04/12/14
ordine del giorno presentato al direttivo fillea cgil ancona dai compagni del pcl
Il direttivo provinciale della Fillea-Cgil di Ancona giudica tardiva la proclamazione dello sciopero generale indetto dalla Cgil e in ultimo dalla Uil.
Uno sciopero che arriverà dopo che la legge delega Jobs Act sarà stata approvata anche al Senato. Alla manifestazione di ieri davanti palazzo Madama abbiamo aderito come area "Il sindacato è un'altra cosa".
Il Jobs Act prevede grandi arretramenti nei diritti di tutti i lavoratori come i contratti a tutele crescenti per i neo-assunti, il demansionamento e il monitoraggio.
Quella di Renzi, del PD e in scia al patto del Nazareno, è l’apertura di una guerra sociale contro il movimento operaio, una violenta aggressione che combina la possibilità indiscriminata di licenziare con la liberalizzazione dei contratti a termine senza causale: è l’estensione del precariato a tutti i lavoratori giovani o anziani che siano.
La cosa, in se, è un balzo all’indietro che riporta alle condizioni lavorative degli anni 50 del secolo scorso in cui il ricatto era pratica comune e con le donne, spesso, anche di natura sessuale. Senza mezzi termini, bisogna prendere coscienza che questa è una guerra, che o si vince o si perde.
La manifestazione nazionale organizzata dalla Cgil il 25 di ottobre scorso è risultata importante ma assolutamente insufficiente per fermare l’offensiva reazionaria, è stata una manifestazione pensata, inutilmente, per far pressione sul PD e aprire un dialogo con il governo.
Quello che realmente serve in questo momento, non sono scioperi isolati, autoreferenziali, ma un vero sciopero generale che blocchi l’intero paese, una vera lotta di massa con il consenso più ampio possibile, in modo da formare un fronte di lotta che comprenda il più elevato numero di lavoratori e lavoratrici in aperta contrapposizione al governo e ai padroni.
E’ necessario convocare assemblee in tutti i posti di lavoro e di studio, definire una piattaforma unificante di mobilitazione prolungata, uno sciopero generale vero, capace di aggregare attorno alla classe operaia tutti gli sfruttati, che preveda anche l’occupazione delle fabbriche, sulla base di una proposta che unifichi i lavoratori precari e disoccupati.
E’ necessario e urgente un cambio generale di rotta. Un’altra politica. Un’altra direzione del movimento operaio e sindacale. Al progetto sociale e politico più reazionario degli ultimi decenni è necessario contrapporre un'azione e un progetto di pari determinazione, che punti ad unire l’azione di classe sul terreno della massima radicalità di lotta. Che superi la soglia rituale della manifestazione di dissenso.
Il Direttivo Provinciale della Fillea-Cgil di Ancona ritiene che il livello di scontro non sia stato adeguatamente innalzato dal nostro sindacato per il semplice motivo che esso non è del tutto indipendente dal PD: è evidente purtroppo il filo conduttore che lega nelle aspettative e nella concertazione la Cgil nei confronti del partito di Renzi che di fatto non rappresenta le vere istanze del mondo del lavoro, ma gli interessi di Confindustria e banche.
Giudichiamo inoltre vergognoso e lesivo all’immagine della Cgil ciò che è avvenuto in sede parlamentare perchè gli ex dirigenti della Cgil eletti con il PD hanno votato a favore del Jobs Act, quella legge contro la quale i loro ex rappresentati scenderanno in lotta. Per fare alcuni esempi possiamo citare Guglielmo Epifani, ma anche Cesare Damiano che è stato vice segretario della Fiom, e poi Valeria Fedeli, attuale vice presidente del Senato, in passato segretaria generale dei tessili.
Vi è l’urgente necessità di costruire una Cgil indipendente dai poteri locali e nazionali, di lotta, di opposizione al sistema capitalistico colpevole di crisi economica e dello sfruttamento della classe lavoratrice, alla quale, speriamo non invano, verrà richiesto l’ulteriore sacrificio di 8 ore di prezioso salario.
01/12/14
IL DISCORSO DI EMILIANO LA TANZA, SEGRETARIO DELLA SEZIONE DI TARANTO "NICOLA LA TANZA", IN OCCASIONE DELL'INAUGURAZIONE DELLA NUOVA SEDE DI TARANTO, 29-NOVEMBRE-2014
Cari compagni/e, oggi apre qui a Taranto, ma in generale sul nostro
territorio, un nuovo partito il quale racchiude l’insieme di diverse
esperienze passate non solo politiche ma anche sociali e culturali;
tutti insieme uniti per inaugurare la prima sezione "Nicola La Tanza"
del PCL -quartiere Tamburi,dedicata al compagno Nicola, combattente e
umile, dedicatosi costantemente alla lotta sociale,e vittima di un
sistema capitalista industriale che ha portato a diventare la nostra
città una delle più inquinate al mondo. Oggi dalla deframmentazione di
quello che era il pci nasce, dopo tanti anni di una politica di sinistra
rivelatasi nel tempo fragile e compiacente a giochi di partito e di
governo, un vero e proprio partito comunista: Il Partito Comunista dei
Lavoratori (PCL), costituitosi nel 2006 da una delle correnti trotzkiste
del Partito della Rifondazione Comunista, considerato la sezione
italiana del Coordinamento per la Rifondazione della Quarta
Internazionale.
A partire da una spaccatura all'interno del Partito della Rifondazione Comunista a seguito dell'ingresso nel secondo governo Prodi, una certa parte di compagni abbandonava schemi e accordi di tipo prettamente partitistico e perseguiva una nuova linea rivoluzionaria basata sull’esperienza e gli insegnamenti del marxismo rivoluzionario, e del trotskismo, perché contrari ad ogni ipotesi di alleanza di governo con soggetti che rappresentavano gli interessi della borghesia e per riavvicinarsi al popolo.
Ringrazio tutti i compagni/e che hanno aderito dal primo momento, un grande ringraziamento in particolar modo per la collaborazione e per il sostegno va al coordinamento nazionale e regionale e al segretario nazionale Marco Ferrando.
Ma in particolar modo ringrazio con molto affetto una persona ma soprattutto un compagno con cui abbiamo iniziato questo cammino e non solo. Senza di lui io non sarei mai riuscito ad aprire questa sezione. Questo compagno ha voluto fortemente sin dal primo minuto che la stessa fosse dedicata ad un compagno del nostro territorio di taranto e cioè a nicola la tanza. Ringrazio quindi l’amico e compagno Franco Fanelli.
A partire da una spaccatura all'interno del Partito della Rifondazione Comunista a seguito dell'ingresso nel secondo governo Prodi, una certa parte di compagni abbandonava schemi e accordi di tipo prettamente partitistico e perseguiva una nuova linea rivoluzionaria basata sull’esperienza e gli insegnamenti del marxismo rivoluzionario, e del trotskismo, perché contrari ad ogni ipotesi di alleanza di governo con soggetti che rappresentavano gli interessi della borghesia e per riavvicinarsi al popolo.
Ringrazio tutti i compagni/e che hanno aderito dal primo momento, un grande ringraziamento in particolar modo per la collaborazione e per il sostegno va al coordinamento nazionale e regionale e al segretario nazionale Marco Ferrando.
Ma in particolar modo ringrazio con molto affetto una persona ma soprattutto un compagno con cui abbiamo iniziato questo cammino e non solo. Senza di lui io non sarei mai riuscito ad aprire questa sezione. Questo compagno ha voluto fortemente sin dal primo minuto che la stessa fosse dedicata ad un compagno del nostro territorio di taranto e cioè a nicola la tanza. Ringrazio quindi l’amico e compagno Franco Fanelli.
Perchè oggi abbiamo aperto le porte di
questo partito? Perchè il PCL è l’unico partito che difende e che lavora
costantemente nel sociale, difendendo tutto il mondo del lavoro nelle
lotte di classe.
Un partito comunista che ha 4 punti fondamentali di riferimento:
Un partito comunista che ha 4 punti fondamentali di riferimento:
1) opposizione alle classi dominanti e ai loro governi che siano di centro destra o centro sinistra.
2)la prospettiva di un governo dei lavoratori e delle lavoratrici che
abolisca il modo di produzioni capitalistico e che riorganizzi
la società su basi socialiste.
la società su basi socialiste.
3) il collegamento costante tra gli obbiettivi di lotta immediati e la prospettiva di fondo dell'alternativa anticapitalista.
4) la prospettiva di alternativa socialista internazionale,quindi di
un'organizzazione rivoluzionaria internazionale dei lavoratori.
