02/03/09

Perchè il PCL lavora ad una presentazione autonoma


La riforma della legge elettorale europea con sbarramento al 4%, imposta da Veltroni e Berlusconi, e sostenuta da IDV e UDC, risponde al cinico interesse politico dei principali partiti borghesi e delle loro leaderschip, in funzione di un disegno di americanizzazione del quadro politico italiano: un’ Italia con due grandi partiti della borghesia, senza forme di rappresentanza politica indipendente del movimento operaio e dei movimenti di massa. Un esito che certo rappresenterebbe un arretramento profondo del mondo del lavoro sul piano politico, con ricadute negative sullo stesso terreno della lotta di classe.


LA BANCAROTTA DEGLI STATI MAGGIORI DELLE SINISTRE

Ma le sinistre italiane sono pienamente corresponsabili, oltreché vittime, di questo scenario. Se l’operazione “4%” ha potuto affermarsi, è anche in ragione del crollo verticale, elettorale e politico, delle sinistre , della loro estromissione dal Parlamento nazionale, del mutamento dei rapporti di forza. E questo crollo ha una radice interamente politica: la subordinazione delle sinistre al centrosinistra per ben 15 anni, sino al loro diretto coinvolgimento nell’ultimo governo confindustriale di Romano Prodi e nelle sue politiche antioperaie e di guerra. Il fatto che SD, Verdi, PRC e PDCI non solo rimuovano il bilancio delle proprie responsabilità contro i lavoratori, ma continuino imperterriti a preservare ovunque possibile le proprie collocazioni di governo nelle amministrazioni locali, persino nelle situazioni più impresentabili , e persino nel momento in cui il PD punta alla loro distruzione, dimostra che neppure l’esperienza drammatica della disfatta è capace di riformare il codice politico di quelle formazioni. I cui gruppi dirigenti, oltretutto, hanno rivendicato per 15 anni quello sbarramento elettorale al 5% ( sistema tedesco) dal quale hanno finito per essere ghigliottinati: a riprova non solo di una profonda subordinazione al governismo borghese, e della conseguente negazione del principio democratico della proporzionale, ma anche di una perfetta irresponsabilità suicida. Peraltro proprio quella deriva politica ha trascinato con sé il loro cupio dissolvi in una frantumazione interna senza fine, in cui ogni ogni pezzo del ceto politico della disfatta( Ferrero, Vendola, Bertinotti, Diliberto, Fava) cerca di sopravvivere al proprio fallimento, senza l’ombra di un bilancio autentico e di una reale rettifica strategica.

Di più: l’annunciata presentazione elettorale di quei gruppi dirigenti in due (o più) liste tra loro contrapposte e concorrenziali( Ferrero e Diliberto da un lato, Vendola e Fava dall’altro), pur a fronte di una comune responsabilità politica e di un medesimo programma di fondo, rende probabile il completamento del loro suicidio istituzionale, e la vittoria purtroppo dell’operazione veltrusconiana. Ciò che aggrava, ad ogni livello, la parabola autodistruttiva della vecchia sinistra e il danno da essa arrecato al movimento operaio e al suo stesso popolo. Siamo davvero al paradosso: Vendola e Ferrero,Bertinotti e Diliberto, Mussi e Fava, hanno condiviso insieme il sostegno ai governi di centrosinistra; condividono la medesima collocazione nelle giunte di centrosinistra; condividono il medesimo affidamento al gruppo dirigente della CGIL e dunque il medesimo posizionamento nella lotta di classe; condividono insieme la stessa ispirazione programmatica di fondo sul terreno nazionale e internazionale, a partire dalla posizione sulla UE.. Non dovrebbero presentarsi insieme alle elezioni, tanto più a fronte dell’attuale legge elettorale? Invece no. Hanno votato uniti le politiche della borghesia e del PD, in cambio di ministri, cariche istituzionali, assessori, ma si presentano divisi alle elezioni, gli uni contro gli altri armati. E perché? Non certo per divergenze sui “principi” (che non hanno), ma per una matassa inestricabile di rivalità istituzionali, competizioni di ruolo, contrapposizioni personalistiche, guerre tribali di apparato, che nulla hanno a che spartire con le ragioni dei lavoratori, e molto hanno a che vedere con la cultura delle burocrazie. Si può credere a quei gruppi dirigenti quando predicano ad altri “unità e responsabilità”?


