funzione di un disegno di americanizzazione del quadro politico italiano: un’ Italia con due grandi partiti della borghesia, senza forme di rappresentanza politica indipendente del movimento operaio e dei movimenti di massa. Un esito che certo rappresenterebbe un arretramento profondo del mondo del lavoro sul piano politico, con ricadute negative sullo stesso terreno della lotta di classe.


LA BANCAROTTA DEGLI STATI MAGGIORI DELLE SINISTRE

Ma le sinistre italiane sono pienamente corresponsabili, oltreché vittime, di questo scenario. Se l’operazione “4%” ha potuto affermarsi, è anche in ragione del crollo verticale, elettorale e politico, delle sinistre , della loro estromissione dal Parlamento nazionale, del mutamento dei rapporti di forza. E questo crollo ha una radice interamente politica: la subordinazione delle sinistre al centrosinistra per ben 15 anni, sino al loro diretto coinvolgimento nell’ultimo governo confindustriale di Romano Prodi e nelle sue politiche antioperaie e di guerra. Il fatto che SD, Verdi, PRC e PDCI non solo rimuovano il bilancio delle proprie responsabilità contro i lavoratori, ma continuino imperterriti a preservare ovunque possibile le proprie collocazioni di governo nelle amministrazioni locali, persino nelle situazioni più impresentabili , e persino nel momento in cui il PD punta alla loro distruzione, dimostra che neppure l’esperienza drammatica della disfatta è capace di riformare il codice politico di quelle formazioni. I cui gruppi dirigenti, oltretutto, hanno rivendicato per 15 anni quello sbarramento elettorale al 5% ( sistema tedesco) dal quale hanno finito per essere ghigliottinati: a riprova non solo di una profonda subordinazione al governismo borghese, e della conseguente negazione del principio democratico della proporzionale, ma anche di una perfetta irresponsabilità suicida. Peraltro proprio quella deriva politica ha trascinato con sé il loro cupio dissolvi in una frantumazione interna senza fine, in cui ogni ogni pezzo del ceto politico della disfatta( Ferrero, Vendola, Bertinotti, Diliberto, Fava) cerca di sopravvivere al proprio fallimento, senza l’ombra di un bilancio autentico e di una reale rettifica strategica.

Di più: l’annunciata presentazione elettorale di quei gruppi dirigenti in due (o più) liste tra loro contrapposte e concorrenziali( Ferrero e Diliberto da un lato, Vendola e Fava dall’altro), pur a fronte di una comune responsabilità politica e di un medesimo programma di fondo, rende probabile il completamento del loro suicidio istituzionale, e la vittoria purtroppo dell’operazione veltrusconiana. Ciò che aggrava, ad ogni livello, la parabola autodistruttiva della vecchia sinistra e il danno da essa arrecato al movimento operaio e al suo stesso popolo. Siamo davvero al paradosso: Vendola e Ferrero,Bertinotti e Diliberto, Mussi e Fava, hanno condiviso insieme il sostegno ai governi di centrosinistra; condividono la medesima collocazione nelle giunte di centrosinistra; condividono il medesimo affidamento al gruppo dirigente della CGIL e dunque il medesimo posizionamento nella lotta di classe; condividono insieme la stessa ispirazione programmatica di fondo sul terreno nazionale e internazionale, a partire dalla posizione sulla UE.. Non dovrebbero presentarsi insieme alle elezioni, tanto più a fronte dell’attuale legge elettorale? Invece no. Hanno votato uniti le politiche della borghesia e del PD, in cambio di ministri, cariche istituzionali, assessori, ma si presentano divisi alle elezioni, gli uni contro gli altri armati. E perché? Non certo per divergenze sui “principi” (che non hanno), ma per una matassa inestricabile di rivalità istituzionali, competizioni di ruolo, contrapposizioni personalistiche, guerre tribali di apparato, che nulla hanno a che spartire con le ragioni dei lavoratori, e molto hanno a che vedere con la cultura delle burocrazie. Si può credere a quei gruppi dirigenti quando predicano ad altri “unità e responsabilità”?


RICOSTRUIRE DALLE ROVINE. COSTRUIRE IL PCL

Il PCL- unico partito della sinistra ad essersi opposto coerentemente al governo Prodi- è nato in controtendenza alla disfatta annunciata della vecchia sinistra, sulla base di politiche e programmi alternativi. Con lo scopo di ripartire dal campo di rovine da questa prodotto, per costruire un partito coerentemente comunista e rivoluzionario: l’unico soggetto politico a sinistra capace di durare, perché basato su principi fermi e su un chiaro progetto anticapitalista; estraneo, per sua natura, al fascino dei ministeri e degli assessori; nemico di ogni personalismo burocratico; impegnato in ogni lotta per un’alternativa di potere della classe lavoratrice e delle masse oppresse.

