Sabato 23 marzo è stata
inaugurata ad Ancona una statua emblema sulla violenza delle donne. Nonostante
i buoni propositi da cui è partita l’idea, la statua ripropone gli stereotipi
che affliggono il corpo e la figura femminile. Probabilmente non hanno comunicato
all’artista che il motivo dell’opera era “violenza di genere” e non “calendario
Pirelli” e non stupisce certamente alle donne sapere che questa espressione
artistica sia stata creata da un uomo. A testimonianza di ciò si nota come la
donna “Violata” sia stata appositamente resa con un profilo perfetto,
diversamente dalle precedenti opere dell’autore, in particolare la “donna con
borsa” da cui è stata tratta l’opera in questione, che presentava lo stesso
identico modello ma con forme molto più imperfette ed “umane”, che ricordavano
molto di più una donna reale,piuttosto della pin-up di Ancona.
Il corpo, rigorosamente
alto e longilineo, con una siluette invidiabile ad una top model e i seni,
chiaramente appena rifatti, suggerisce che la realizzazione finale dell’opera
si sia discostata fortemente dall’iniziale idea per cui è stata commissariata.
Altro stereotipo da film
americano è la borsetta da passeggio che la donna violata porta con se, che
suggerisce una violenza avvenuta all’esterno, a seguito di un incontro
accidentale con uno sconosciuto: sappiamo benissimo invece che la maggior parte
degli stupri avviene proprio dentro le mura domestiche e per opera di uomini
conosciuti dalla vittima o più spesso dai suoi stessi familiari. È paradossale il fatto che una statua, che
dovrebbe porsi come simbolo della violenza di genere, sia la riproduzione, in
realtà, di un’immagine maschilista che con grande sforzo, da tempo, le donne
tentano di combattere. La violenza di genere è una violenza perpetuata sulle
donne proprio in quanto categoria storicamente, culturalmente e socialmente
resa ostaggio dalla dominazione maschile nella società; una violenza che ricorre
alla sottomissione sociale, economica, lavorativa della donna, che si nutre
del controllo sul corpo femminile e che
propone un’immagine di donna vincente solo grazie al suo aspetto fisico e che
deve avere come unico scopo il piacere dell’uomo. Non è il nudo della statua ad
essere percepito come offesa, né viene dubitata la presunta artisticità della
scultura: ad essere criticata è la scelta, profondamente legata a canoni sessisti,
utilizzata per simboleggiare il sopruso di genere. È semplice finanziare una
statua contro la violenza sulle donne, meno facile promuovere misure efficaci
che creino concretamente supporti e contrastino l’esclusione e la
subordinazione femminile. Secondo un’ultima ricerca sono 117 i centri
antiviolenza in Italia, di cui 93 gestiti da Associazioni di donne e, di
questi, solo 56 hanno case di ospitalità; a fronte di un 46 % di donne vittime
di abusi e maltrattamenti. La maggior
parte delle Associazioni è autofinanziata (in minima parte) e si sostiene con fondi comunali, regionali, europei
che vengono continuamente interrotti o tagliati. Il sostegno alle donne, quindi,
passa attraverso il privato sociale e non attraverso un’azione diretta dello
Stato. Lo stesso Stato che erige statue alle donne per poi praticare drastici
tagli alla spesa sociale e assistenziale, per privilegiare il finanziamento
della banda del 5 %, delle spese militari,
per sostenere la chiesa cattolica che da secoli impone la sudditanza
femminile e ostacola la piena autonomia decisionale e di autogestione della donna, che mette continuamente in discussione
la legge 194, ostacola la pillola abortiva e pratica un continuo controllo sul
corpo e l’identità femminile. La violenza di genere è frutto di un’oppressione
economica e culturale, che provoca una continua mercificazione e mortificazione
del corpo femminile, voluta dal capitalismo per mantenere il proprio assetto di potere e di controllo. La
battaglia per i diritti e l’autodeterminazione delle donne, di conseguenza, passa
unicamente attraverso la lotta di classe. Solo una prospettiva rivoluzionaria
che porta al rovesciamento dell’attuale assetto politico può condurre ad una
liberazione dalle forme di sfruttamento delle lavoratrici e, quindi, delle donne.
Marianna Leone
Partito Comunista dei
Lavoratori Sezione Ancona
1 commento:
Veramente,anche le vesti stracciate diventano erotiche messe in questa raffigurazione.
Goffredo
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