RICOSTRUIRE DALLE ROVINE. COSTRUIRE IL PCL

Il PCL- unico partito della sinistra ad essersi opposto coerentemente al governo Prodi- è nato in controtendenza alla disfatta annunciata della vecchia sinistra, sulla base di politiche e programmi alternativi. Con lo scopo di ripartire dal campo di rovine da questa prodotto, per costruire un partito coerentemente comunista e rivoluzionario: l’unico soggetto politico a sinistra capace di durare, perché basato su principi fermi e su un chiaro progetto anticapitalista; estraneo, per sua natura, al fascino dei ministeri e degli assessori; nemico di ogni personalismo burocratico; impegnato in ogni lotta per un’alternativa di potere della classe lavoratrice e delle masse oppresse.

Sta qui la scelta di una presentazione elettorale indipendente del PCL,ad ogni livello. A livello amministrativo, a partire dalle grandi città e provincie, in aperta opposizione alle giunte di centrodestra e di centrosinistra. A livello di elezioni europee, intraprendendo la raccolta delle firme per la presentazione del partito, in aperta sfida ad una legge elettorale reazionaria, che prevede un enorme numero di firme in ogni circoscrizione : non sapendo se riusciremo a scavalcare questa barriera quasi proibitiva, ma affrontando la sfida senza timidezza.

Non siamo elettoralisti, ma comunisti. Il nostro fine non è la partecipazione alle elezioni, in quanto tale, ma la presentazione del nostro programma, in funzione della costruzione di una prospettiva politica che riteniamo decisiva per il mondo del lavoro e le sue ragioni generali. Non ci interessa l’arruolamento in cartelli elettorali ibridi e senza principi comuni, a rimorchio di altri progetti. Ci interessa una campagna elettorale interamente investita in un progetto di lotta anticapitalista: tanto più nel momento in cui la grande crisi del capitalismo e di ogni vecchia illusione riformista, rilancia l’attualità storica della prospettiva rivoluzionaria quale unica soluzione progressiva. Ogni avanzamento della riconoscibilità pubblica di un programma anticapitalista e di una proposta radicale di lotta, nei luoghi di lavoro e nei movimenti sociali, è mille volte più importante per le ragioni dei lavoratori di ogni calcolo elettorale sul terreno istituzionale . Ogni passo avanti nella costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori, quale “sinistra che non tradisce”, è mille volte più importante per le prospettive di un’alternativa di società, di eventuali “vantaggi” contingenti di un blocco elettorale con la sinistra della disfatta.

La formula dell’”unità dei comunisti”, agitata da Diliberto e Grassi, ripropone del resto l’equivoco di sempre: quello dell’unità attorno ad un simbolo contraddetto nelle politiche e nei programmi. Il disfacimento del PRC in mille pezzi, lungo l’arco di 15 anni, è esattamente il fallimento di quella finzione. Con che coraggio si può riproporla? Il PCL persegue ostinatamente la vera unificazione dei comunisti, quale che sia la loro diversa provenienza: quella attorno ai principi del comunismo e ad un programma coerentemente anticapitalista, e quindi attorno al proprio progetto di costruzione. Questa è l’unica “unità comunista” capace di reggere e di costruire un futuro. La presentazione elettorale indipendente del PCL è al servizio di questo progetto.


UNITA’ DI LOTTA E PROGRAMMA ANTICAPITALISTICO

Peraltro gli stessi gruppi dirigenti della sinistra in disfacimento che ci chiedono l’unità elettorale, sono quelli che hanno respinto e tuttora respingono ogni proposta reale di unità di lotta, sul terreno dell’azione di classe anticapitalistica.

Il PCL si batte da tempo per una vertenza generale unificante del mondo del lavoro e per l’unità di lotta di tutti i sindacati di classe attorno a una piattaforma di svolta e a un’azione radicale prolungata. PRC e PDCI ignorano la nostra proposta, limitandosi a sostenere, di volta in volta e indifferentemente, piattaforme e scelte della direzione CGIL o dei sindacati di base. Senza lavorare né all’unificazione della lotta, né al suo sviluppo radicale.