Sul nostro territorio lavoreremo con tutte le associazioni o movimenti
che ci riconoscono come partito comunista marxista, lotteremo contro
qualsiasi governo che si chiama berlusconi o renzi, tanto non cambia,che
costantemente attacca senza freno il mondo del lavoro con modifiche e
abolizione dell'articolo 18, con la legge di stabilità facendo tagli di
150 mila euro dal proprio fondo destinato ai patronati. Per questa
ragione gli uffici di assistenza sociale, per effetto della spendig
review, saranno costretti a cancellare i servizi e le postazioni di
lavoro,a pagare saranno naturalmente i cittadini che non avranno più
garantito il diritto di usufruire prestazioni gratuite per la richiesta
di prestazioni previdenziali socio assistenziali quali:
tutela infortunistica e malattie professionali sui luoghi di lavoro,
richiesta di assegni di sostentamento alle famiglie.
Difenderemo il nostro territorio:
Qui in Puglia, ma in particolar modo qui a Taranto, nel caso ilva ,eni ,
cementir ,tutte realtà nelle quali si è schiavizzata e sfruttata un
intera popolazione usando la forza capitalista e creando da anni piu
profitti e sempre meno occupazione.
Su Ilva lo Stato è stato
molto chiaro, avvallando la priorità alla produzione dell acciaio invece
della salute dei lavoratori e cittadini;
con ENI aumento delle
raffinerie per prendere il greggio dalla basilicata raffinarlo qui a
taranto e a prodotto finito riconsegnare in basilicata per la vendita.
Il risultato è quello di più profitti per i soliti ma veleni per tutta
la nostra città e territorio. (cosidetta tempa rossa).
Partendo
da qui dovremo unire le forze per impedire al capitalismo di infierire
nuovamente. Ecco perché noi del PCL da tempo chiediamo di
nazionalizzare tutti gli stabilimenti; abbassare i parametri diossina e
benzoapirene è realizzabile rispettando solo due semplici condizioni:
investire e far pagare chi in questi anni ha lucrato in nome del
profitto, affinché le patologie tumorali non siano a Taranto un fatto
patologico.
Il PCL è contro ogni forma di razzismo: di colore
,religioso ,sociale e culturale, ma ancor prima di sconfiggere il
razzismo in sé sarà importante la lotta contro chi istiga al razzismo
per raccogliere voti strumentalizzando da un lato la difficoltà di chi e
costretto a emigrare nel nostro paese per vivere sfuggendo alla miseria
e dall’altro di chi li aiuta senza alcun fine;
(sfruttare dalle
difficoltà di chi deve accoglierli per garantirsi un posto in politica è
da criminale,votarli è immorale. Dietro il razzismo si nasconde
la paura di una integrazione difficile e non voluta,separati e colpevolizzati gli emigranti sono facile da sottomettere e sfruttare.
la paura di una integrazione difficile e non voluta,separati e colpevolizzati gli emigranti sono facile da sottomettere e sfruttare.
Chi ama la libertà di pensiero odia il razzismo sotto ogni forma, la
storia ci insegna che un qualsiasi governo sia di centrodestra che
centro sinistra se non ha una vera opposizione sociale popolare è un
governo dittatoriale.
Oggi in italia si sta vivendo una vera e propria dittatura come ad esempio nell caso di Terni!!!!
Dove non solo i lavoratori hanno perso il lavoro ma attraverso l’ultimo
strumento di lotta ancora possibile quali lo sciopero o le
manifestazioni non si viene ascoltati ma bensì aggrediti dalle forze
dell’ ordine.
Tutti insieme compagni/e del pcl dovremo fare una
grande lotta politica per cambiare la legge elettorale, eliminare lo
sbarramento del 5%, perchè qualsiasi partito piccolo o grande deve
contare, perche la liberta di pensiero e di voto è un diritto di
tutti,grazie!!!!
28/11/14
testo volantino del pcl sez. Roma su atac e trasporto pubblico
TRASPORTO
LOCALE: CONTRO GOVERNO E GIUNTA MARINO L’UNICA STRADA È LA RIPRESA DELLA LOTTA
L’ultima importante lotta dei lavoratori del
trasporto pubblico risale ormai a un anno fa, quando i tranvieri di Genova e
Firenze misero in campo un vero sciopero, decidendo di non rispettare le
regole imposte dalla legge.
A Roma, città dalla quale dovrebbe partire
una protesta di livello nazionale e dove le condizioni del trasporto pubblico
peggiorano giorno dopo giorno, non si è verificato ancora nulla di simile, eppure
di motivazioni ce ne sarebbero molte: contratto nazionale scaduto da sei anni
(tre anni, 2009-2010-2011 azzerati da una misera una tantum); aumento previsto
della “produttività” per un lavoro che si è sempre dimostrato fortemente
usurante generando di continuo inidonei; cessione di linee ai privati;
decurtazione continua della busta paga; premio risultato che non viene pagato
ai lavoratori ma che in qualche modo viene sempre garantito ai dirigenti ecc.
Intanto Matteo Renzi e il suo governo fanno
guerra ai lavoratori. Il Jobs Act seppellirà definitivamente l'articolo 18. La
legge di stabilità, scritta sotto dettatura dell'Unione Europea, aggiunge ad
una situazione già drammatica nuovi tagli, licenziamenti e privatizzazioni.
Il Capo del governo si presenta come
difensore dei giovani. Falso! Non c'è nulla di più vecchio che voler
distruggere l'articolo 18 come tentò di fare (e non ci riuscì) Berlusconi. Non
c'è aggressione più squallida ai giovani che sommare il loro licenziamento
illegittimo con l'aumento dei contratti a termine senza causale. Altro che
“superamento del precariato”! E' precariato per tutti, a partire proprio
dai giovani.
Il Capo del governo si presenta come
oppositore dei “poteri forti”. Strano. Visto che Fiat e Confindustria stanno
dalla sua parte, entusiasti. La verità è che Renzi è un “amico del popolo” solo
per ottenere il suo consenso. E vuole il suo consenso per soddisfare gli
interessi dei capitalisti contro il popolo.
La vicenda di Ilario Ilari e Valentino
Tomasone, autisti e delegati USB di Roma, sospesi e a rischio licenziamento per
aver denunciato pubblicamente le loro condizioni lavorative e lo stato in cui
versa il servizio, è solo il primo esempio di ciò che si abbatterà su tutti
quei lavoratori che cercheranno di contrastare lo stato di cose presente. Cosa
facilitata dall’accordo sulla rappresentanza firmato da CGIL-CISL-UIL, che
ancora non hanno capito che Renzi non sa che farsene dei sindacati, essendo il
suo unico obbiettivo quello di buttare a male quel poco che resta dei diritti
dei lavoratorori.
Davanti a tutto questo occorre una lotta vera
e di massa, che opponga la forza alla forza. Occorre la più grande unità di
milioni di lavoratori e lavoratrici, in aperta contrapposizione ai padroni e al
governo.
Chiediamo ai lavoratori di aderire allo
sciopero generale di convocato da CGIL e UIL il 12 dicembre. Sciopero che
arriva fin troppo tardi e che rischia di rimanere nient'altro che l'ennesima
passeggiata, se la battaglia non sarà continuata nei luoghi di lavoro e nelle
piazze fin dal giorno seguente. Con o senza i sindacati.
Crediamo
che l’unica vera opposizione a Renzi e Marino non sia quella finta di chi siede
nelle istituzioni, ma quella dei lavoratori e delle masse popolari che si
mobilitano ovunque, sulla base di un proprio programma e di un proprio modello
sociale, che può essere finanziato combattendo lo strozzinaggio di banche,
l'evasione e i profitti della grande industria, le multinazionali che spremono
i lavoratori e scappano via senza pagare un centesimo, i privilegi del Vaticano
(ricavato: 200 miliardi circa), con la riduzione della spesa per le guerre...
Solo
un'esplosione sociale dei lavoratori può fare piazza pulita di tutti i
ciarlatani, cacciare Renzi e impedire il ritorno di Berlusconi e della Lega.
L'unica vera soluzione alternativa è quella di un governo dei lavoratori,
basato sulla loro organizzazione e la loro forza
Per un vero sciopero generale!
Difesa ed estensione a tutti i lavoratori
dell'articolo 18!
Cancellazione di tutte le leggi di
precarizzazione del lavoro, a partire dal Decreto Poletti!
Cancellazione dell'infame legge Fornero sulle
pensioni!
Blocco dei licenziamenti!
Distribuzione del lavoro che c'è fra tutti,
con una riduzione generale dell'orario a parità di paga!
