23/04/17

25 APRILE UNA RIVOLUZIONE PER VENDICARE LA RESISTENZA TRADITA


1943/'45, la resistenza partigiana e la rivolta operaia presentarono il conto alla dittatura fascista. In quella
rivolta, di cui fu prima protagonista la giovane generazione di allora, non viveva però solamente
un'aspirazione democratica. Viveva la volontà di farla finita con la borghesia italiana che si era servita del
fascismo. Viveva la volontà di rovesciare il capitalismo e di imporre il potere dei lavoratori. Era la
speranza della “rossa primavera” delle canzoni partigiane.

UNA RESISTENZA TRADITA DA STALIN E TOGLIATTI
Quella volontà fu tradita. Stalin aveva pattuito con gli imperialismi vincitori una spartizione in zone
d'influenza. L'Italia doveva restare nel campo capitalista, in Occidente, per il quieto vivere della
burocrazia del Cremlino. Il PCI di Togliatti fu fedele esecutore della volontà di Mosca. La Resistenza
partigiana fu dunque subordinata alla collaborazione con la DC e coi partiti borghesi dando a questi
poteri di veto (CLN). I governi di unità nazionale tra DC e PCI nell'immediato dopoguerra furono lo
sbocco di questa linea e la proseguirono: disarmarono i partigiani, restituirono le fabbriche ai capitalisti
(Valletta), reinsediarono i vecchi prefetti, amnistiarono persino gli sgherri fascisti (amnistia del ministro
di grazia e giustizia Palmiro Togliatti del 1947). Fu il tradimento della Resistenza. La Costituzione del
1948, pattuita tra DC e PCI, declamando principi progressisti, serviva a mascherare questo tradimento.
Come disse Piero Calamandrei: una rivoluzione promessa in cambio di una rivoluzione mancata. Intanto
le classi capitaliste, restaurato il proprio potere, cacciarono il PCI all'opposizione (perché non ne avevano
più bisogno) e passarono all'offensiva contro i lavoratori, le lavoratrici, i comunisti: reparti confino nelle
fabbriche, repressione sanguinosa di manifestazioni sindacali, la lunga reazione degli anni '50.

L'AUTUNNO CALDO SVENDUTO AL COMPROMESSO STORICO
Quando vent'anni dopo la Resistenza una nuova generazione operaia rialzò la testa, con la grande ascesa
dell'autunno caldo e le sue conquiste sociali e democratiche ('69/'76), fu nuovamente il PCI a sbarrarle la
via con una seconda edizione del compromesso storico governativo con la DC ('76/'78): svolta sindacale
di austerità e sacrifici (congresso dell'Eur della CGIL di Lama), subordinazione delle richieste operaie
alle compatibilità del capitalismo, identificazione con lo Stato borghese. Il risultato fu una
demoralizzazione di massa, un lungo ripiegamento, una diffusa passivizzazione. Cui seguì l'offensiva
frontale della Fiat e del padronato contro il movimento operaio sul piano sociale (ottobre 1980) e l'ascesa
del craxismo sul piano politico. La seconda Repubblica nata dal crollo del Muro di Berlino e dalle ceneri
di Tangentopoli sarà lo sbocco di questa deriva reazionaria. Nel segno della progressiva cancellazione
delle conquiste operaie.

IL TRASFORMISMO A SINISTRA NELLA SECONDA REPUBBLICA
Molta acqua è passata sotto i ponti dalla Resistenza ad oggi, anche e soprattutto a sinistra. Ma in
continuità, purtroppo, con l'opportunismo di allora.
Il gruppo dirigente del PCI, che aveva tradito prima la Resistenza e poi l'autunno caldo, sciolse il proprio
partito a ridosso del crollo dell'URSS per coronare in forma compiuta il proprio sogno proibito: entrare a
pieno titolo nel governo del capitalismo italiano e gestirne le misure antioperaie. Fu ciò che avvenne,
lungo una interminabile stagione trasformista - dal PCI al PDS ai DS sino al PD - che oggi ha conosciuto
il suo epilogo: quel renzismo che apertamente persegue un disegno reazionario bonapartista di uomo solo
al comando al servizio di Marchionne, nel segno della rottura più clamorosa dello stesso patto
costituzionale.
Parallelamente, Rifondazione Comunista, nata nei primi anni '90 in reazione allo scioglimento del PCI
come “il cuore dell'opposizione”, è stata condotta dai propri gruppi dirigenti nel compromesso di governo
con DS/PD, sia nelle giunte locali, sia, ripetutamente, nei governi nazionali (governi Prodi), finendo col
votare la precarizzazione del lavoro, le missioni di guerra, i tagli sociali. Tutto ciò contro cui formalmente
era nata. Col conseguente suicidio.
La risultante di tutto questo è molto semplice: la classe lavoratrice si trova priva di una propria
rappresentanza politica proprio nel momento della più grande crisi capitalistica degli ultimi ottanta anni.
Proprio nel momento della peggiore offensiva padronale nei luoghi di lavoro, e della peggiore
aggressione reazionaria sul piano politico e istituzionale. Il dilagare, anche tra i lavoratori, delle forme
più deteriori di populismo reazionario (Salvini, Grillo) è un effetto di questa deriva generale.

L'UNICO MODO DI ONORARE LA RESISTENZA:
COSTRUIRE LA SINISTRA DI CLASSE
Se tutto questo è vero, la conclusione è una sola. Va ricostruito, controcorrente, un partito indipendente
della classe lavoratrice. Ma può essere costruito solo attorno a un programma anticapitalista, fuori e
contro quel trasformismo governista che ha corrotto la lunga storia della sinistra italiana. I lavoratori non
hanno bisogno dell'ennesimo partito che chiede i voti operai per poi tradirli. Non hanno bisogno
dell'ennesimo partito “riformista”, la cui unica ambizione sia governare il capitalismo, salvo poi una volta
al governo gestire regolarmente le controriforme sociali che la crisi capitalista dispensa (Tsipras). Hanno
bisogno finalmente di una sinistra che non tradisca: che riconduca ogni lotta di resistenza ad una
prospettiva alternativa di società e di potere. L'unica reale alternativa al fallimento del capitalismo: una
alternativa rivoluzionaria e socialista, in Italia e nel mondo.
Per questo, costruire il Partito Comunista dei Lavoratori è il modo migliore di onorare la memoria delle
domande rivoluzionarie della Resistenza.