04/02/09

Contro il Sionismo e l'Antisemitismo, fermiamo il massacro!

Equidistanti. Non possiamo che definirci tali parlando di religione islamica ed ebraica a proposito dell’ultima escalation di violenze in Palestina. Non possiamo appoggiare né le ragioni dei fondamentalisti islamici né quelle degli ebrei ortodossi, che per noi sono e rimangono delle aberrazioni della razionalità e dell’intelletto da combattere a tutti i costi.
Non riusciamo a rimanere però imparziali di fronte all’ennesima aggressione israeliana che in questi giorni sta insanguinando la striscia di Gaza.
Al contrario dei benpensanti della nostra politica (sia di centrodestra sia di centrosinistra), che, facendo a gara a chi si dimostra più riverente nei confronti del sionismo internazionale, considerano un crimine bruciare una bandiera simbolo dell’ oppressione dei popoli mentre accettano tacitamente lo sterminio sistematico di bambini palestinesi, noi ci schieriamo apertamente in difesa di questi ultimi.
Come in ogni angolo del globo in cui un popolo, per la sua autodeterminazione e diritto ad esistere, si trova a lottare contro i giganti dell’imperialismo mondiale che mirano a sottometterlo e distruggerlo, la nostra scelta non può che essere al fianco dei più deboli e degli oppressi.
In generale proprio perchè non abbiamo interessi economici, né di partito, da difendere, come invece capita al governo ed all’opposizione (quella ufficiale almeno) in Italia, tali da giustificare alcuna guerra di occupazione imperialista. Figuriamoci una vera e propria “pulizia etnica” come quella in atto in Palestina.
In particolare perché la situazione a Gaza è paradossale e non più tollerabile, né per i palestinesi né per gli israeliani che abbiano un po’ di buon senso.

La premeditata cancellazione da parte di media, diplomatici ed ideologi borghesi, delle ragioni storiche della guerra non potrà farci cambiare idea.
I palestinesi sono e rimangono un popolo che dal 1948 vive sotto occupazione militare da parte di uno stato nato dal nulla ed a tavolino, dopo la seconda guerra mondiale. In parte per ragioni politiche e sociali, in altra basandosi addirittura sulle sacre scritture.
Sono stati oggetto di terrorismo antiarabo da parte del movimento sionista fin dall’inizio del XX secolo.
Sono stati cacciati dalle loro terre da una ristretta minoranza ebrea che ha voluto costruire una nazione teocratica, costituita da cittadini che non erano nati né vissuti in Palestina, ma in cui l’unico requisito di appartenenza è la religione e l’unico diritto vantato su quelle terre è spesso riscontrabile solo nei testi religiosi ebraici.
L’unica colpa del popolo arabo palestinese è di non godere degli appoggi internazionali su cui invece Israele può contare, di non suscitare nelle forze neoimperialiste europee e statunitensi gli stessi interessi economico-commerciali, di vivere nella terra appartenuta un tempo ai fondatori dell’ebraismo, i cui fedeli, dopo la terrificante persecuzione subita negli anni precedenti il 1948, meritavano una sorta di indennizzo.

Oggi, gli obiettivi di cui spesso parla il governo israeliano e che spesso compaiono nelle esortazioni degli alleati (tra cui il governo italiano) a proseguire con le incursioni, sono chiari a tutti: le scuole, le abitazioni private, le sedi dell’Onu, gli edifici della Stampa internazionale. Quello che forse non è ancora chiaro a tutti è l’obiettivo finale di questi feroci stermini: l’annientamento ed il soggiogamento completo dei pochi palestinesi che ad oggi sopravvivono ancora a Gaza ed in Cisgiordania, stipati in triangoli di terra tra i più popolosi al mondo.
Il governo israeliano uccide i membri del governo palestinese (che seppur criticabile è stato regolarmente eletto) e non risparmia i civili (ricorrendo persino ad armi non consentite come le bombe al fosforo e l’uranio impoverito). Impedisce il rientro dei milioni di profughi palestinesi resi tali da quasi un secolo di diaspora. Discrimina gli arabi presenti in Israele con leggi razziste e discriminazioni religiose. Monopolizza le risorse naturali dell’intero territorio palestinese e sfrutta ferocemente la mano d’opera araba. Calpesta i trattati internazionali, non accetta nessuna trattativa con le altre forze diplomatiche né le risoluzioni, pur sbilanciate a proprio favore, dell’Onu. Continua a favorire, più o meno apertamente, l’insediamento delle colonie di occupazione paramilitare degli ebrei ultraortodossi nei territori ancora occupati dagli arabi. Continua a reprimere, con metodi militaristici ed intimidatori, ogni forma di dissenso interno.
Lo stato d’Israele ed il suo governo sono il problema non la soluzione della crisi mediorientale.
Invece di stupirsi della deriva fondamentalistica e terroristica che rischia di prendere oggi la nuova resistenza palestinese, bisognerebbe essere meno ipocriti e ammettere che è proprio questo atteggiamento a favorirla. La Palestina oggi somiglia più ad un enorme campo di concentramento, dove sono stipati milioni di palestinesi, senza possibilità di muoversi liberamente, formato da frammenti di territorio isolati dalla frapposizione di zone sotto controllo israeliano, a cui sono state sottratte tutte le risorse, soprattutto quelle idriche, in cui le organizzazione politiche e militari di matrice laica e progressista sono state sistematicamente decapitate con omicidi ed arresti politici o con manovre atte ad insediare fantocci dell’imperialismo come Abu Mazen. Come si può pensare che in un paese in queste condizioni non fiorisca il germoglio di uno dei peggiori mali dei nostri tempi: l’odio tra i popoli e tra le religioni.

L’unico modo per fermare questa guerra è ora allargare la mobilitazione a tutti i paesi occidentali, facendo pressione sui governi, europei e statunitensi in particolare, perché interrompano immediatamente il commercio delle armi, i rapporti diplomatici ed i sodalizi commerciali di qualsiasi genere con Israele. E’ indubbia inoltre la necessità di creare, (come in tutto il mondo e come sta già cercando di fare il Partito Comunista dei Lavoratori che ha in Palestina una piccola sezione della propria organizzazione internazionale) un’opposizione di classe in Israele e Palestina stessi, che possa funzionare come punto di riferimento planetario del movimento dei lavoratori per uscire dalla crisi in quell’area. Bisogna infine ripensare radicalmente l’assetto geografico dello stato d’Israele e dell’intero mediooriente, come scriveva, già nel ’48, il Gruppo Trotskista di Palestina, dobbiamo lottare per l’unificazione della Palestina e dell’oriente in generale in una federazione socialista del Medio Oriente.

Noi come al solito siamo per la pace. Siamo per l’unica soluzione possibile. Siamo orgogliosamente antisionisti, al fianco della migliore tradizione ebraica. Solo la prospettiva di una Palestina Libera, unita, laica, socialista, rispettosa dei diritti di tutte le minoranze etniche e religiose, potrà dare pace agli arabi ed agli ebrei. Chiudendo finalmente quelle pagine del colonialismo da cui nacque dal terrore lo stato di Israele.
"Infamia e disonore su coloro che seminano l'odio contro gli ebrei" dichiarava Lenin, e oggi questi “coloro” sono proprio i responsabili del genocidio palestinese.

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