Partito
Comunista dei Lavoratori
sez. prov. Roma
27/11/14
Comunicato PCL sulle elezioni
I risultati delle elezioni regionali
La disaffezione operaia verso il PD di Renzi e la necessità di una alternativa politica di classe
Il risultato delle elezioni regionali che appare più evidente, nonostante le affermazioni del bullo di Palazzo Chigi, è quello dell'astensione di massa, in primo luogo in Emilia-Romagna. In questa regione di storico riferimento per il PD e i suoi predecessori non è semplicemente emerso un rifiuto trasversale alle degenerazioni del ceto politico locale, ma si è fondamentalmente espressa una profonda disaffezione delle lavoratrici e dei lavoratori nei confronti dell'azione di brutale attacco del governo contro il movimento operaio e quello che resta delle sue conquiste storiche
L'insipienza della sinistra riformista contribuisce a mantenere questa disaffezione in termini passivi. La realtà di SEL ne è la dimostrazione più lampante. Questo partito avrebbe potenzialmente una piccola, ma reale, autostrada aperta per raccogliere la disaffezione dell'elettorato operaio e di sinistra del PD, se sviluppasse una coerente battaglia politica contro il renzismo a tutti i livelli. Ma, nella continuità con la peggior tradizione bertinottiana, quello che conta sono gli assessorati e i posti di governo e di sottogoverno ("a disposizione" dei padroni, come nella frase del Niki governatore in Puglia nei riguardi di Riva): così, in Emilia-Romagna, si sono presentati nella coalizione renziana, esemplificazione concreta della loro strategia e delle loro speranze nazionali.
Quanto a Rifondazione (e al PdCI), dopo i disastri prodotti dalla loro politica governista, preferiscono mascherarsi dietro coalizioni senza riferimento classista, senza i simboli storici del movimento operaio (falce e martello o la stessa parola “sinistra”), che, come se fossimo due secoli fa, parla alle "persone" e a "cittadini" e non ai/lle lavoratori/trici e a tutti gli sfruttati ed oppressi, sotto la guida di autocentrati e presuntuosi intellettuali piccolo borghesi "progressisti". Del resto che si poteva attendere, ragionando seriamente, dai partiti diretti dagli ex ministri Ferrero o Diliberto, che mentre si proclamavano "comunisti", sostenevano riforme legislative che creavano la precarietà di massa ("pacchetto Treu"), gli interventi militari imperialisti, in primis in Afganistan e Iraq (ovviamente "solo" quando erano al governo), o la riduzione massiccia delle tasse per capitalisti e banchieri.
Il relativo successo di Sel e Altra Emilia-Romagna – mentre è fallimentare il dato di Altra Calabria – appare congiunturale: l'astensionismo di massa ha colpito i partiti maggiori agevolando la parte motivata dell'elettorato, contemporaneamente lo scontro tra apparato CGIL e PD ha dato una mano alle liste considerate più a sinistra.
La reazione di massa alle politiche del governo ha quindi trovato una risposta prioritariamente, se non esclusivamente, nell’astensione e nel rifiuto del voto. E nel contempo si è affermata un’opposizione reazionaria, quella della “Lega dei popoli” centrata sulla nuova prospettiva della Lega nord, che prova a capitalizzare la crisi berlusconiana ed a organizzare un consenso interclassista in un movimento antieuropeo della destra politica e sociale.
In questo quadro complessivo, ci impegniamo quindi a sviluppare una vera alternativa anticapitalista, che non tradisca gli operai e gli sfruttati in generale, che indichi nella rivoluzione sociale, nel potere dei lavoratori e nel socialismo la sola soluzione realistica alla crisi capitalistica. L’alternativa del PCL.
Scontiamo la nostra indubbia debolezza numerica ed organizzativa, ma anche, sia in Emilia Romagna che in Calabria, l'esistenza di leggi elettorali antidemocratiche, che garantiscono le forze politiche esistenti nelle istituzioni, e impediscono a quelle esterne e, in primis al nostro partito, di potersi presentare al giudizio dell'elettorato, col nostro programma anticapitalistico rivoluzionario.
Nonostante ciò i nostri compagni hanno fatto di tutto per far sentire il più largamente possibile la voce del Pcl, anche nelle ultime scadenze elettorali (si veda la campagna intorno alla candidatura propagandistica del compagno Michele Terra a presidente dell'Emilia Romagna).
E soprattutto il Pcl farà ogni sforzo per aumentare ancor di più il proprio impegno e il proprio intervento e rendere coscienti il maggior numero possibile di lavoratori/trici, oggi finalmente in rottura col PD, che una alternativa esiste, ma non è quella del riformismo piccolo borghese e governista dei Vendola, Ferrero, Civati e compagnia, bensì quella classista e rivoluzionaria rappresentata dal nostro partito.
Partito Comunista dei Lavoratori.
26/11/14
24/11/14
INTERVENTO DIRETTIVO NAZIONALE FILLEA CGIL 17 NOVEMBRE
Il governo Renzi sta sempre di più
assumendo le sembianze di un regime, ne sono una testimonianza le
manganellate inflitte ai lavoratori delle Acciaierie Speciali di Terni e
che non hanno risparmiato gli stessi rappresentanti e funzionari
sindacali.
Il trattamento che il capo del governo sta riservando al sindacato con cui si rifiuta di trattare e il disprezzo più volte dimostrato per tutto ciò che esso rappresenta, rischiano di riversarsi negli ambienti di lavoro creando emarginazione attorno alle Rsu, discriminazione verso chi semplicemente partecipa alle assemblee sindacali, inasprimento dei toni di confronto durante gli incontri e nelle trattative sindacali, dove i rappresentanti aziendali si sentono legittimati dai modi di fare di un Presidente del Consiglio che non ha rispetto per le parti sociali.
Matteo Renzi ha dichiarato storicamente e politicamente guerra ai lavoratori, è necessario raccogliere e rilanciare la sfida con uguale durezza. Il capo del Governo si presenta come difensore dei giovani e bandiera del nuovo, ma non c’è nulla di più vecchio che voler distruggere l’Articolo 18 sulla scia del berlusconismo. Non c’è aggressione più squallida ai giovani che sommare il loro licenziamento illegittimo con la liberalizzazione dei “contratti a termine” . Il Jobs Act prevede attacchi durissimi al mondo del lavoro come il demansionamento e il monitoraggio, finora vietati dallo Statuto dei Lavoratori.
La stessa frequenza con cui questo governo ricorre a voti di fiducia e leggi delega è sintomo di scarsa democrazia. Questo progetto reazionario va fermato.
Positiva anche se tardiva la proclamazione dello sciopero generale, che però dovrebbe collocarsi all’interno di una lotta ad oltranza, di uno stato di agitazione permanente, che unifichi tutte le vertenze, gli studenti, i disoccupati, i lavoratori precari. Che preveda un corteo in direzione di Montecitorio nel giorno di approvazione del Jobs Act alla Camera. Che abbia come rivendicazioni la difesa e l’estensione dell’articolo 18, la cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro a partire dal Decreto Poletti, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, l’abrogazione della legge Fornero sulle pensioni e sugli ammortizzatori sociali, il blocco dei licenziamenti, misure contro le delocalizzazioni e i trasferimenti di azienda in zone del mondo in cui i lavoratori sono privi di diritti ed esposti allo sfruttamento. Che unisca le organizzazioni sindacali europee contro l’austerità.
Sono lontani i tempi in cui la segreteria nazionale Cgil ingenuamente si congratulava tramite un comunicato della vittoria del PD di Renzi alle elezioni europee, con l’obiettivo primario di rafforzare una concertazione che non si è mai concretizzata.
Solo una vera mobilitazione sociale può sbarrare la strada a chi sostiene di essere amico del popolo ma realizza i sogni di Confindustria e dei potentati che rappresenta.
Ed anche l'impegno per l'attuazione del nostro "Piano del Lavoro" non può trovare riscontro nell'attuale programma governativo di "privatizzazione", ma anzi, dovrebbe vedere un progetto di grandi interventi sia di programmazione ma anche di pubblicizzazione dei suoli.
Per esempio, se vogliamo prendere i disastri di Genova, riportare il Bisagno dai 70 metri di larghezza attuali ai suoi 280 storici, non richiede un grande intervento di ristrutturazione pubblica dell'uso di quel suolo? Gli espropri vanno bene solo per l'inutile TAV?
Per quanto riguarda i nostri problemi organizzativi ed i documenti che ci sono stati proposti, non possiamo fare a meno di notare che, manca una chiara e netta scelta di "riorganizzare la nostra riorganizzazione", ponendo come elemento fondativo i nostri delegati ed attivisti di base, che secondo noi, dovrebbe essere elemento fondante anche a livello territoriale.
Tutto viene demandato ad un "decentramento" regionale che rischia, nei fatti, di essere un "accentramento" ancora più cogente sul piano territoriale locale.
Anche sulla politica dei quadri le RSU, i direttivi e le commissioni contrattuali territoriali non sono nemmeno nominati.
Non bastano certo censimenti, monitoraggi o presenza sui social media. Ed anche la situazione politica e finanziaria di tutto il movimento sindacale richiedono scelte più radicali e coraggiose. Se mancano le "risorse", i "volontari" sono necessari ed indispensabili.
