LA NECESSITA' DI UN'ALTERNATIVA RIVOLUZIONARIA
I risultati elettorali del 6 Maggio in diversi paesi europei riflettono la profonda crisi di consenso delle politiche dominanti.
Tutti i governi borghesi, di ogni colore, subiscono una crisi di rigetto della maggioranza della società.
Ovunque, in forme diverse, il combinato della crisi sociale e della crisi politica dei governi alimenta una polarizzazione politica del voto, ben al di là del recinto della tradizionale alternanza.
In Francia il rigetto di Sarkosy premia la socialdemocrazia francese, dentro l'alveo apparente di un normale ricambio di governo: ma l'ascesa combinata della sinistra riformista del Fronte de Gauche ( Malenchon) e soprattutto del movimento neofascista del Fronte Nazionale ( Le Pen)indebolisce la stabilità politica del ricambio, tanto più a fronte della continuità della crisi sociale.
In Grecia il ripudio di massa del massacro sociale imposto al popolo greco si traduce nel collasso elettorale dei due partiti di governo, ed in particolare della vecchia socialdemocrazia ( Pasok): spingendo ad una polarizzazione politica estrema tra la forte ascesa della sinistra riformista ( Syriza) da un lato, e la minacciosa avanzata di forze neonaziste ( Alba dorata) dall'altro.
Ne consegue un quadro di estrema instabilità politica che il prossimo governo di unità nazionale, sotto il peso della crisi, contribuirà ulteriormente ad alimentare.
Le elezioni sono il termometro della crisi, non certo la sua soluzione. Dopo 5 anni di crisi capitalista e di enormi sacrifici sociali, la maggioranza della società esprime col voto una domanda di svolta. Ma il ritardo del movimento operaio nel costruire la propria alternativa alla crisi sociale, alimenta una massa critica di populismo reazionario, variamente composto, che è senza precedenti nell'Europa del dopoguerra. Questo è il fondamento sociale del voto del 6 Maggio.
Tanto più in questo quadro, le stesse forze beneficiarie, a sinistra, della domanda di cambiamento sono del tutto incapaci di darle una prospettiva.
Il governo socialdemocratico di Hollande agirà in tutto e per tutto dentro il quadro del capitalismo francese e dei suoi interessi in Europa. Il suo tentativo sarà quello di negoziare col capitalismo tedesco un nuovo equilibrio della politica comunitaria tra “rigore” di bilancio e spese per “la crescita”: e per questo Hollande riceve l'appoggio politicamente trasversale di quelle forze politiche europee interessate ad allentare la pressione della BCE ai fini della salvaguardia dei propri elettorati. Ma “aggiungere la crescita al rigore” significa in prosa una cosa sola: il rigore antioperaio continuerà dentro le maglie di un fiscal compact che lo stesso Hollande non mette come tale in discussione; mentre i possibili più ampi margini di spesa, già contenuti dal debito statale verso le banche, serviranno per lo più a finanziare il pagamento del debito alle imprese e alle banche, cioè la gestione del “rigore”. Nel frattempo la recessione economica in Europa continuerà a distruggere milioni di posti di lavoro. Il governo Hollande, già sostenuto dal borghese Bayrou ( il Casini francese), non darà alcuna svolta ai lavoratori francesi ed europei: sarà solo un capitolo delle politiche di austerità sullo sfondo di una crisi capitalistica irrisolta.
A loro volta le sinistre riformiste di Francia e di Grecia sono incapaci per loro natura di rispondere alla gravità della crisi di cui sono elettoralmente beneficiarie.
Fronte de Gauche e Syriza sono due diverse riedizioni del bertinottismo italiano: retorica sociale, prosa immaginifica, vocazione ministeriale.
Malenchon, già sostenitore appassionato dell'intervento militare imperialista in Libia, mira a conquistare una massa critica di consenso con cui negoziare con la socialdemocrazia da cui proviene. A questo fine non entrerà probabilmente nel governo Hollande, ma lo sosterrà “criticamente” dall'esterno (come Bertinotti fece col primo governo Prodi, votando l'introduzione del lavoro interinale). In ogni caso rimuoverà il proprio ruolo di opposizione a sinistra, lasciando alla destra peggiore la prateria dell'opposizione. Un disastro annunciato.