Sta qui la scelta di una presentazione elettorale indipendente del PCL,ad ogni livello. A livello amministrativo, a partire dalle grandi città e provincie, in aperta opposizione alle giunte di centrodestra e di centrosinistra. A livello di elezioni europee, intraprendendo la raccolta delle firme per la presentazione del partito, in aperta sfida ad una legge elettorale reazionaria, che prevede un enorme numero di firme in ogni circoscrizione : non sapendo se riusciremo a scavalcare questa barriera quasi proibitiva, ma affrontando la sfida senza timidezza.

Non siamo elettoralisti, ma comunisti. Il nostro fine non è la partecipazione alle elezioni, in quanto tale, ma la presentazione del nostro programma, in funzione della costruzione di una prospettiva politica che riteniamo decisiva per il mondo del lavoro e le sue ragioni generali. Non ci interessa l’arruolamento in cartelli elettorali ibridi e senza principi comuni, a rimorchio di altri progetti. Ci interessa una campagna elettorale interamente investita in un progetto di lotta anticapitalista: tanto più nel momento in cui la grande crisi del capitalismo e di ogni vecchia illusione riformista, rilancia l’attualità storica della prospettiva rivoluzionaria quale unica soluzione progressiva. Ogni avanzamento della riconoscibilità pubblica di un programma anticapitalista e di una proposta radicale di lotta, nei luoghi di lavoro e nei movimenti sociali, è mille volte più importante per le ragioni dei lavoratori di ogni calcolo elettorale sul terreno istituzionale . Ogni passo avanti nella costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori, quale “sinistra che non tradisce”, è mille volte più importante per le prospettive di un’alternativa di società, di eventuali “vantaggi” contingenti di un blocco elettorale con la sinistra della disfatta.

La formula dell’”unità dei comunisti”, agitata da Diliberto e Grassi, ripropone del resto l’equivoco di sempre: quello dell’unità attorno ad un simbolo contraddetto nelle politiche e nei programmi. Il disfacimento del PRC in mille pezzi, lungo l’arco di 15 anni, è esattamente il fallimento di quella finzione. Con che coraggio si può riproporla? Il PCL persegue ostinatamente la vera unificazione dei comunisti, quale che sia la loro diversa provenienza: quella attorno ai principi del comunismo e ad un programma coerentemente anticapitalista, e quindi attorno al proprio progetto di costruzione. Questa è l’unica “unità comunista” capace di reggere e di costruire un futuro. La presentazione elettorale indipendente del PCL è al servizio di questo progetto.


UNITA’ DI LOTTA E PROGRAMMA ANTICAPITALISTICO

Peraltro gli stessi gruppi dirigenti della sinistra in disfacimento che ci chiedono l’unità elettorale, sono quelli che hanno respinto e tuttora respingono ogni proposta reale di unità di lotta, sul terreno dell’azione di classe anticapitalistica.

Il PCL si batte da tempo per una vertenza generale unificante del mondo del lavoro e per l’unità di lotta di tutti i sindacati di classe attorno a una piattaforma di svolta e a un’azione radicale prolungata. PRC e PDCI ignorano la nostra proposta, limitandosi a sostenere, di volta in volta e indifferentemente, piattaforme e scelte della direzione CGIL o dei sindacati di base. Senza lavorare né all’unificazione della lotta, né al suo sviluppo radicale.

Il PCL si è sempre battuto nei movimenti di lotta e nello scontro sociale per una dinamica di radicalizzazione e di autorganizzazione democratica di massa: nel movimento degli studenti per la generalizzazione delle occupazioni, l’autonomia dai rettori, un coordinamento nazionale di delegati eletti e revocabili, l’unità di lotta con i lavoratori; nella vicenda Alitalia per un’azione di lotta radicale e continuativa, la costituzione di un comitato di sciopero, la rivendicazione della nazionalizzazione dell’azienda. PRC e PDCI si sono subordinati alle direzioni egemoni dei movimenti ( e ai loro esiti disastrosi), contro le loro spinte interne più radicali e classiste.

