02/12/09

Il 5 Dicembre tutti in piazza a Roma per la massima unità di azione: ma con una proposta politica autonoma!



Il PCL sarà presente alla manifestazione nazionale del 5 dicembre contro il governo Berlusconi, ma con un’autonoma proposta politica rivolta all’insieme delle sinistre politiche e sindacali. Saremo presenti per la ragione più semplice: sarà una manifestazione di larga parte del popolo della sinistra, segnata da domande sociali e democratiche di svolta, indirizzata contro il governo più reazionario che l’Italia abbia conosciuto dal 1960. Un governo per di più oggi impegnato in un affondo populista plebiscitario che evoca apertamente la rottura istituzionale. Ogni defilamento da una manifestazione democratica sarebbe dunque ingiustificato. Peraltro non ci appartiene la scuola di pensiero secondo cui si partecipa ad una manifestazione solo quando la si promuove : vi si partecipa quando c’è il tuo popolo, è segnata da domande progressive, è diretta contro il comune avversario. Ma con la stessa chiarezza diciamo che proprio il contesto politico che fa da sfondo all’iniziativa pone una volta di più l’esigenza di una svolta di fondo della sinistra italiana, che parta da un punto di verità e di realismo. L’esperienza ci dice che Berlusconi non sarà né battuto né indebolito da manifestazioni una tantum, per quanto importanti e partecipate. Può essere battuto solo da una grande mobilitazione operaia e popolare a carattere prolungato che sappia incidere sui concreti rapporti di forza sociali e politici, approfondire le contraddizioni del blocco sociale reazionario, produrre una massa critica d’urto capace di destabilizzare gli equilibri dominanti. In altri termini , solo una rivolta sociale può piegare e cacciare questo governo. Ma l’impegno per questa prospettiva, certo non facile, implica una condizione precisa: l’emancipazione delle sinistre da ogni cultura istituzionale e governativa; la loro totale autonomia politica dal PD, dall’IDV, da ogni partito borghese; la loro immersione in un lavoro pancia a terra per l’unificazione e radicalizzazione del movimento di massa. Purtroppo non è l’aria che si respira nella sinistra italiana. Non mi riferisco solo o principalmente all’appello di convocazione della manifestazione del PRC del 5 dicembre, dove trovo francamente paradossale che in poche righe si riesca a combinare la sacrosanta rivendicazione delle dimissioni del governo con la richiesta che esso “cambi la propria politica sociale ed istituzionale”( ?!). Mi riferisco alla linea generale delle sinistre ex ministeriali: dove continuano a riproporsi, come se nulla fosse accaduto, tutti i riflessi condizionati della vecchia politica fallita. Da un lato nessuna proposta reale d’azione sul terreno dell’unificazione del movimento di lotta, a partire dal fronte cruciale delle aziende in crisi: nessuna indicazione per l’occupazione delle fabbriche che licenziano, per un coordinamento nazionale delle aziende in lotta, per la creazione di una vera cassa nazionale di resistenza; nessuna proposta di vertenza generale, prolungata e unificante, del mondo del lavoro; neppure un’indicazione di opposizione ad Epifani nel Congresso della CGIL, dove anzi la stessa” federazione” della sinistra si dispone, clamorosamente, a coprire il segretario( grande elettore di Bersani). Dall’altro lato il rigoroso mantenimento dei propri assessorati, l’allargamento delle coalizioni locali di governo addirittura all’UDC ( come in Liguria), la singolare proposta di un governo annuale “di garanzia” con PD,IDV,UDC,“per fare la riforma elettorale”: con l’implicita disponibilità a inevitabili compromissioni “per un anno” sul terreno delle politiche confindustriali e di guerra. A meno di non pensare che al fianco di Casini si possano ritirare le truppe. O che la guerra in Afghanistan possa prendersi un anno sabbatico. La verità è che ,al di là dei dinieghi , continua a primeggiare, sotto traccia, il richiamo della foresta di un” nuovo” centrosinistra, da rinegoziare e contrattare. Ciò vale in forma più lineare per Sinistra e Libertà: che punta al negoziato diretto col nuovo segretario del PD, del tutto incurante delle sue solide relazioni con ambienti confindustriali e bancari. Ma vale anche, in forma più mediata e prudente, per il PRC: che prova a riaprirsi il varco attraverso una relazione privilegiata con Di Pietro, da spendere contrattualmente col PD. La verità è che il cuore dei gruppi dirigenti della sinistra continua a battere là: in direzione della nostalgia istituzionale, del richiamo assessorile, del fascino discreto della “politica che conta” e che ti riconosce “un ruolo”, fosse pure al fianco dei tuoi avversari contro le ragioni che dovresti difendere. Purtroppo non è solo la linea che per 15 anni ha distrutto la sinistra italiana, compromettendola in politiche antioperaie che hanno spianato la strada ( ogni volta) al ritorno di Berlusconi. E’ anche la politica che oggi priva la sinistra di un ruolo autonomo nell’opposizione al governo ; che la subordina alternativamente o all’opposizione liberale del Pd, o alla guida populista di Di Pietro, proprio nel momento in cui sia i Liberali che i Populisti si mostrano incapaci di scalfire, nonostante la crisi, il blocco sociale berlusconiano; che la subordina di fatto a quella trama d’alternanza a Berlusconi oggi sospinta da ambienti finanziari ed editoriali che PD e UDC si candidano a rappresentare, e i cui interessi e programmi sono esattamente opposti a quelli dei lavoratori; che in ogni caso le impedisce una svolta decisiva di radicalità sul terreno delle lotte: perché non puoi muoverti su una prospettiva di rivolta sociale, se la tua politica insegue Bersani, assessorati e futuri ministeri. Per questo porteremo in piazza il 5 dicembre un’altra proposta politica. Che parte proprio dalla necessità di lavorare all’innesco di un’ esplosione sociale di massa, quale unico possibile ariete di sfondamento e fattore di vera alternativa . Sono i lavoratori e i movimenti di lotta ad aver battuto per due volte Berlusconi, nel 94 e nel 2002, bloccando i suoi piani antioperai, e preparando le condizioni della sua caduta. Ma per due volte le potenzialità del movimento operaio sono state subordinate all’egemonia dei liberali , quindi al centrosinistra, quindi alle ragioni di Confindustria : con un drammatico effetto di demotivazione di massa e di rivincita reazionaria. C’è un solo modo possibile di trarre lezione da questa esperienza: rifiutare definitivamente ogni subordinazione al liberalismo; unificare e sviluppare sino in fondo tutte le potenzialità di mobilitazione della classe operaia attorno ad un proprio programma di lotta indipendente, contro ogni logica di concertazione ; candidare il movimento operaio a forza egemone della più ampia mobilitazione popolare contro Berlusconi , nella prospettiva di un’alternativa di società e di potere: che punti a cacciare assieme a Berlusconi le classi dirigenti del Paese. Perché le sinistre italiane non uniscono nell’azione le proprie forze attorno a questa prospettiva di lotta indipendente , invece di contendersi l’una contro l’altra le attenzioni di Bersani o di Di Pietro, di Burlando o di Loiero?

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