Il PCL si è sempre battuto nei movimenti di lotta e nello scontro sociale per una dinamica di radicalizzazione e di autorganizzazione democratica di massa: nel movimento degli studenti per la generalizzazione delle occupazioni, l’autonomia dai rettori, un coordinamento nazionale di delegati eletti e revocabili, l’unità di lotta con i lavoratori; nella vicenda Alitalia per un’azione di lotta radicale e continuativa, la costituzione di un comitato di sciopero, la rivendicazione della nazionalizzazione dell’azienda. PRC e PDCI si sono subordinati alle direzioni egemoni dei movimenti ( e ai loro esiti disastrosi), contro le loro spinte interne più radicali e classiste.

Il PCL ha proposto a tutte le sinistre e le forze laiche una mobilitazione anticlericale che intrecciasse le rivendicazioni democratiche per i diritti civili con una piattaforma di attacco sociale frontale al capitalismo ecclesiastico (abolizione dei finanziamenti pubblici a sanità privata e a scuola privata, pubblicizzazione integrale dell’istruzione e del servizio sanitario, soppressione dei privilegi fiscali della Chiesa, esproprio delle grandi proprietà ecclesiastiche, con eccezione dei luoghi di culto). PRC e PDCI si limitano a contestare le ingerenze clericali. E le giunte locali che sostengono versano alle scuole cattoliche e alla Curia fior di milioni.

Il PCL ha proposto a tutte le sinistre una piattaforma anticapitalista all’altezza della crisi, che colleghi la lotta sindacale ad un programma antisistema (riduzione progressiva dell’orario per la ripartizione tra tutti del lavoro, nazionalizzazione delle aziende in crisi e delle banche, senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori, prospettiva di un governo dei lavoratori..). PRC e PDC respingono la nostra proposta, a favore di un generico richiamo all’intervento pubblico “antiliberista”. E là dove 2000 lavoratori in Alitalia hanno rivendicato, nel cuore della lotta, la nazionalizzazione dell’azienda ,si sono affrettati a denunciare come “ideologica” questa rivendicazione.

Il PCL ha proposto, sin dallo scorso luglio, un “Parlamento dei lavoratori e delle sinistre” come organismo democratico elettivo di fronte unico di lotta e di confronto pubblico tra tutte le forze del movimento operaio e popolare. PRC e PDCI hanno lasciato cadere la stessa proposta di discussione aperta sull’argomento. Persino la nostra pubblica disponibilità a concordare un “fronte unico d’azione” a sinistra, in risposta ad una sollecitazione formale del PRC, con tanto di nostro articolo su Liberazione, è stata totalmente ignorata…

Tutto ciò non è un caso: è la cartina di tornasole di una differenza di fondo. Il PCL si batte per unire i lavoratori attorno a un programma di rottura con la borghesia e di governo dei lavoratori. I gruppi dirigenti delle sinistre continuano a perseguire in forme diverse una ricomposizione col centrosinistra ( con cui governano tuttora mezza Italia): o per via della “pressione” esterna di “movimento” ( Ferrero e Diliberto), o per la via interna della resurrezione dell’Unione ( Vendola e Fava). E’ il sentiero già battuto per 15 anni e già fallito, su cui il PCL non è mai stato e non sarà mai disponibile.


IN ITALIA E NEL MONDO: RIFORMA O RIVOLUZIONE?

Peraltro la stessa divaricazione di indirizzo si manifesta sulle tematiche internazionali, tanto più rilevanti in una competizione elettorale europea.

Il PCL ha proposto a tutte le sinistre una battaglia coerentemente antisionista, che non si limiti a denunciare le aggressioni di Israele contro il popolo palestinese, ma metta apertamente in discussione la natura coloniale dello stato sionista, a favore della prospettiva di una Palestina unita, libera, laica e socialista, rispettosa dei diritti nazionali della minoranza ebraica ,( entro una prospettiva socialista mediorientale), quale unica soluzione reale della questione palestinese. PRC , PDCI e tutte le sinistre si limitano alla solidarietà coi palestinesi e ripropongono la soluzione truffa “due popoli, due stati” accodandosi di fatto all’ipocrisia diplomatica internazionale.