Chiediamo quindi che si attivi un percorso organizzativo che veda come elemento fondante le istanze di base, siano esse RSU - RLS - RSA, attivisti veri che operano sul territorio. Altrimenti nella realtà, questo nostro processo di ristrutturazione rischia di non cogliere il nodo di base delle crisi organizzative politiche e di rappresentanza, che è di tutta la Cgil, non certo solo della Fillea.
Il trattamento che il capo del governo sta riservando al sindacato con cui si rifiuta di trattare e il disprezzo più volte dimostrato per tutto ciò che esso rappresenta, rischiano di riversarsi negli ambienti di lavoro creando emarginazione attorno alle Rsu, discriminazione verso chi semplicemente partecipa alle assemblee sindacali, inasprimento dei toni di confronto durante gli incontri e nelle trattative sindacali, dove i rappresentanti aziendali si sentono legittimati dai modi di fare di un Presidente del Consiglio che non ha rispetto per le parti sociali.
Matteo Renzi ha dichiarato storicamente e politicamente guerra ai lavoratori, è necessario raccogliere e rilanciare la sfida con uguale durezza. Il capo del Governo si presenta come difensore dei giovani e bandiera del nuovo, ma non c’è nulla di più vecchio che voler distruggere l’Articolo 18 sulla scia del berlusconismo. Non c’è aggressione più squallida ai giovani che sommare il loro licenziamento illegittimo con la liberalizzazione dei “contratti a termine” . Il Jobs Act prevede attacchi durissimi al mondo del lavoro come il demansionamento e il monitoraggio, finora vietati dallo Statuto dei Lavoratori.
La stessa frequenza con cui questo governo ricorre a voti di fiducia e leggi delega è sintomo di scarsa democrazia. Questo progetto reazionario va fermato.
Positiva anche se tardiva la proclamazione dello sciopero generale, che però dovrebbe collocarsi all’interno di una lotta ad oltranza, di uno stato di agitazione permanente, che unifichi tutte le vertenze, gli studenti, i disoccupati, i lavoratori precari. Che preveda un corteo in direzione di Montecitorio nel giorno di approvazione del Jobs Act alla Camera. Che abbia come rivendicazioni la difesa e l’estensione dell’articolo 18, la cancellazione di tutte le leggi di precarizzazione del lavoro a partire dal Decreto Poletti, la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, l’abrogazione della legge Fornero sulle pensioni e sugli ammortizzatori sociali, il blocco dei licenziamenti, misure contro le delocalizzazioni e i trasferimenti di azienda in zone del mondo in cui i lavoratori sono privi di diritti ed esposti allo sfruttamento. Che unisca le organizzazioni sindacali europee contro l’austerità.
Sono lontani i tempi in cui la segreteria nazionale Cgil ingenuamente si congratulava tramite un comunicato della vittoria del PD di Renzi alle elezioni europee, con l’obiettivo primario di rafforzare una concertazione che non si è mai concretizzata.
Solo una vera mobilitazione sociale può sbarrare la strada a chi sostiene di essere amico del popolo ma realizza i sogni di Confindustria e dei potentati che rappresenta.
Ed anche l'impegno per l'attuazione del nostro "Piano del Lavoro" non può trovare riscontro nell'attuale programma governativo di "privatizzazione", ma anzi, dovrebbe vedere un progetto di grandi interventi sia di programmazione ma anche di pubblicizzazione dei suoli.
Per esempio, se vogliamo prendere i disastri di Genova, riportare il Bisagno dai 70 metri di larghezza attuali ai suoi 280 storici, non richiede un grande intervento di ristrutturazione pubblica dell'uso di quel suolo? Gli espropri vanno bene solo per l'inutile TAV?
Per quanto riguarda i nostri problemi organizzativi ed i documenti che ci sono stati proposti, non possiamo fare a meno di notare che, manca una chiara e netta scelta di "riorganizzare la nostra riorganizzazione", ponendo come elemento fondativo i nostri delegati ed attivisti di base, che secondo noi, dovrebbe essere elemento fondante anche a livello territoriale.
Tutto viene demandato ad un "decentramento" regionale che rischia, nei fatti, di essere un "accentramento" ancora più cogente sul piano territoriale locale.
Anche sulla politica dei quadri le RSU, i direttivi e le commissioni contrattuali territoriali non sono nemmeno nominati.
Non bastano certo censimenti, monitoraggi o presenza sui social media. Ed anche la situazione politica e finanziaria di tutto il movimento sindacale richiedono scelte più radicali e coraggiose. Se mancano le "risorse", i "volontari" sono necessari ed indispensabili.
Chiediamo quindi che si attivi un percorso organizzativo che veda come elemento fondante le istanze di base, siano esse RSU - RLS - RSA, attivisti veri che operano sul territorio. Altrimenti nella realtà, questo nostro processo di ristrutturazione rischia di non cogliere il nodo di base delle crisi organizzative politiche e di rappresentanza, che è di tutta la Cgil, non certo solo della Fillea.
Alessandra Pierosara
PCL sez. Ancona
PCL sez. Ancona
23/11/14
GLI TSIPRIANI VOGLIONO QUERELARE IL PCL
IL CAPOLISTA DI ALTRA EMILIA, PIERGIOVANNI ALLEVA CI INSULTA E ANNUNCIA QUERELE CONTRO IL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Due giorni fa avevamo ricordato, in
maniera educata e politicamente corretta, un comunicato stampa
dell'Unione Sindacale di Base che citava come Pierlugi Alleva fosse
stato l'avvocato di parte datoriale (padronale) in una causa contro otto
lavoratori che, sostenuti da USB, chiedevano il riconoscimento di un
livello superiore. I lavoratori persero e furono condannati a pagare le
spese processuali. Ma oggi Alleva, oltre a scrivere tutte le settimane
sul Manifesto, è il capolista di Altra Emilia-Romagna
(tsipriani+Prc+Pdci), e quindi chi cita questa cosa è uno “sciacallo” e
va querelato.
L'autodifesa di Alleva, la toppa, è peggiore del buco. Alleva sostiene che siccome c'era un accordo fatto dalla CGIL e votato era giusto (coerente?) difendere l'azienda. Orbene, sono alcuni decenni che i sindacati confederali rifilano ai lavoratori accordi bidone, tra l'altro contestati sempre dalla sinistra CGIL e spesso anche dalla FIOM. Quindi tutto bene?
Il nostro testo, tra l'altro, è girato solo sulla rete e non inviato alla stampa, ma tanto è bastato per farne un “caso”. I sostenitori della Tsipras emiliana si sono scatenati: il PCL attacca la “sinistra” perché aiuta la destra; il PCL rosica perché non è presente e via sparlando da bar sport. Allora è bene ricordare che sono anni che contestiamo le varie politiche regionali e più recentemente abbiamo denunciato una legge elettorale antidemocratica e tecnicamente sbagliata votata anche da chi oggi sostiene la lista di Alleva, ma soprattutto va ricordato che i partiti che oggi sostengono Altra Emilia-Romagna fino ad oggi sono stati in giunta e in maggioranza con il PD.
In un festival di solidarietà al povero Alleva – ai lavoratori che hanno perso la causa nel 2011 però no, cazzi loro che contestavano l'accordo CGIL – è un revival contro il PCL di argomentazioni da vecchio PCI anni '70, manca solo che ci paga la CIA, il KGB o la Spectre (a scelta). Intanto, loro che contano, potrebbero mica bussare all'INPS che sono due mesi che aspetto l'indennità di disoccupazione? (Così, caro Alleva, sai quanto ci guadagni a farci causa).
Aspettiamo trepidanti la querela, però non so se un tribunale sia abilitato a dare qualifiche da compagno o la patente da comunista.
Michele Terra
Segreteria naz. PCL
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Qui sotto il comunicato di Alleva sulla sua pagina
L'autodifesa di Alleva, la toppa, è peggiore del buco. Alleva sostiene che siccome c'era un accordo fatto dalla CGIL e votato era giusto (coerente?) difendere l'azienda. Orbene, sono alcuni decenni che i sindacati confederali rifilano ai lavoratori accordi bidone, tra l'altro contestati sempre dalla sinistra CGIL e spesso anche dalla FIOM. Quindi tutto bene?
Il nostro testo, tra l'altro, è girato solo sulla rete e non inviato alla stampa, ma tanto è bastato per farne un “caso”. I sostenitori della Tsipras emiliana si sono scatenati: il PCL attacca la “sinistra” perché aiuta la destra; il PCL rosica perché non è presente e via sparlando da bar sport. Allora è bene ricordare che sono anni che contestiamo le varie politiche regionali e più recentemente abbiamo denunciato una legge elettorale antidemocratica e tecnicamente sbagliata votata anche da chi oggi sostiene la lista di Alleva, ma soprattutto va ricordato che i partiti che oggi sostengono Altra Emilia-Romagna fino ad oggi sono stati in giunta e in maggioranza con il PD.
