Comununicato di Sergio Bellavita area opposizione CGIL "sindcatoèunaltracosa"
Se qualcuno si aspettava che davanti alla straordinaria disponibilità
alla mobilitazione testimoniata dal crescendo di iniziative di questi
ultimi due mesi, passando per il riuscito sciopero sociale del 14
novembre, la Cgil traesse linfa vitale per rilanciare il conflitto dovrà
ricredersi. La risposta del palazzo sindacale al protagonismo crescente
di giovani, precari, operai è la chiusura a riccio, è lo sciopero
slittato al 12 dicembre, celebrazione post cancellazione statuto dei
diritti dei lavoratori, è l’inedita unità con la Uil di Barbagallo
sancita in un incontro di vertice, non certo nelle lotte sociali. Uno
più uno in matematica fa due, su questo neanche il modello derogatorio
del 10 gennaio può far nulla, ma in politica e sul terreno sociale la
somma potrebbe essere anche zero.
La Cgil poteva imboccare due strade, tra loro alternative. Una è
quella che chiama alla necessità di dare continuità alle lotte, di
diventare punto di riferimento per la ricostruzione di un conflitto
sociale di lungo periodo con l’obbiettivo concreto di determinare
davvero l’agenda politica e sociale del paese. Portando sino in fondo la
rottura con il Pd e la divaricazione con Cisl-Uil e mettendo a valore
le lotte dei metalmeccanici, lo sciopero sociale e le potenzialità che
quell’esperienza ha reso evidente a tutti. Una strada che imponeva una
pratica coerente e conseguente sul terreno contrattuale come
unificazione delle mille vertenze, dalle acciaierie di Terni alla Titan
di bologna, al teatro dell’opera, alla Farmacap di Roma, che vedono
decine di migliaia di uomini e di donne di questo paese resistere alla
cancellazione di diritti, salario ed ai licenziamenti. La Cgil ha
imboccato un’altra strada, quella delle mobilitazioni come minimo
sindacale, come atto di formale contrarietà alle scelte di Renzi oltre
le quali però non si va. Lo avevamo detto sin dall’inizio di questo
autunno: se non si fa sul serio la lotta contro il governo sarà la
debacle per la Cgil. Ha prevalso la paura di un conflitto generale
difficilmente controllabile, la paura di perdere ogni rapporto con le
elites di governo. In sostanza la paura di fare i conti davvero con la
propria irrilevanza, di doversi misurare con l’incompatibilità di una
linea e di una pratica sindacale che non sia complice e subalterna. La
paura di perdere ogni piccolo residuo spazio di legittimazione
istituzionale, di perdere l’internità nelle stanze del sottogoverno, nei
corridoi ministeriali. Il corpaccio della Cgil e le sue categorie hanno
scelto l’unità con Cisl e Uil. L’uno due, sciopero con Uil il 12 e
l’accordo taglia salari al teatro dell’opera di Roma, è pesantissimo. La
Cgil con questa scelta conclude ,purtroppo prima ancora di aprirla, la
sua fase di mobilitazione, il suo declamato riposizionamento politico
rispetto al partito democratico e al governo. Avevamo ragione, ma ci
piacerebbe cominciare ad avere torto, quando nel direttivo della Cgil
abbiamo denunciato i limiti, di merito e di metodo, del percorso che la
segretaria generale Camusso ha proposto contro il Jobs Act. Solo la Fiom
ha scioperato davvero, le altre categorie hanno assistito passivamente
nascondendosi dietro l’unità con Cisl e Uil. Per questa ragione non
bisognava accontentarsi, come pure ha fatto Landini, della semplice
proclamazione dello sciopero generale, importantissima certo, ma inutile
e dannosa se giocata per chiudere una fase anziché aprirla, per
spargere rassegnazione e disorientamento anziché incendiare il
conflitto. Cosi si va alla sconfitta formale del sindacato. Renzi potrà
vantare di avere piegato la Cgil imponendo a colpi di fiducia e con la
vergognosa complicità della sinistra Pd, zeppa di ex sindacalisti, il
suo Jobs Act. Noi vogliamo continuare a lottare contro Renzi e la sua
politica criminale. Vogliamo farlo insieme e con tutti e tutte coloro
che hanno preparato lo sciopero sociale del 14 novembre, con i
metalmeccanici che domani 21 a Napoli manifesteranno.
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