Syriza ha sicuramente raccolto una grande domanda di cambiamento a sinistra; ha capitalizzato il crollo del PASOK ; ha beneficiato della politica immobile del KKE stalinista, interamente dedita ad una politica di divisione delle lotte funzionale alla pura autoconservazione del proprio spazio politico e istituzionale. Ma il suo programma di negoziazione del debito greco, contro la proposta del suo annullamento; la sua proposta di un controllo pubblico sulle banche private, contro la rivendicazione della loro nazionalizzazione; le sue illusioni su una possibile “Europa sociale e democratica” in ambito capitalistico, contro la rivendicazione degli Stati Uniti Socialisti d'Europa, la confinano nell'ambito di un riformismo impotente, del tutto incapace di tracciare una via d'uscita dalla crisi. Così ha commentato un inviato de Il Manifesto a pochi giorni dal voto: “Il programma di Syriza è in realtà talmente moderato da poter piacere a tutte le forze semplicemente antiliberiste”. C'è poco da aggiungere. Se non che il puro antiliberismo ha poco da dire di fronte alla crisi strutturale del capitalismo europeo, e al fallimento in essa dell'interventismo pubblico keynesiano degli Stati.
La verità è che la crisi europea ripropone con più forza il nodo di fondo: o il movimento operaio imporrà la propria soluzione della crisi con un'azione rivoluzionaria di massa, o la profondità della crisi capitalista trascinerà contro il movimento operaio la barbarie sociale e la reazione politica. Sullo sfondo della più grande crisi capitalista degli ultimi 80 anni, rivoluzione e reazione tenderanno a confrontarsi come negli anni 20 e 30.
La costruzione di partiti rivoluzionari in tutto il continente è l'unica risposta vera alla disperazione sociale che percorre l'Europa. E l'unica risposta di fondo alla stessa minaccia reazionaria.
Tutti i governi borghesi, di ogni colore, subiscono una crisi di rigetto della maggioranza della società.
Ovunque, in forme diverse, il combinato della crisi sociale e della crisi politica dei governi alimenta una polarizzazione politica del voto, ben al di là del recinto della tradizionale alternanza.
In Francia il rigetto di Sarkosy premia la socialdemocrazia francese, dentro l'alveo apparente di un normale ricambio di governo: ma l'ascesa combinata della sinistra riformista del Fronte de Gauche ( Malenchon) e soprattutto del movimento neofascista del Fronte Nazionale ( Le Pen)indebolisce la stabilità politica del ricambio, tanto più a fronte della continuità della crisi sociale.
In Grecia il ripudio di massa del massacro sociale imposto al popolo greco si traduce nel collasso elettorale dei due partiti di governo, ed in particolare della vecchia socialdemocrazia ( Pasok): spingendo ad una polarizzazione politica estrema tra la forte ascesa della sinistra riformista ( Syriza) da un lato, e la minacciosa avanzata di forze neonaziste ( Alba dorata) dall'altro.
Ne consegue un quadro di estrema instabilità politica che il prossimo governo di unità nazionale, sotto il peso della crisi, contribuirà ulteriormente ad alimentare.
Le elezioni sono il termometro della crisi, non certo la sua soluzione. Dopo 5 anni di crisi capitalista e di enormi sacrifici sociali, la maggioranza della società esprime col voto una domanda di svolta. Ma il ritardo del movimento operaio nel costruire la propria alternativa alla crisi sociale, alimenta una massa critica di populismo reazionario, variamente composto, che è senza precedenti nell'Europa del dopoguerra. Questo è il fondamento sociale del voto del 6 Maggio.
Tanto più in questo quadro, le stesse forze beneficiarie, a sinistra, della domanda di cambiamento sono del tutto incapaci di darle una prospettiva.