In un festival di solidarietà al povero Alleva – ai lavoratori che hanno perso la causa nel 2011 però no, cazzi loro che contestavano l'accordo CGIL – è un revival contro il PCL di argomentazioni da vecchio PCI anni '70, manca solo che ci paga la CIA, il KGB o la Spectre (a scelta). Intanto, loro che contano, potrebbero mica bussare all'INPS che sono due mesi che aspetto l'indennità di disoccupazione? (Così, caro Alleva, sai quanto ci guadagni a farci causa).
Aspettiamo trepidanti la querela, però non so se un tribunale sia abilitato a dare qualifiche da compagno o la patente da comunista.
Michele Terra
Segreteria naz. PCL
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Qui sotto il comunicato di Alleva sulla sua pagina
L'attacco del PCL, sezione di Bologna, è un chiaro esempio di
sciacallaggio politico perché per 40 anni ho difeso solo e soltanto i
lavoratori e la CGIL.
Nel 2011, nel caso citato, ho difeso il CUP 2000 di Bologna relativamente all'applicazione di un contratto, in materia di percorsi professionali, sottoscritto dalla CGIL e approvato con referendum dalla stragrande maggioranza dei lavoratori. Successivamente, un piccolo gruppo di 8 lavoratori, iscritti all'USB, non soddisfatti dell'esito referendario ha attaccato il contratto in sede giudiziaria con argomenti rivelatisi privi di fondamento e respinti dal tribunale. Vista la palese strumentalità e l'intento lesivo dell'attacco mi riservo, ovviamente, di sporgere querela a tempo debito.
Nel 2011, nel caso citato, ho difeso il CUP 2000 di Bologna relativamente all'applicazione di un contratto, in materia di percorsi professionali, sottoscritto dalla CGIL e approvato con referendum dalla stragrande maggioranza dei lavoratori. Successivamente, un piccolo gruppo di 8 lavoratori, iscritti all'USB, non soddisfatti dell'esito referendario ha attaccato il contratto in sede giudiziaria con argomenti rivelatisi privi di fondamento e respinti dal tribunale. Vista la palese strumentalità e l'intento lesivo dell'attacco mi riservo, ovviamente, di sporgere querela a tempo debito.
OLTRE IL 12 DICEMBRE
Lo sciopero generale convocato da CGIL e
UIL per il 12 Dicembre contesta le politiche del governo Renzi, ma
riflette la debolezza dell'azione sindacale e un vuoto di prospettiva.
Le burocrazie sindacali manifestano il “dissenso” senza organizzare una lotta vera. Si limitano a replicare al rifiuto di “ascolto” del governo nel nome dell'apertura del “dialogo”.
Ma un'azione di pura pressione ordinaria sul governo Renzi non corrisponde alla gravità dell'attacco portato ai lavoratori , finisce col subordinarsi di fatto ad una logica emendativa, ed è priva oltretutto di sbocchi credibili: a fronte di un corso politico reazionario apertamente contrapposto al movimento operaio e sindacale.
E' necessario un salto dell'azione del movimento operaio e sindacale per contrapporre ala determinazione reazionaria del governo una forza di massa uguale e contraria, dentro una mobilitazione prolungata e radicale. L'unica che può piegare governo e padronato .
Il 12 dicembre deve segnare un punto di svolta. Di fronte alla prevedibile intransigenza del governo e alla continuità del suo attacco, va promossa una grande assemblea nazionale di delegati eletti nei luoghi di lavoro, in tutte le categorie, per definire una risposta di lotta di pari radicalità e una piattaforma di mobilitazione unificante, oggi clamorosamente assente. Una piattaforma che leghi la rivendicazione del ritiro incondizionato delle misure governative a un piano più generale di obiettivi e soluzioni alternative. Una piattaforma di lotta che possa essere realmente un punto di riferimento riconoscibile per i lavoratori, i precari, i disoccupati, e perciò stesso strumento essa stessa della mobilitazione di massa più ampia.
Solo questa svolta unitaria e radicale di lotta può ribaltare i rapporti di forza e strappare risultati reali ; mettere in crisi il renzismo e lo stesso blocco sociale che va raggruppandosi attorno al populismo reazionario di Salvini e settori di destra; aprire dal basso una prospettiva politica di reale alternativa.
Le burocrazie sindacali manifestano il “dissenso” senza organizzare una lotta vera. Si limitano a replicare al rifiuto di “ascolto” del governo nel nome dell'apertura del “dialogo”.
Ma un'azione di pura pressione ordinaria sul governo Renzi non corrisponde alla gravità dell'attacco portato ai lavoratori , finisce col subordinarsi di fatto ad una logica emendativa, ed è priva oltretutto di sbocchi credibili: a fronte di un corso politico reazionario apertamente contrapposto al movimento operaio e sindacale.
E' necessario un salto dell'azione del movimento operaio e sindacale per contrapporre ala determinazione reazionaria del governo una forza di massa uguale e contraria, dentro una mobilitazione prolungata e radicale. L'unica che può piegare governo e padronato .
Il 12 dicembre deve segnare un punto di svolta. Di fronte alla prevedibile intransigenza del governo e alla continuità del suo attacco, va promossa una grande assemblea nazionale di delegati eletti nei luoghi di lavoro, in tutte le categorie, per definire una risposta di lotta di pari radicalità e una piattaforma di mobilitazione unificante, oggi clamorosamente assente. Una piattaforma che leghi la rivendicazione del ritiro incondizionato delle misure governative a un piano più generale di obiettivi e soluzioni alternative. Una piattaforma di lotta che possa essere realmente un punto di riferimento riconoscibile per i lavoratori, i precari, i disoccupati, e perciò stesso strumento essa stessa della mobilitazione di massa più ampia.
Solo questa svolta unitaria e radicale di lotta può ribaltare i rapporti di forza e strappare risultati reali ; mettere in crisi il renzismo e lo stesso blocco sociale che va raggruppandosi attorno al populismo reazionario di Salvini e settori di destra; aprire dal basso una prospettiva politica di reale alternativa.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
21/11/14
Sciopero Cgil Uil. Quando la matematica è un’opinione
Comununicato di Sergio Bellavita area opposizione CGIL "sindcatoèunaltracosa"
Se qualcuno si aspettava che davanti alla straordinaria disponibilità
alla mobilitazione testimoniata dal crescendo di iniziative di questi
ultimi due mesi, passando per il riuscito sciopero sociale del 14
novembre, la Cgil traesse linfa vitale per rilanciare il conflitto dovrà
ricredersi. La risposta del palazzo sindacale al protagonismo crescente
di giovani, precari, operai è la chiusura a riccio, è lo sciopero
slittato al 12 dicembre, celebrazione post cancellazione statuto dei
diritti dei lavoratori, è l’inedita unità con la Uil di Barbagallo
sancita in un incontro di vertice, non certo nelle lotte sociali. Uno
più uno in matematica fa due, su questo neanche il modello derogatorio
del 10 gennaio può far nulla, ma in politica e sul terreno sociale la
somma potrebbe essere anche zero.
La Cgil poteva imboccare due strade, tra loro alternative. Una è
quella che chiama alla necessità di dare continuità alle lotte, di
diventare punto di riferimento per la ricostruzione di un conflitto
sociale di lungo periodo con l’obbiettivo concreto di determinare
davvero l’agenda politica e sociale del paese. Portando sino in fondo la
rottura con il Pd e la divaricazione con Cisl-Uil e mettendo a valore
le lotte dei metalmeccanici, lo sciopero sociale e le potenzialità che
quell’esperienza ha reso evidente a tutti. Una strada che imponeva una
pratica coerente e conseguente sul terreno contrattuale come
unificazione delle mille vertenze, dalle acciaierie di Terni alla Titan
di bologna, al teatro dell’opera, alla Farmacap di Roma, che vedono
decine di migliaia di uomini e di donne di questo paese resistere alla
cancellazione di diritti, salario ed ai licenziamenti. La Cgil ha
imboccato un’altra strada, quella delle mobilitazioni come minimo
sindacale, come atto di formale contrarietà alle scelte di Renzi oltre
le quali però non si va. Lo avevamo detto sin dall’inizio di questo
autunno: se non si fa sul serio la lotta contro il governo sarà la
debacle per la Cgil. Ha prevalso la paura di un conflitto generale
difficilmente controllabile, la paura di perdere ogni rapporto con le
elites di governo. In sostanza la paura di fare i conti davvero con la
propria irrilevanza, di doversi misurare con l’incompatibilità di una
linea e di una pratica sindacale che non sia complice e subalterna. La
paura di perdere ogni piccolo residuo spazio di legittimazione
istituzionale, di perdere l’internità nelle stanze del sottogoverno, nei
corridoi ministeriali. Il corpaccio della Cgil e le sue categorie hanno
scelto l’unità con Cisl e Uil. L’uno due, sciopero con Uil il 12 e
l’accordo taglia salari al teatro dell’opera di Roma, è pesantissimo. La
Cgil con questa scelta conclude ,purtroppo prima ancora di aprirla, la
sua fase di mobilitazione, il suo declamato riposizionamento politico
rispetto al partito democratico e al governo. Avevamo ragione, ma ci
piacerebbe cominciare ad avere torto, quando nel direttivo della Cgil
abbiamo denunciato i limiti, di merito e di metodo, del percorso che la
segretaria generale Camusso ha proposto contro il Jobs Act. Solo la Fiom
ha scioperato davvero, le altre categorie hanno assistito passivamente
nascondendosi dietro l’unità con Cisl e Uil. Per questa ragione non
bisognava accontentarsi, come pure ha fatto Landini, della semplice
proclamazione dello sciopero generale, importantissima certo, ma inutile
e dannosa se giocata per chiudere una fase anziché aprirla, per
spargere rassegnazione e disorientamento anziché incendiare il
conflitto. Cosi si va alla sconfitta formale del sindacato. Renzi potrà
vantare di avere piegato la Cgil imponendo a colpi di fiducia e con la
vergognosa complicità della sinistra Pd, zeppa di ex sindacalisti, il
suo Jobs Act. Noi vogliamo continuare a lottare contro Renzi e la sua
politica criminale. Vogliamo farlo insieme e con tutti e tutte coloro
che hanno preparato lo sciopero sociale del 14 novembre, con i
metalmeccanici che domani 21 a Napoli manifesteranno.
