03/02/12

Alluvioni ed altre tragedie: come il capitalismo distrugge il territorio

Articolo pubblicato su Giornale Comunista dei Lavoratori di gennaio 2012
Le tragedie delle ultime settimane sono catastrofi annunciate e la sciagura di Genova è solo l’ultima di una lunga lista iniziata col nuovo millennio. Un numero impressionante di morti si succede nella storia recente del Paese a causa di frane ed alluvioni e, cosa ancor più grave, con una regolarità tale da escludere ogni aleatorietà. Dossier del Ministero dell’Ambiente, della Protezione Civile, di Associazioni Ambientaliste concordano nel definire il dissesto idrogeologico come una delle più gravi minacce per il territorio e la popolazione italiani, confermando ciò che geologi, naturalisti e ingegneri ambientali denunciano da sempre. Nonostante questo i governi di qualsiasi colore non hanno mosso un dito per limitare le devastazioni, anzi: l’incuria del territorio e la cementificazione selvaggia corrono sempre più rapidi, rendendo ogni giorno più pericolose le nostre pianure alluvionali, le nostre montagne e le nostre coste. Né interverranno grossi cambiamenti con il Governo Monti che ha ben altre priorità (basti leggere le dichiarazioni sul nucleare e sulla TAV del neo-Ministro dell’Ambiente Clini).
Le ragioni del rischio
La ragione principale per cui sono frequenti fenomeni alluvionali ed erosivi è che l’Italia è un Paese geologicamente giovane e quindi instabile e mutevole. Il nostro territorio presenta numerosi fattori di rischio: corsi d’acqua giovani e con regimi variabili, coste infinite e variegate, terreni calcarei con fenomeni carsici, calanchi argillosi ed instabili. Inoltre numerosi tipi climatici si alternano nella penisola: climi mediterranei, con lo svantaggio di piogge concentrate in brevi periodi; o climi temperati, molto piovosi e con repentini scioglimenti di nevi. A quest’ultimo punto si associa la piaga mondiale dei mutamenti climatici (ormai universalmente addebitata allo sviluppo inconsulto del capitalismo mondiale ed al totale disinteresse dei governi imperialisti alla salute del pianeta e dei suoi abitanti), che influisce anche sui regimi termopluviometrici, condizionando sia la quantità che la concentrazione delle precipitazioni.
Perché i disastri?
I fattori di rischio non sono sufficienti a giustificare gli esiti catastrofici delle alluvioni. Dietro ai disastri naturali non può che esserci la rapace mano dell’Homo capitalisticus che, con ingordigia e superficialità, saccheggia le risorse naturali e riversa le esternalità negative dei suoi modi di produzione e consumo sull’ambiente e sugli esseri viventi (comprese le popolazioni locali). In Italia il suolo ed il clima favoriscono la crescita di rigogliose foreste, capaci di rallentare il ruscellamento dell’acqua, favorire l’infiltrazione nel sottosuolo, consolidare i terreni franosi. Purtroppo i fautori dello “sviluppo a tutti i costi” (ovvero la stragrande maggioranza dei politici borghesi, degli amministratori locali o degli “intellettuali ambientalisti” dell’ultima ora) promuovono, senza alcuna giustificazione scientifica, uno sviluppo agricolo, produttivo ed edilizio forzato delle campagne e delle montagne. In realtà dal secondo dopo guerra ad oggi abbiamo assistito ad una cementificazione ed un consumo del suolo insostenibili. Tutto ciò favorisce un ruscellamento troppo intenso ed impoverisce le falde, rendendo i livelli di quest’ultime mutevoli e favorevoli a frane e smottamenti. La preservazione e l’incremento di aree wilderness (prive di manufatti antropici) e le opere di ingegneria naturalistica, sono molto più efficaci della cementificazione delle sponde o dello spianamento degli alvei. Purtroppo quest’ultime sono le uniche tecniche utilizzate da Provincie e Comuni per prevenire i fenomeni alluvionali: sia perché applicabili anche in zone molto antropizzate, sia perchè compatibili con le ambizioni speculative di sindaci e palazzinari. A questo si aggiunge una profonda arretratezza giuridica nella difesa dell’ambiente, bene immateriale che non interessa allo Stato borghese se non come luogo di sversamento dei propri rifiuti o “giacimento” di risorse da accaparrarsi. Ciò vanifica la lotta alla cementificazione sfrenata, al disboscamento ed agli incendi, menomando l’effetto benefico della vegetazione sull’assetto idrogeologico e la tenuta dei versanti. Inoltre permette spesso la costruzione all’interno degli alvei fluviali stessi e non ostacola a sufficienza l’abusivismo, innescando situazioni esplosive.
Quale sicurezza?
