Mario Monti ha assunto il progetto Tav in Val di Susa come simbolo del proprio governo: non solo della propria credibilità di garante degli immensi interessi coinvolti nell'opera, ma anche della propria forza d'ordine nella gestione delle piazze.
La difesa del progetto Tav nel nome dell'” interesse generale delle generazioni future” è un manifesto di ipocrisia. E' il solito motivetto ideologico con cui da vent'anni si tagliano pensioni, si precarizza il lavoro, si distruggono diritti. Chi non ha niente da offrire ma solo da togliere ai vivi, vuole far credere loro di lavorare per la storia . E se i vivi non abboccano, è pronto il manganello. Questa è la sostanza. E ha molto poco di “tecnico”: ha molto a che vedere invece con il mandato imperativo di banche, industriali, costruttori. La questione Tav è solo una insegna: non dell'”antagonismo”, se non di riflesso, ma del governo.
Non si ricorda peraltro una seduta straordinaria di governo interamente dedicata alla gestione minacciosa della piazza, se non ai tempi di Scelba. Ci voleva un governo “tecnico” per restaurare la peggiore tradizione politica reazionaria?
Ma un governo che sceglie quel terreno di confronto sceglie perciò stesso di politicizzarlo al livello più alto. E allora c'è bisogno di una risposta di massa più generale che riconduca le ragioni No Tav ad un programma anticapitalista e ad una mobilitazione straordinaria di tutti gli sfruttati.
I No Tav non possono vincere da soli. Né solamente in virtù di una solidarietà nazionale alla loro lotta, che pur è prioritaria e urgente. Possono vincere se confluiranno in una rivolta popolare e di classe contro il governo, i poteri che lo sostengono, i partiti che l'appoggiano: una rivolta che ribalti i rapporti di forza complessivi e apra dal basso uno scenario nuovo. Ma questa rivolta richiede una bandiera più larga della Val di Susa: una bandiera che rivendichi il blocco dei licenziamenti, la ripartizione fra tutti del lavoro, un salario sociale vero per i disoccupati, un grande piano di opere sociali - finanziato dalla tassazione delle grandi ricchezze a dal ripudio del debito verso le banche- che assorba al suo interno le stesse domande No Tav. Le decine di miliardi previsti per la TAV vengano investiti nella bonifica dall'amianto, nei treni pendolari, nella ricostruzione del sistema sanitario, nell'istruzione pubblica.., invece che infilati nelle tasche di banchieri, costruttori, imprese mafiose per avvelenare una valle!
Così formulata, questa rivendicazione può essere un ponte prezioso gettato verso la classe operaia, verso l'enorme massa dei lavoratori precari, verso i disoccupati: per chiedere che sia il mondo del lavoro e le sue organizzazioni a unificare e dirigere il fronte di massa attorno a un comune programma di lotta, che faccia proprie le ragioni di tutti gli oppressi.
Il Partito Comunista dei Lavoratori, impegnato ovunque nelle mobilitazioni No Tav, porterà questa rivendicazione di fronte unico anticapitalista nello sciopero generale della Fiom del 9 Marzo e nella manifestazione nazionale di Roma.
La difesa del progetto Tav nel nome dell'” interesse generale delle generazioni future” è un manifesto di ipocrisia. E' il solito motivetto ideologico con cui da vent'anni si tagliano pensioni, si precarizza il lavoro, si distruggono diritti. Chi non ha niente da offrire ma solo da togliere ai vivi, vuole far credere loro di lavorare per la storia . E se i vivi non abboccano, è pronto il manganello. Questa è la sostanza. E ha molto poco di “tecnico”: ha molto a che vedere invece con il mandato imperativo di banche, industriali, costruttori. La questione Tav è solo una insegna: non dell'”antagonismo”, se non di riflesso, ma del governo.
Non si ricorda peraltro una seduta straordinaria di governo interamente dedicata alla gestione minacciosa della piazza, se non ai tempi di Scelba. Ci voleva un governo “tecnico” per restaurare la peggiore tradizione politica reazionaria?
Ma un governo che sceglie quel terreno di confronto sceglie perciò stesso di politicizzarlo al livello più alto. E allora c'è bisogno di una risposta di massa più generale che riconduca le ragioni No Tav ad un programma anticapitalista e ad una mobilitazione straordinaria di tutti gli sfruttati.
I No Tav non possono vincere da soli. Né solamente in virtù di una solidarietà nazionale alla loro lotta, che pur è prioritaria e urgente. Possono vincere se confluiranno in una rivolta popolare e di classe contro il governo, i poteri che lo sostengono, i partiti che l'appoggiano: una rivolta che ribalti i rapporti di forza complessivi e apra dal basso uno scenario nuovo. Ma questa rivolta richiede una bandiera più larga della Val di Susa: una bandiera che rivendichi il blocco dei licenziamenti, la ripartizione fra tutti del lavoro, un salario sociale vero per i disoccupati, un grande piano di opere sociali - finanziato dalla tassazione delle grandi ricchezze a dal ripudio del debito verso le banche- che assorba al suo interno le stesse domande No Tav. Le decine di miliardi previsti per la TAV vengano investiti nella bonifica dall'amianto, nei treni pendolari, nella ricostruzione del sistema sanitario, nell'istruzione pubblica.., invece che infilati nelle tasche di banchieri, costruttori, imprese mafiose per avvelenare una valle!
Così formulata, questa rivendicazione può essere un ponte prezioso gettato verso la classe operaia, verso l'enorme massa dei lavoratori precari, verso i disoccupati: per chiedere che sia il mondo del lavoro e le sue organizzazioni a unificare e dirigere il fronte di massa attorno a un comune programma di lotta, che faccia proprie le ragioni di tutti gli oppressi.
Il Partito Comunista dei Lavoratori, impegnato ovunque nelle mobilitazioni No Tav, porterà questa rivendicazione di fronte unico anticapitalista nello sciopero generale della Fiom del 9 Marzo e nella manifestazione nazionale di Roma.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
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