Il PCL ha proposto a tutte le sinistre e le forze laiche una mobilitazione anticlericale che intrecciasse le rivendicazioni democratiche per i diritti civili con una piattaforma di attacco sociale frontale al capitalismo ecclesiastico (abolizione dei finanziamenti pubblici a sanità privata e a scuola privata, pubblicizzazione integrale dell’istruzione e del servizio sanitario, soppressione dei privilegi fiscali della Chiesa, esproprio delle grandi proprietà ecclesiastiche, con eccezione dei luoghi di culto). PRC e PDCI si limitano a contestare le ingerenze clericali. E le giunte locali che sostengono versano alle scuole cattoliche e alla Curia fior di milioni.

Il PCL ha proposto a tutte le sinistre una piattaforma anticapitalista all’altezza della crisi, che colleghi la lotta sindacale ad un programma antisistema (riduzione progressiva dell’orario per la ripartizione tra tutti del lavoro, nazionalizzazione delle aziende in crisi e delle banche, senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori, prospettiva di un governo dei lavoratori..). PRC e PDC respingono la nostra proposta, a favore di un generico richiamo all’intervento pubblico “antiliberista”. E là dove 2000 lavoratori in Alitalia hanno rivendicato, nel cuore della lotta, la nazionalizzazione dell’azienda ,si sono affrettati a denunciare come “ideologica” questa rivendicazione.

Il PCL ha proposto, sin dallo scorso luglio, un “Parlamento dei lavoratori e delle sinistre” come organismo democratico elettivo di fronte unico di lotta e di confronto pubblico tra tutte le forze del movimento operaio e popolare. PRC e PDCI hanno lasciato cadere la stessa proposta di discussione aperta sull’argomento. Persino la nostra pubblica disponibilità a concordare un “fronte unico d’azione” a sinistra, in risposta ad una sollecitazione formale del PRC, con tanto di nostro articolo su Liberazione, è stata totalmente ignorata…

Tutto ciò non è un caso: è la cartina di tornasole di una differenza di fondo. Il PCL si batte per unire i lavoratori attorno a un programma di rottura con la borghesia e di governo dei lavoratori. I gruppi dirigenti delle sinistre continuano a perseguire in forme diverse una ricomposizione col centrosinistra ( con cui governano tuttora mezza Italia): o per via della “pressione” esterna di “movimento” ( Ferrero e Diliberto), o per la via interna della resurrezione dell’Unione ( Vendola e Fava). E’ il sentiero già battuto per 15 anni e già fallito, su cui il PCL non è mai stato e non sarà mai disponibile.


IN ITALIA E NEL MONDO: RIFORMA O RIVOLUZIONE?

Peraltro la stessa divaricazione di indirizzo si manifesta sulle tematiche internazionali, tanto più rilevanti in una competizione elettorale europea.

Il PCL ha proposto a tutte le sinistre una battaglia coerentemente antisionista, che non si limiti a denunciare le aggressioni di Israele contro il popolo palestinese, ma metta apertamente in discussione la natura coloniale dello stato sionista, a favore della prospettiva di una Palestina unita, libera, laica e socialista, rispettosa dei diritti nazionali della minoranza ebraica ,( entro una prospettiva socialista mediorientale), quale unica soluzione reale della questione palestinese. PRC , PDCI e tutte le sinistre si limitano alla solidarietà coi palestinesi e ripropongono la soluzione truffa “due popoli, due stati” accodandosi di fatto all’ipocrisia diplomatica internazionale.

Il PCL propone di collegare la difesa e valorizzazione della grande ascesa di massa in America Latina , contro ogni minaccia imperialista, ad una prospettiva apertamente socialista: fuori da ogni politica di compromesso con l’imperialismo e di “economia mista”. Da qui una linea di autonomia di classe da Morales e Chavez, pur all’interno della mobilitazione antimperialista. PRC e PDCI si adattano acriticamente al bolivarismo, e persino a Lula, avallando la mitologia del “ socialismo del xxi secolo”, e contrapponendosi alla sinistra rivoluzionaria latino-americana. Sino a tacere sull’uccisione di operai in lotta da parte della polizia chavista, o sull’opposizione del sindacato dei metalmeccanici boliviani alla controriforma pensionistica del governo Morales.

Il PCL propone un indirizzo di opposizione di classe alla nuova amministrazione USA di Barak Obama. Senza confondere le grandi aspettative di svolta che grandi masse hanno riposto in essa dopo l’era di Bush, con la reale natura imperialista del nuovo governo Democratico americano, sia sul terreno della politica sociale ( centralità del sostegno finanziario alle banche e alle grandi imprese), sia sul terreno della politica internazionale (continuità del sostegno strategico ad Israele, della guerra in Afghanistan, della presenza pur contenuta in Irak, e disegno dichiarato di ricostruzione dell’egemonia americana nel mondo..). PRC e PDCI e tutte le sinistre partecipano invece all’esaltazione (talvolta “critica”) dell’obamismo, fuori da ogni analisi di classe, e alla coda del centrosinistra internazionale.