25/10/14
OGGETTO: LA CROCIATA DEL GOVERNO RENZI CONTRO L'ART.18 RAPPRESENTA IL PRIMO ATTO DI UNA OFFENSIVA GENERALE CONTRO TUTTI I FONDAMENTALI DIRITTI DEI LAVORATORI ITALIANI.
La rinnovata volontà del governo Renzi, contenuta nel cosiddetto
d.l. sul lavoro, indirizzata alla cancellazione di un vero e proprio
diritto di civiltà costituito dall'art.18 dello Statuto dei lavoratori,
apre un'offensiva anti-democratica e incostituzionale contro tutte le
lavoratrici e i lavoratori italiani.
Il PCL sez. di Ancona denuncia l'inerzia e la complicità della maggioranza delle forze politiche e presunte sindacali nazionali, che simulano di non rendersi conto della portata epocale di tale progetto di riforma, che, se realizzato, porterà tutti i lavoratori italiani indietro di almeno 50 anni, ed alimenterà un sistema di precarizzazione che non produrrò nemmeno un posto di lavoro in più!
Non si capisce, continua la nota del PCL di Ancona, come mai perché, oltre al tentativo subdolo del governo Renzi, volto a scatenare una vera guerra tra poveri, non ci si attenga alle normative in materia esistenti in tutti gli altri stati europei, socialmente avanzati, in cui è previsto il reintegro di tutti i lavoratori ingiustamente licenziati, la cosiddetta legge sulla reintegra.
E' necessario, secondo il PCL sez. di Ancona, adottare una immediata strategia di lotta e mobilitazione di tutto il mondo del lavoro italiano contro il governo di "destra economica estrema", presieduto da un Presidente del Consiglio non eletto dal popolo italiano, ma scandalosamente nominato, proprio per asservire agli interessi di certi potentati, i quali non aspettano altro che desertificare l'occupazione e delocalizzare le proprie realtà industriali!
L'unica possibilità di salvare la civiltà del lavoro e la democrazia nei luoghi produttivi, è rappresentata dall'occupazione a brevissima scadenza di tutte le fabbriche, concatenata al blocco di tutte le merci con forme di sciopero selvaggio che paralizzi tutte le comunicazioni, sia stradali, ferroviarie, marittime ed aeree.
Solo così, conclude la nota del PCL, si impediranno licenziamenti selvaggi per ragioni politiche, e si estenderà la tutela dell'art.18 a tutti i lavoratori, inclusi quelli che operano in fabbriche con meno di 15 dipendenti.
E' ora che il governo Renzi venga "licenziato" e mandato a casa, con tutti i suoi "sponsor" nemici della gente che produce ricchezza in Italia. I lavoratori!!!
Il PCL sez. di Ancona denuncia l'inerzia e la complicità della maggioranza delle forze politiche e presunte sindacali nazionali, che simulano di non rendersi conto della portata epocale di tale progetto di riforma, che, se realizzato, porterà tutti i lavoratori italiani indietro di almeno 50 anni, ed alimenterà un sistema di precarizzazione che non produrrò nemmeno un posto di lavoro in più!
Non si capisce, continua la nota del PCL di Ancona, come mai perché, oltre al tentativo subdolo del governo Renzi, volto a scatenare una vera guerra tra poveri, non ci si attenga alle normative in materia esistenti in tutti gli altri stati europei, socialmente avanzati, in cui è previsto il reintegro di tutti i lavoratori ingiustamente licenziati, la cosiddetta legge sulla reintegra.
E' necessario, secondo il PCL sez. di Ancona, adottare una immediata strategia di lotta e mobilitazione di tutto il mondo del lavoro italiano contro il governo di "destra economica estrema", presieduto da un Presidente del Consiglio non eletto dal popolo italiano, ma scandalosamente nominato, proprio per asservire agli interessi di certi potentati, i quali non aspettano altro che desertificare l'occupazione e delocalizzare le proprie realtà industriali!
L'unica possibilità di salvare la civiltà del lavoro e la democrazia nei luoghi produttivi, è rappresentata dall'occupazione a brevissima scadenza di tutte le fabbriche, concatenata al blocco di tutte le merci con forme di sciopero selvaggio che paralizzi tutte le comunicazioni, sia stradali, ferroviarie, marittime ed aeree.
Solo così, conclude la nota del PCL, si impediranno licenziamenti selvaggi per ragioni politiche, e si estenderà la tutela dell'art.18 a tutti i lavoratori, inclusi quelli che operano in fabbriche con meno di 15 dipendenti.
E' ora che il governo Renzi venga "licenziato" e mandato a casa, con tutti i suoi "sponsor" nemici della gente che produce ricchezza in Italia. I lavoratori!!!
Fabriano, 16/10/2014
Partito Comunista dei Lavoratori
sez. Ancona
sez. Ancona
13/10/14
comunicato su rom e sicurezza
Mentre in queste ore il Partito
Democratico avanza a grandi passi verso l'eliminazione delle ultime
tutele rimaste ai lavoratori, le cronache locali si occupano del sempre
annoso problema della sicurezza. Il sindaco Ricci si è affrettato a
dichiarare che ci saranno presto degli “interventi mirati” per evitare
che il fenomeno continui. Il fenomeno in questione è la presenza di rom
senza fissa dimora che disturbano la placida vita in città, l'intervento
mirato è il loro allontanamento (in pratica li disperdono, li separano e
attendono che si riorganizzino in un altro luogo cittadino, per poi
allontanarli nuovamente). Non si può dire che l'attuale giunta non abbia
affrontato il “problema sicurezza”, oltre alla questione dei rom, ha
già affrontato di petto il problema dell'abusivismo (cioè degli
immigrati costretti a vendere prodotti vari senza potersi permettere il
lusso di un'attività a norma) attraverso l'installazione di telecamere e
la presenza costante di vigili, pagati per presenziare i luoghi
utilizzati dagli abusivi. La questione della sicurezza, però, è
esattamente all'opposto di come viene affrontata dai giornali e dal
sindaco: la sicurezza da preservare dovrebbe essere, prioritariamente,
quella degli immigrati costretti a vivere in tali condizioni precarie,
non quella dei pesaresi disturbati dalla loro presenza. Per una reale
convivenza civile, che gioverebbe a tutti, ciò di cui gli esseri umani,
di ogni latitudine, hanno bisogno è di vivere dignitosamente, in una
casa con i servizi igienici e di un lavoro. Questo è il reale problema
da affrontare, senza inutili divisioni razziste che alimentano la solita
guerra tra poveri. Il leitmotiv è che il lavoro e la casa mancano per i
pesaresi, sarebbe assurdo pensare di trovare sistemazione agli
immigrati. La risposta di noi comunisti è che queste differenze sono
prive di senso, tutti gli esseri umani hanno pari diritti ed è il
sistema ad essere evidentemente sbagliato. Se ci si guarda intorno con
occhi diversi e più obiettivi ci si accorge facilmente che non mancano
né case né lavoro (quanto lavoro ci sarebbe da fare se si volesse
riqualificare la città) nè tanto meno i soldi, concentrati nelle mani di
pochissimi. L'unico modo concreto per risolvere il problema della
sicurezza è quindi quello di permettere ad ogni cittadino di avere un
tetto sulla testa e un lavoro dignitoso. Bisognerebbe inoltre
predisporre un serio programma di integrazione culturale, che non
significa assimilazione ma arricchimento nella conoscenza reciproca. Per
attuare tutto questo serve una visione politica molto differente da
quella di chi oggi ci governa, una visione concreta dell'esistente,
perchè soltanto attraverso il rispetto e la dignità potremo avere città
sicure, la repressione non farà che acuire il problema.
