26/05/10

Acqua pubblica o privata? Da Giolitti a Ronchi

Trascrivo dal sito "Irispress" questo post del 19 novembre scorso che sintetizza un secolo di interventi normativi sul bene comune acqua: dalla "municipalizzazione" decretata dalla legge Giolitti nel marzo 1903 alla "privatizzazione obbligatoria" stabilita per decreto legge, convertito con voto di fiducia, dal governo Berlusconi nel 2009.
Viene spontaneo osservare che la parabola dell'acqua sembra rinchiudere in sé il senso di un passaggio storico più complessivo: quello segnato agli inizi del XX secolo dall'ascesa e alla fine del secolo dal riflusso del movimento operaio e delle lotte per i diritti collettivi.
Saprà l'attuale battaglia per l'acqua bene comune pubblico essere il punto di partenza della riscossa, un nuovo punto di svolta storico? Bisogna lavorare proprio per questo: anche per questo diciamo che si tratta di una battaglia di civiltà.
[t.b., 24 maggio 2010]


ACQUA: DALLA LEGGE GALLI ALLA RONCHI




(IRIS) - Roma, 19 nov. - Approvata la riforma del servizio idrico con il via libera definitivo dell'Aula della Camera al decreto legge Ronchi sugli obblighi comunitari che ne disciplina la gestione all'articolo 15.
Ma l'oro blu ne ha già 'passate' tante nell'ultimo secolo e questo è l'ennesimo cambiamento che, più di tutti gli altri, mette nell'angolo la gestione pubblica e amplia gli spazi per quella privata.
La storia parte da lontano. Fu sotto il governo Giolitti [in realtà Giolitti, allora potente ministro degli interni, fu il promotore della legge, ma capo del governo era Zanardelli; ndtb] che venne approvata la legge nazionale per la municipalizzazione degli acquedotti. Una scelta scaturita dai problemi igienico-sanitari, dagli alti costi per i cittadini e dalla necessità di estendere il servizio alle fasce più povere della popolazione.
Novantuno anni dopo, con la legge Galli, è iniziato invece il processo di privatizzazione. La legge del 5 gennaio 1994 n. 36, come spiega Paolo Carsetti, segretario del Forum italiano dei movimenti per l'acqua, "ha sancito, infatti, il principio del full recovery cost. Principio in base al quale tutto il costo della gestione del servizio idrico deve essere caricato sulla bolletta e non è più, quindi, la fiscalità generale a farsene carico. In particolare con la legge Galli viene stabilito che ognuno paga in bolletta il 7% di quanto il gestore ha investito. L'acqua, però, doveva essere comunque gestita dagli enti locali".
La legge Galli, argomenta l'idrogeologo, ha comunque il merito di aver riorganizzato il servizio. Fino a quel momento c'era stato un forte spezzettamento dei gestori del servizio. All'interno dello stesso territorio c'erano tanti: uno che faceva fronte ai servizi di captazione, uno per l'adduzione ed un altro per la depurazione. Uno spezzettamento che aveva portato alla presenza di "un numero di gestori superiore a quello dei comuni".
Di fronte a questo stato di cose, la Legge 36 ha introdotto "il concetto di ciclo integrato dell'acqua e quindi la necessità di un unico gestore per l'intero ciclo. A questo fine ha individuato gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) in corrispondenza (almeno in linea teorica) dei bacini idrografici (in realtà sono stati ricalcati i confini amministrativi).
Nel 2000 è arrivato il TUEL, il Testo Unico Enti locali che ha previsto tre modalità di affidamento per la gestione del servizio idrico: alle Spa private scelte con gara; alle Spa miste pubblico-private e infine alle Spa pubbliche tramite affidamento diretto.
Di fatto però, rileva il segretario Fima, "in molti casi le gare non si sono svolte e in ogni caso nel TUEL è rimasta, se pure in parte residuale, la possibilità di gestire l'acqua attraverso enti di diritto pubblico".
Sei anni dopo è intervenuto il decreto legislativo 152 del 2006 che ha ribadito le tre modalità di gestione fissate dal TUEL.
Nel 2008, poi, la cosiddetta manovra estiva, varata con il decreto 112 del 25 giugno 2008 (Legge 133 del 2008) ha introdotto altre novità prevedendo, in particolare, che "le modalità ordinarie sono quelle dell'affidamento ai privati tramite gara e che, solo in via derogatoria, l'affidamento può essere fatto senza gara e verso società a totale capitale pubblico, le cosiddette in house, in linea con i tre criteri UE.
Il decreto - evidenzia Carsetti - ha poi demandato altri dettagli, incluso il regime transitorio, ad una serie di decreti attuativi che, però, non sono mai arrivati".
Ed è a questo punto che il governo ha deciso di introdurre le misure contenute nell'articolo 15 dell'attuale decreto sugli obblighi comunitari dando seguito a ciò che era rimasto sospeso.
Autore: Faber

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