Il PCL denuncia il restaurato capitalismo cinese e il suo regime oppressivo, con la relativa trasformazione della vecchia casta burocratica stalinista in una nuova borghesia; denuncia gli effetti sociali devastanti della restaurazione capitalista su centinaia di milioni di operai e contadini cinesi; appoggia le emergenti rivolte operaie e popolari cinesi contro il regime; denuncia il suo ruolo internazionale di collaborazione con l’imperialismo ( in particolare USA) sia sul terreno politico che economico; rivendica la prospettiva di una nuova rivoluzione socialista in Cina . La larga maggioranza del blocco PRC-PDCI difende la Cina come paese “socialista”, in un quadro di rapporti fraterni col cosiddetto “Partito Comunista Cinese”.

Il PCL oppone all’attuale Europa capitalista dell’Unione la prospettiva degli Stati uniti socialisti d’Europa, quale unica vera alternativa su scala continentale agli imperialismi europei e alla loro concertazione(UE): fuori da ogni illusione neokeinesiana di un possibile capitalismo “sociale” europeo , a carattere progressivo. PRC , PDCI e tutte le sinistre rivendicano invece la cosiddetta “Europa sociale e democratica”, come riforma “progressista” del capitalismo europeo. In qualche caso (PDCI e SD) chiedono l’esercito europeo, quale contrappeso agli USA, in una logica di sostegno all’imperialismo continentale. In tutti i casi partecipano ad aggregazioni di sinistra in Europa con partiti più volte corresponsabili – al pari loro-di governi imperialisti o delle loro maggioranze ( dal PCF a Isquierda unida ).

Ancora una volta, tutto ciò non è un caso. Tutte le divergenze internazionali tra il PCL e le altre sinistre italiane sono riconducibili non a diverse “analisi”, ma a differenti programmi di fondo. Da un lato un programma dichiarato di rivoluzione socialista internazionale quale unica soluzione progressiva al capitalismo mondiale, contro ogni vecchia illusione riformista: e dunque di ricostruzione di un’internazionale comunista e rivoluzionaria che recuperi e riattualizzi i principi del socialismo, rompendo radicalmente con la socialdemocrazia e lo stalinismo. Dall’altro, al di là delle parole, un programma di riforma del capitale( tanto più utopico oggi), funzionale a difendere in Italia la prospettiva di ritorno al governo col PD , e sul terreno internazionale la propria “rispettabilità diplomatica”e i propri rapporti, per quanto “critici”, con la socialdemocrazia.

La nostra scelta di presentazione indipendente del PCL alle elezioni, non è dunque frutto di un capriccio. Deriva , nel modo più naturale,dall’unicità del nostro programma nella sinistra italiana , e dal diritto-dovere di presentarlo pubblicamente per quello che è. Nell’unico interesse che ci sta a cuore: quello dei lavoratori e della rivoluzione .

01/03/09

Il PCL alle elezioni amministrative ed europee

Il Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) parteciperà alle prossime elezioni europee ed amministrative con una propria lista indipendente, e col proprio simbolo. Sul versante delle elezioni europee, abbiamo avviato la raccolta delle firme necessarie in tutte le circoscrizioni: sfidando apertamente la soglia elevatissima, ed antidemocratica, di firme richieste. Marco Ferrando, portavoce nazionale del partito, sarà capolista nelle diverse circoscrizioni. Sul versante delle elezioni amministrative saremo presenti in un larghissimo campione delle realtà coinvolte, a livello provinciale e comunale: a partire dalle Province di Torino, Milano, Bologna, Venezia, Firenze, Napoli; nei Comuni capoluogo di regione come Bologna e Ancona, nonché in diversi centri minori da Frosinone a Forlì e Cesena. Complessivamente il PCL sarà presente in 35 elezioni provinciali e in numerose elezioni comunali lungo l’intero territorio nazionale. Con la propria presentazione, il PCL afferma il diritto di presenza alle elezioni dell’unico partito della sinistra italiana da sempre autonomo e alternativo al centrosinistra, sul piano nazionale e locale; dell’unico programma coerentemente anticapitalista che rivendica la nazionalizzazione delle aziende in crisi e delle banche e la prospettiva di un governo dei lavoratori e degli Stati Uniti Socialisti d’Europa, fuori da ogni vecchia
illusione riformista. Le liste del PCL vedranno una presenza diffusa di candidati del mondo del lavoro, protagonisti delle lotte di resistenza contro la crisi.