Pcl Pesaro
26/09/14
ALLA DIREZIONE DELLA CGIL E DELLA FIOM: PER UNA SVOLTA RADICALE DEL MOVIMENTO OPERAIO CONTRO IL RENZISMO.
ALLA DIREZIONE DELLA CGIL E DELLA FIOM:
PER UNA SVOLTA RADICALE DEL MOVIMENTO OPERAIO CONTRO IL RENZISMO.
Il senso di questa lettera pubblica è molto semplice. Siamo in presenza di una svolta politica reazionaria. Voi siete di fatto la direzione maggioritaria del movimento operaio italiano. La vostra responsabilità è politica, non solo sindacale, tanto più a fronte della crisi verticale della sinistra politica italiana. Noi pensiamo che le vostre scelte di fondo di lungo corso, in forme e con ruoli diversi, abbiano favorito in misura decisiva la deriva in corso. Per questo rivendichiamo una svolta radicale di indirizzo, capace di trarre un bilancio di verità e di affrontare un livello di scontro politico e sociale per molti aspetti nuovo. Senza una svolta di indirizzo, finirete complici di una disfatta del movimento operaio e di un successo reazionario. Che colpirà la stessa CGIL e la FIOM.
MATTEO RENZI, FRA THATCHER E BONAPARTE
La situazione politica e sociale italiana è segnata sempre più pesantemente da un corso politico reazionario. Il governo Renzi non è la semplice continuità dei governi Monti e Letta. Incarna una tendenza bonapartista alla concentrazione dei poteri nelle mani del premier con ampie ricadute sull'intero sistema delle relazioni sociali, politiche, istituzionali.
Il nuovo populismo di governo cerca la relazione diretta con la cosiddetta “opinione pubblica” fuori e contro le forme tradizionali della rappresentanza. Da un lato droga il senso comune con una recitazione d'immagine totalmente falsa che riprende in forma diversa il canovaccio del berlusconismo come di ogni populismo reazionario ( nuovo contro vecchio, futuro contro passato, giovani contro anziani, cittadini contro politici , sognatori contro burocrati..); dall'altro usa il consenso drogato, così costruito, come randello contro il movimento operaio , i suoi diritti, le sue organizzazioni.
L'operazione elettorale truffa degli 80 euro, messi a carico dei beneficiari, ha coperto e copre un ulteriore salto devastante sul terreno della precarizzazione del lavoro ( dal decreto Poletti allo smantellamento definitivo dell'articolo 18), col sostegno entusiasta di Sacconi e Berlusconi.
La campagna d'immagine sulla “buona scuola”, copre un passo avanti ulteriore nella privatizzazione strisciante dell'istruzione pubblica, col plauso pubblico di Gelmini e di Aprea.
La “riforma della pubblica amministrazione” maschera tagli ulteriori di decine di miliardi sulla spesa sociale, la continuità del blocco contrattuale per milioni di lavoratori , scelte discriminatorie e antisindacali in linea con Brunetta e con l'ammirazione di Brunetta.
Intanto i sindacati, a partire dalla CGIL, diventano bersaglio di una campagna pubblica sprezzante, e persino di irrisione, da parte del Presidente del Consiglio: che punta a fare della contrapposizione al sindacato una leva del proprio richiamo popolare. Mentre avanza un disegno reazionario di riforma elettorale e istituzionale- pattuito tra Renzi e Berlusconi- senza precedenti nella storia della Repubblica.
LE VOSTRE RESPONSABILITA'.
L'avanzata di questo populismo di governo chiama in causa le vostre responsabilità.
Gli 80 euro hanno brillato agli occhi di tanti lavoratori in misura proporzionale alla svendita per tanti anni dei loro interessi e all'assenza di una azione reale di mobilitazione contro le politiche dominanti e contro il padronato.
Prima la compromissione del gruppo dirigente CGIL nelle politiche di sacrifici del governo Prodi, in compagnia di tutta la sinistra politica italiana ( riduzione dell'Ires sui profitti di banche e imprese, precarizzazione del lavoro, riduzione del cuneo fiscale tutto a vantaggio dei padroni); poi la sua volontà di subordinare l'opposizione di massa antiberlusconiana alla riproposizione ( fallita) del centrosinistra, col risultato di disperderne potenzialità e radicalità; poi la sua sottomissione passiva alla macelleria di Monti contro lavoro e pensioni, in omaggio al patto con Bersani e in obbedienza a Napolitano e alla UE; parallelamente la politica di blocco con Confindustria sulla derogabilità dei contratti e sulla incontestabilità dei contratti in deroga, quale sponda auspicata e fallita di un nuovo patto di centrosinistra: l'insieme di queste scelte della CGIL ha non solo rappresentato una sconfessione delle ragioni del lavoro negli anni cruciali della grande crisi capitalista , ma un fattore decisivo di demoralizzazione, disgregazione, passivizzazione sociale, arretramento e confusione della coscienza politica di milioni di lavoratori. Il populismo reazionario ha pescato a piene mani proprio in questo arretramento, sia nella variante reazionario plebiscitaria del grillismo, sia in quella bonapartista del renzismo.
La FIOM ha in parte contrastato questa politica, in contrapposizione a Marchionne e a Monti. Ma non ha indicato un'alternativa di linea sul terreno dell'azione di massa e della sua prospettiva. E ha finito col rispondere alla propria sconfitta sindacale prima col tentativo di una ricomposizione pattizia con la maggioranza CGIL, poi con una spregiudicata apertura di credito verso Renzi contro i vertici CGIL. Nella ricerca ostentata ( e grave) di un asse diretto concertativo col Capo di un governo antisindacale. La copertura di CGIL e FIOM all'operazione truffa degli 80 euro ha rappresentato, con logiche diverse, una comune politica subalterna contro un principio elementare di verità. E un ulteriore fattore di confusione della coscienza di classe a vantaggio del populismo di governo, e della sua marcia contro il lavoro. Il fatto che l'infame decreto Poletti sia passato senza il contrasto di una sola ora di sciopero dietro la bandiera degli 80 euro, rappresenta una enormità. Ma anche la misura di una vostra politica disarmante.
PER UNA RISPOSTA PROPORZIONALE ALL'ATTACCO
PER UN'ALTRA DIREZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO
Il punto è che queste vostre politiche sono fallite. Non è un punto di critica, è un dato obiettivo. Il rullo compressore del renzismo avanza non solo contro i lavoratori ma anche contro di voi. L'aggressione finale contro l'articolo 18, in aperta sfida al movimento operaio e sindacale, torna ad essere la linea di raggruppamento dell'intero fronte padronale. Di più: Renzi fa dell'attacco frontale all'articolo 18 la bandiera della propria credibilità internazionale di uomo di rottura e sfondamento contro il movimento operaio e i sindacati. Siamo a un thatcherismo in versione populista, e per questo tanto più minaccioso.
E' l'ora di una risposta proporzionale all'attacco.
Le politiche di attesa “critica” o di ammiccamento equivoco vanno definitivamente archiviate. Ogni ipotesi di subordinazione alla dialettica interna al PD, in una logica di alleanza con i liberali della vecchia guardia contro i nuovi reazionari, non porterebbe da nessuna parte. Non sarà Massimo D'Alema, già guida in altre stagioni dell'attacco contro i lavoratori, la ciambella di salvataggio del movimento operaio italiano. Non sarà Stefano Fassina, già ministro del governo Letta e delle politiche di austerità, la clausola di salvaguardia della CGIL e tanto meno dei lavoratori. Ogni ennesima ricerca di un nuovo centrosinistra sarebbe al tempo stesso, tanto più oggi, subalterna e velleitaria. L'unica sua conseguenza concreta sarebbe la rimozione della mobilitazione di massa, a tutto vantaggio di Renzi (e di Grillo).
“Alla guerra occorre andare come alla guerra”. Renzi ha dichiarato guerra al movimento operaio e ai sindacati riunendo attorno a sé il fronte padronale. Il movimento operaio dichiari guerra al renzismo unendo attorno a sé - attorno ad una propria piattaforma di lotta indipendente - il grosso dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, della popolazione povera del Paese. Non bastano appuntamenti di contestazione simbolica delle misure del governo, per di più eventualmente divisi e concorrenziali fra loro. E' necessario unire le forze in uno scontro vero e prolungato. Il PCL, i suoi militanti e attivisti sindacali, si battono da anni per una svolta unitaria e radicale dell'azione di lotta del movimento operaio , ponendo questa esigenza in ogni lotta, in ogni sindacato di classe, in ogni occasione di confronto . Tanto più lo facciamo e lo faremo pubblicamente in questo momento cruciale della lotta di classe in Italia e in Europa.