Il PCL propone di collegare la difesa e valorizzazione della grande ascesa di massa in America Latina , contro ogni minaccia imperialista, ad una prospettiva apertamente socialista: fuori da ogni politica di compromesso con l’imperialismo e di “economia mista”. Da qui una linea di autonomia di classe da Morales e Chavez, pur all’interno della mobilitazione antimperialista. PRC e PDCI si adattano acriticamente al bolivarismo, e persino a Lula, avallando la mitologia del “ socialismo del xxi secolo”, e contrapponendosi alla sinistra rivoluzionaria latino-americana. Sino a tacere sull’uccisione di operai in lotta da parte della polizia chavista, o sull’opposizione del sindacato dei metalmeccanici boliviani alla controriforma pensionistica del governo Morales.

Il PCL propone un indirizzo di opposizione di classe alla nuova amministrazione USA di Barak Obama. Senza confondere le grandi aspettative di svolta che grandi masse hanno riposto in essa dopo l’era di Bush, con la reale natura imperialista del nuovo governo Democratico americano, sia sul terreno della politica sociale ( centralità del sostegno finanziario alle banche e alle grandi imprese), sia sul terreno della politica internazionale (continuità del sostegno strategico ad Israele, della guerra in Afghanistan, della presenza pur contenuta in Irak, e disegno dichiarato di ricostruzione dell’egemonia americana nel mondo..). PRC e PDCI e tutte le sinistre partecipano invece all’esaltazione (talvolta “critica”) dell’obamismo, fuori da ogni analisi di classe, e alla coda del centrosinistra internazionale.

Il PCL denuncia il restaurato capitalismo cinese e il suo regime oppressivo, con la relativa trasformazione della vecchia casta burocratica stalinista in una nuova borghesia; denuncia gli effetti sociali devastanti della restaurazione capitalista su centinaia di milioni di operai e contadini cinesi; appoggia le emergenti rivolte operaie e popolari cinesi contro il regime; denuncia il suo ruolo internazionale di collaborazione con l’imperialismo ( in particolare USA) sia sul terreno politico che economico; rivendica la prospettiva di una nuova rivoluzione socialista in Cina . La larga maggioranza del blocco PRC-PDCI difende la Cina come paese “socialista”, in un quadro di rapporti fraterni col cosiddetto “Partito Comunista Cinese”.

Il PCL oppone all’attuale Europa capitalista dell’Unione la prospettiva degli Stati uniti socialisti d’Europa, quale unica vera alternativa su scala continentale agli imperialismi europei e alla loro concertazione(UE): fuori da ogni illusione neokeinesiana di un possibile capitalismo “sociale” europeo , a carattere progressivo. PRC , PDCI e tutte le sinistre rivendicano invece la cosiddetta “Europa sociale e democratica”, come riforma “progressista” del capitalismo europeo. In qualche caso (PDCI e SD) chiedono l’esercito europeo, quale contrappeso agli USA, in una logica di sostegno all’imperialismo continentale. In tutti i casi partecipano ad aggregazioni di sinistra in Europa con partiti più volte corresponsabili – al pari loro-di governi imperialisti o delle loro maggioranze ( dal PCF a Isquierda unida ).

Ancora una volta, tutto ciò non è un caso. Tutte le divergenze internazionali tra il PCL e le altre sinistre italiane sono riconducibili non a diverse “analisi”, ma a differenti programmi di fondo. Da un lato un programma dichiarato di rivoluzione socialista internazionale quale unica soluzione progressiva al capitalismo mondiale, contro ogni vecchia illusione riformista: e dunque di ricostruzione di un’internazionale comunista e rivoluzionaria che recuperi e riattualizzi i principi del socialismo, rompendo radicalmente con la socialdemocrazia e lo stalinismo. Dall’altro, al di là delle parole, un programma di riforma del capitale( tanto più utopico oggi), funzionale a difendere in Italia la prospettiva di ritorno al governo col PD , e sul terreno internazionale la propria “rispettabilità diplomatica”e i propri rapporti, per quanto “critici”, con la socialdemocrazia.

La nostra scelta di presentazione indipendente del PCL alle elezioni, non è dunque frutto di un capriccio. Deriva , nel modo più naturale,dall’unicità del nostro programma nella sinistra italiana , e dal diritto-dovere di presentarlo pubblicamente per quello che è. Nell’unico interesse che ci sta a cuore: quello dei lavoratori e della rivoluzione .

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