Dal 1992 l’Italia si è dotata di uno strumento che avrebbe dovuto risolvere gran parte delle emergenze: la moderna Protezione Civile. Un unico coordinamento per la gigantesca e farraginosa macchina dei soccorsi. Ovviamente l’inefficienza, il clientelismo, la corruzione si sono presto impadroniti di lei. I suoi compiti stabiliti (previsione, prevenzione, soccorso, ripristino), sono stati spesso disattesi e l’impegno delle decine di migliaia di volontari vanificato. Una serie di squallidi “giochini” legislativi bipartisan ed un Dipartimento centrale di “cooptati” hanno infatti permesso alla cricca Bertolaso & co. (sostenuta in egual modo da centrodestra e centrosinistra) di utilizzare la Protezione Civile come proprio comitato di affari, godendo di una totale immunità alle leggi e ai controlli. Inoltre i compiti legati alla previsione ed alla prevenzione sono puntualmente elusi per via dello scarso interesse dell’opinione pubblica ma soprattutto perchè gli speculatori e la criminalità organizzata preferiscono agire durante i più costosi e confusi interventi di soccorso o ricostruzione. Sul piano della Pubblica Sicurezza non va meglio. Le Prefetture e le forze dell’ordine infatti, efficientissimi nella gestione dell’Ordine Pubblico e nella repressione del dissenso, non mostrano la stessa solerzia nel garantire la reale sicurezza dei cittadini. Il Prefetto, rappresentante dello Stato e del Ministero dell’Interno, ha tutti i poteri necessari per imporre stati di emergenza, evacuazioni etc., ma la sua figura ha assunto nella prassi i contorni di emissario politico del Governo e “capo bastone” dello Stato sul territorio: i suoi compiti più nobili sono stati anch’essi disattesi.
L’emblematico caso Liguria
La vicenda ligure ha assunto caratteri grotteschi. Le solerti amministrazioni di centrosinistra, che da sbandierano una distanza (in realtà inesistente) dalle politiche del Governo Berlusconi, non solo non hanno fatto nulla per evitare le tragedie, ma hanno addirittura peggiorato la situazione. La giunta di centrosinistra Burlando, con un regolamento regionale del luglio 2011, apre la strada alla più becera speculazione edilizia riducendo la fascia di inedificabilità dai corsi d’acqua a 5 mt nelle aree extraurbane ed a soli 3 mt nei centri abitati (spesso i più a rischio). Burlando è tornato indietro a prima del 1904, quando un Regio Decreto stabiliva il principio inderogabile della costruzione ad almeno 10 mt. Anche il sindaco genovese del PD, Vincenzi, e la sua giunta sono risultati del tutto inadeguati a fronteggiare l’alluvione: sia per totale incapacità e disinteresse dimostrati nella messa in sicurezza della città e nella gestione dell’emergenza, sia per l’arroganza con cui hanno risposto alla pioggia di critiche. Nonostante l’allarme meteorologico e la tragedia delle Cinque Terre di pochi giorni prima, la Vincenzi ha dichiarato che dar seguito a quell'allerta sarebbe stato "terrorismo" e che non c’erano i presupposti per chiudere scuole, uffici ed invitare la popolazione a chiudersi in casa. Davanti ai morti ha parlato invece di "tsunami". Prima ha sottovalutato per incompetenza e poi ha sopravvalutato per discolparsi. Infine ha insultato le vittime con frasi del tipo "Tante persone si sono messe in pericolo da sole": insomma, quelle mamme e i bambini morti se la sono cercata!
Le proposte del PCL
Negli ultimi anni, invece di occuparsi dello stato del territorio lo Stato ha investito in grandi opere, poco utili e assai più costose, che offrono però maggiori possibilità di guadagno agli speculatori e più margine alle manovre clientelari della politica. Il PCL chiede il dirottamento delle enormi risorse economiche in campo per le grandi opere  verso la riqualificazione ambientale e la messa in sicurezza idrogeologica del nostro territorio, con piccole opere diffuse che creino più posti di lavoro con meno sperpero di denaro pubblico. Pretendiamo, inoltre, che il sistema della Protezione Civile, di cui le dirigenze sembrano “intoccabili” ed immuni da critiche, subisca una reale riorganizzazione : basta con le politiche del post-emergenza, che fanno arricchire solo funzionari corrotti ed imprenditori senza scrupoli; si punti invece sulla prevenzione e la manutenzione.
Un “nuovo” movimento ambientalista
I comunisti, al grido di “salviamo il pianeta dagli effetti venefici del Capitalismo”, sembrano essere rimasti gli ultimi ad invocare un cambiamento radicale del sistema produttivo ed economico mondiale. Questo rappresenta l’unica concreta via d’uscita per un pianeta che sta cadendo a pezzi, con sconvolgimenti e disastri naturali che si susseguono con violenza ed frequenza sempre maggiori. Non è più rimandabile una profonda riflessione che porti ad unire gli sforzi ed uniformare proposte e rivendicazioni, creando un unico grande movimento ambientalista: un fronte di associazioni, partiti e cittadini, svincolato dai governi nazionali e locali di qualsiasi colore. Per fare ciò bisogna raccogliere in un unico coordinamento tutti i movimenti che in questi anni sono nati per difendere cittadini e territorio dagli attacchi dei governi borghesi, degli affaristi, delle ecomafie (No Tav, movimenti per l’acqua, contro il nucleare etc.). Dobbiamo “unire le forze” per affrontare i problemi ambientali più scottanti, ma soprattutto per fornire uno sbocco politico alle singole “battaglie”. Coniugare le rivendicazioni contingenti a prospettive di lungo termine più radicali, che mettano in discussione le fondamenta stesse del capitalismo: è questa la priorità assoluta dell’ambientalismo moderno.
Titto Leone

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