13/08/09

Dieci Cento mille INNSE. La lotta radicale paga

Per l'occupazione di tutte le aziende che licenziano, sostenuta da una cassa nazionale di resistenza.
(12 Agosto 2009)
Milano, 12 agosto 2009. Dal presidio di sostegno alla lotta della INNSE di Lambrate, poco dopo mezzanotte. I quattro operai dell'officina e il sindacalista della Fiom sul carroponte da oltre una settimana sono usciti poco fa, dopo la conclusione di due giorni di trattative in Prefettura e il raggiungimento di un accordo che prevede la riassunzione dei 49 lavoratori, il mantenimento degli impianti e il rilancio del sito produttivo, festeggiati e abbracciati dai famigliari e da alcune centinaia di compagni e compagne che li attendevano con impazienza da diversi giorni...

La conclusione della vicenda Innse merita considerazioni generali. Non tanto di carattere strettamente sindacale, quanto di natura politica. Dal punto di vista sindacale, l'accordo definito è sostanzialmente positivo. Naturalmente va evitata ogni enfatizzazione. I nuovi padroni dell'azienda non sono certo benefattori. Troppe volte i lavoratori sono stati ingannati dalla demagogia riformista su manager o padroni “buoni” e “progressisti” stile Tronchetti Provera o Marchionne. La verità è che i padroni buoni non esistono: il loro unico valore è la convenienza del profitto. Il Gruppo Camozzi non fa e non farà eccezione. E questo è tanto più vero in una situazione di crisi capitalistica che rende precario ogni spazio di mercato e particolarmente volubile lo stesso interesse del profitto. Tuttavia, nella situazione data, i lavoratori della Innse hanno realizzato tre obiettivi, parziali ma centrali: il mantenimento del posto di lavoro, la salvaguardia dei macchinari, la preservazione del sito produttivo. Dieci giorni fa, un simile risultato sarebbe stato inimmaginabile. Oggi è stato conseguito. Ed è stato conseguito da un fattore decisivo: la lotta dei lavoratori, la loro determinazione a resistere ad oltranza. Ecco allora la prima considerazione politica: la lotta radicale paga. La dove falliscono i tradizionali scioperi simbolici o i vecchi minuetti delle relazioni istituzionali, la lotta radicale strappa il risultato. La vicenda Innse, nel suo piccolo, smentisce una volta di più il vecchio adagio secondo cui “le lotte radicali isolano i lavoratori, li portano in un vicolo cieco, li espongono all'inevitabile disfatta”. E' avvenuto l'opposto. Proprio la radicalità della lotta dell'Innse ed il suo carattere ad oltranza, a rafforzato l'unità dei lavoratori; ha raccolto attorno alla lotta un'ampia solidarietà operaia e popolare; ha approfondito le contraddizioni politiche e istituzionali dell'avversario (nazionali e locali); ha consentito di reggere alle intimidazioni di polizia e magistratura, finendo col suscitare simpatia fra gli stessi agenti di polizia; e infine ha vinto. E' una lezione preziosa per l'intero movimento operaio italiano. Ora si tratta di far tesoro di questa lezione e di generalizzarla. “C'è il rischio che il caso Innse faccia scuola”, titolava recentemente il “Sole 24 ore”. E alcuni organi di stampa borghese (il “Giorno”, il “Corriere”...) hanno evocato il rischio “contagio” del radicalismo operaio sino allo spettro di “un'occupazione delle fabbriche”. Bene: la preoccupazione della borghesia indica la via da seguire. Si va verso l'autunno di precipitazione sociale della crisi. In decine di aziende, finita la cassa integrazione, inizieranno i licenziamenti collettivi. L'aggressione padronale al lavoro conosce un salto di qualità. Vi è un solo modo di rispondere a questa valanga annunciata: mettere in campo una radicalità uguale e contraria. Opporre la forza alla forza. Ciò che significa promuovere l'occupazione operaia di tutte le aziende che licenziano. E' questa una forma di lotta di antiche tradizioni nel movimento operaio, anche italiano. E' una forma di lotta che incide direttamente sui rapporti di forza nel luogo stesso del conflitto. E' una forma di lotta che unisce i lavoratori contro il padrone attorno al primo obiettivo unificante: nessun licenziamento deve passare; nessun lavoratore deve pagare sulla propria pelle il cinismo o la bancarotta del proprio padrone. E' un obiettivo e una pratica di lotta che può unire attorno a sé centinaia di migliaia di lavoratori minacciati nel campo dell'industria e dei servizi. Ponendo fine alla tragedia della attuale frammentazione di mille vertenze isolate, senza obiettivi unificanti e spesso per questo senza futuro: molte più volte terreno di divisioni laceranti tra gli stessi lavoratori coinvolti a tutto vantaggio del padrone o del populismo reazionario. Chiediamo: si può aprire una discussione vera fra le diverse sinistra politiche e sindacali attorno a questa concreta prospettiva d'azione? Può la vicenda Innse dischiudere la porta di un confronto nuovo a sinistra, non più sui cartelli elettorali ma sul concreto della lotta di classe? Vi sono già ora in Italia tanti casi Innse in nuce. Vi sono decine di aziende in crisi presidiate permanentemente dai lavoratori, o già da questi occupate. Lo stesso richiamo della lotta dell'Innse può moltiplicare, nelle prossime settimane, il ricorso a pratiche radicali. Bene: proponiamo a tutte le sinistre politiche e sindacali di lavorare, già dai prossimi giorni per un primo coordinamento nazionale delle rappresentanze operaie di queste aziende presidiate o occupate. Per far sì che sia questo coordinamento unitario, fondato sul mandato democratico delle diverse assemblee dei lavoratori a lanciare la parola d'ordine della generalizzazione delle occupazioni. Parallelamente è necessario allestire da subito una cassa unitaria di resistenza a carattere nazionale: che non sia un atto propagandistico di un partito politico, ma l'espressione organizzata dell'unità operaia e dell'unità di lotta di tutte le forze politiche e sindacali impegnante a suo sostegno; naturalmente sotto il controllo dei lavoratori. In questo quadro unitario di lotte, ogni corrente politica e sindacale avrà la possibilità di porre a confronto le proprie proposte rivendicative e programmatiche più generali. E il PCL, per parte sua, resta impegnato a sviluppare la propria campagna per la nazionalizzazione delle aziende in crisi e/o che licenziano, senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori, nella prospettiva della lotta generale per un governo dei lavoratori: convinti come siamo che proprio la profondità della crisi capitalistica e il fallimento delle vecchie classi dirigenti riproponga l'attualità storica di una alternativa di sistema, come unica reale alternativa. Ma ora, dopo il caso Innse, il punto più urgente di verifica è questo: esiste la disponibilità unitaria delle sinistre politiche e sindacali ad “andare a scuola” da questa lotta? Questo è il punto decisivo, cui nessun soggetto si può sottrarre. La risposta a questo interrogativo sarà parte dello scenario dell'autunno.
Marco Ferrando

1 commento:

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)