Il governo socialdemocratico di Hollande agirà in tutto e per tutto dentro il quadro del capitalismo francese e dei suoi interessi in Europa. Il suo tentativo sarà quello di negoziare col capitalismo tedesco un nuovo equilibrio della politica comunitaria tra “rigore” di bilancio e spese per “la crescita”: e per questo Hollande riceve l'appoggio politicamente trasversale di quelle forze politiche europee interessate ad allentare la pressione della BCE ai fini della salvaguardia dei propri elettorati. Ma “aggiungere la crescita al rigore” significa in prosa una cosa sola: il rigore antioperaio continuerà dentro le maglie di un fiscal compact che lo stesso Hollande non mette come tale in discussione; mentre i possibili più ampi margini di spesa, già contenuti dal debito statale verso le banche, serviranno per lo più a finanziare il pagamento del debito alle imprese e alle banche, cioè la gestione del “rigore”. Nel frattempo la recessione economica in Europa continuerà a distruggere milioni di posti di lavoro. Il governo Hollande, già sostenuto dal borghese Bayrou ( il Casini francese), non darà alcuna svolta ai lavoratori francesi ed europei: sarà solo un capitolo delle politiche di austerità sullo sfondo di una crisi capitalistica irrisolta.
A loro volta le sinistre riformiste di Francia e di Grecia sono incapaci per loro natura di rispondere alla gravità della crisi di cui sono elettoralmente beneficiarie.
Fronte de Gauche e Syriza sono due diverse riedizioni del bertinottismo italiano: retorica sociale, prosa immaginifica, vocazione ministeriale.
Malenchon, già sostenitore appassionato dell'intervento militare imperialista in Libia, mira a conquistare una massa critica di consenso con cui negoziare con la socialdemocrazia da cui proviene. A questo fine non entrerà probabilmente nel governo Hollande, ma lo sosterrà “criticamente” dall'esterno (come Bertinotti fece col primo governo Prodi, votando l'introduzione del lavoro interinale). In ogni caso rimuoverà il proprio ruolo di opposizione a sinistra, lasciando alla destra peggiore la prateria dell'opposizione. Un disastro annunciato.
Syriza ha sicuramente raccolto una grande domanda di cambiamento a sinistra; ha capitalizzato il crollo del PASOK ; ha beneficiato della politica immobile del KKE stalinista, interamente dedita ad una politica di divisione delle lotte funzionale alla pura autoconservazione del proprio spazio politico e istituzionale. Ma il suo programma di negoziazione del debito greco, contro la proposta del suo annullamento; la sua proposta di un controllo pubblico sulle banche private, contro la rivendicazione della loro nazionalizzazione; le sue illusioni su una possibile “Europa sociale e democratica” in ambito capitalistico, contro la rivendicazione degli Stati Uniti Socialisti d'Europa, la confinano nell'ambito di un riformismo impotente, del tutto incapace di tracciare una via d'uscita dalla crisi. Così ha commentato un inviato de Il Manifesto a pochi giorni dal voto: “Il programma di Syriza è in realtà talmente moderato da poter piacere a tutte le forze semplicemente antiliberiste”. C'è poco da aggiungere. Se non che il puro antiliberismo ha poco da dire di fronte alla crisi strutturale del capitalismo europeo, e al fallimento in essa dell'interventismo pubblico keynesiano degli Stati.
La verità è che la crisi europea ripropone con più forza il nodo di fondo: o il movimento operaio imporrà la propria soluzione della crisi con un'azione rivoluzionaria di massa, o la profondità della crisi capitalista trascinerà contro il movimento operaio la barbarie sociale e la reazione politica. Sullo sfondo della più grande crisi capitalista degli ultimi 80 anni, rivoluzione e reazione tenderanno a confrontarsi come negli anni 20 e 30.
La costruzione di partiti rivoluzionari in tutto il continente è l'unica risposta vera alla disperazione sociale che percorre l'Europa. E l'unica risposta di fondo alla stessa minaccia reazionaria.
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