Su di voi ricade una responsabilità enorme.
Su di noi quella di batterci fra i lavoratori e in ogni lotta per un'altra direzione del movimento operaio e sindacale, coerentemente classista e anticapitalista. La costruzione di un partito rivoluzionario, radicato nell'avanguardia della classe lavoratrice, è parte decisiva di questa battaglia.
PER UNA SVOLTA RADICALE DEL MOVIMENTO OPERAIO CONTRO IL RENZISMO.
Il senso di questa lettera pubblica è molto semplice. Siamo in presenza di una svolta politica reazionaria. Voi siete di fatto la direzione maggioritaria del movimento operaio italiano. La vostra responsabilità è politica, non solo sindacale, tanto più a fronte della crisi verticale della sinistra politica italiana. Noi pensiamo che le vostre scelte di fondo di lungo corso, in forme e con ruoli diversi, abbiano favorito in misura decisiva la deriva in corso. Per questo rivendichiamo una svolta radicale di indirizzo, capace di trarre un bilancio di verità e di affrontare un livello di scontro politico e sociale per molti aspetti nuovo. Senza una svolta di indirizzo, finirete complici di una disfatta del movimento operaio e di un successo reazionario. Che colpirà la stessa CGIL e la FIOM.
MATTEO RENZI, FRA THATCHER E BONAPARTE
La situazione politica e sociale italiana è segnata sempre più pesantemente da un corso politico reazionario. Il governo Renzi non è la semplice continuità dei governi Monti e Letta. Incarna una tendenza bonapartista alla concentrazione dei poteri nelle mani del premier con ampie ricadute sull'intero sistema delle relazioni sociali, politiche, istituzionali.
Il nuovo populismo di governo cerca la relazione diretta con la cosiddetta “opinione pubblica” fuori e contro le forme tradizionali della rappresentanza. Da un lato droga il senso comune con una recitazione d'immagine totalmente falsa che riprende in forma diversa il canovaccio del berlusconismo come di ogni populismo reazionario ( nuovo contro vecchio, futuro contro passato, giovani contro anziani, cittadini contro politici , sognatori contro burocrati..); dall'altro usa il consenso drogato, così costruito, come randello contro il movimento operaio , i suoi diritti, le sue organizzazioni.
L'operazione elettorale truffa degli 80 euro, messi a carico dei beneficiari, ha coperto e copre un ulteriore salto devastante sul terreno della precarizzazione del lavoro ( dal decreto Poletti allo smantellamento definitivo dell'articolo 18), col sostegno entusiasta di Sacconi e Berlusconi.
La campagna d'immagine sulla “buona scuola”, copre un passo avanti ulteriore nella privatizzazione strisciante dell'istruzione pubblica, col plauso pubblico di Gelmini e di Aprea.
La “riforma della pubblica amministrazione” maschera tagli ulteriori di decine di miliardi sulla spesa sociale, la continuità del blocco contrattuale per milioni di lavoratori , scelte discriminatorie e antisindacali in linea con Brunetta e con l'ammirazione di Brunetta.
Intanto i sindacati, a partire dalla CGIL, diventano bersaglio di una campagna pubblica sprezzante, e persino di irrisione, da parte del Presidente del Consiglio: che punta a fare della contrapposizione al sindacato una leva del proprio richiamo popolare. Mentre avanza un disegno reazionario di riforma elettorale e istituzionale- pattuito tra Renzi e Berlusconi- senza precedenti nella storia della Repubblica.
LE VOSTRE RESPONSABILITA'.
L'avanzata di questo populismo di governo chiama in causa le vostre responsabilità.
Gli 80 euro hanno brillato agli occhi di tanti lavoratori in misura proporzionale alla svendita per tanti anni dei loro interessi e all'assenza di una azione reale di mobilitazione contro le politiche dominanti e contro il padronato.
Prima la compromissione del gruppo dirigente CGIL nelle politiche di sacrifici del governo Prodi, in compagnia di tutta la sinistra politica italiana ( riduzione dell'Ires sui profitti di banche e imprese, precarizzazione del lavoro, riduzione del cuneo fiscale tutto a vantaggio dei padroni); poi la sua volontà di subordinare l'opposizione di massa antiberlusconiana alla riproposizione ( fallita) del centrosinistra, col risultato di disperderne potenzialità e radicalità; poi la sua sottomissione passiva alla macelleria di Monti contro lavoro e pensioni, in omaggio al patto con Bersani e in obbedienza a Napolitano e alla UE; parallelamente la politica di blocco con Confindustria sulla derogabilità dei contratti e sulla incontestabilità dei contratti in deroga, quale sponda auspicata e fallita di un nuovo patto di centrosinistra: l'insieme di queste scelte della CGIL ha non solo rappresentato una sconfessione delle ragioni del lavoro negli anni cruciali della grande crisi capitalista , ma un fattore decisivo di demoralizzazione, disgregazione, passivizzazione sociale, arretramento e confusione della coscienza politica di milioni di lavoratori. Il populismo reazionario ha pescato a piene mani proprio in questo arretramento, sia nella variante reazionario plebiscitaria del grillismo, sia in quella bonapartista del renzismo.
La FIOM ha in parte contrastato questa politica, in contrapposizione a Marchionne e a Monti. Ma non ha indicato un'alternativa di linea sul terreno dell'azione di massa e della sua prospettiva. E ha finito col rispondere alla propria sconfitta sindacale prima col tentativo di una ricomposizione pattizia con la maggioranza CGIL, poi con una spregiudicata apertura di credito verso Renzi contro i vertici CGIL. Nella ricerca ostentata ( e grave) di un asse diretto concertativo col Capo di un governo antisindacale. La copertura di CGIL e FIOM all'operazione truffa degli 80 euro ha rappresentato, con logiche diverse, una comune politica subalterna contro un principio elementare di verità. E un ulteriore fattore di confusione della coscienza di classe a vantaggio del populismo di governo, e della sua marcia contro il lavoro. Il fatto che l'infame decreto Poletti sia passato senza il contrasto di una sola ora di sciopero dietro la bandiera degli 80 euro, rappresenta una enormità. Ma anche la misura di una vostra politica disarmante.
PER UNA RISPOSTA PROPORZIONALE ALL'ATTACCO
PER UN'ALTRA DIREZIONE DEL MOVIMENTO OPERAIO
Il punto è che queste vostre politiche sono fallite. Non è un punto di critica, è un dato obiettivo. Il rullo compressore del renzismo avanza non solo contro i lavoratori ma anche contro di voi. L'aggressione finale contro l'articolo 18, in aperta sfida al movimento operaio e sindacale, torna ad essere la linea di raggruppamento dell'intero fronte padronale. Di più: Renzi fa dell'attacco frontale all'articolo 18 la bandiera della propria credibilità internazionale di uomo di rottura e sfondamento contro il movimento operaio e i sindacati. Siamo a un thatcherismo in versione populista, e per questo tanto più minaccioso.
E' l'ora di una risposta proporzionale all'attacco.
Le politiche di attesa “critica” o di ammiccamento equivoco vanno definitivamente archiviate. Ogni ipotesi di subordinazione alla dialettica interna al PD, in una logica di alleanza con i liberali della vecchia guardia contro i nuovi reazionari, non porterebbe da nessuna parte. Non sarà Massimo D'Alema, già guida in altre stagioni dell'attacco contro i lavoratori, la ciambella di salvataggio del movimento operaio italiano. Non sarà Stefano Fassina, già ministro del governo Letta e delle politiche di austerità, la clausola di salvaguardia della CGIL e tanto meno dei lavoratori. Ogni ennesima ricerca di un nuovo centrosinistra sarebbe al tempo stesso, tanto più oggi, subalterna e velleitaria. L'unica sua conseguenza concreta sarebbe la rimozione della mobilitazione di massa, a tutto vantaggio di Renzi (e di Grillo).
“Alla guerra occorre andare come alla guerra”. Renzi ha dichiarato guerra al movimento operaio e ai sindacati riunendo attorno a sé il fronte padronale. Il movimento operaio dichiari guerra al renzismo unendo attorno a sé - attorno ad una propria piattaforma di lotta indipendente - il grosso dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, della popolazione povera del Paese. Non bastano appuntamenti di contestazione simbolica delle misure del governo, per di più eventualmente divisi e concorrenziali fra loro. E' necessario unire le forze in uno scontro vero e prolungato. Il PCL, i suoi militanti e attivisti sindacali, si battono da anni per una svolta unitaria e radicale dell'azione di lotta del movimento operaio , ponendo questa esigenza in ogni lotta, in ogni sindacato di classe, in ogni occasione di confronto . Tanto più lo facciamo e lo faremo pubblicamente in questo momento cruciale della lotta di classe in Italia e in Europa.
Su di voi ricade una responsabilità enorme.
Su di noi quella di batterci fra i lavoratori e in ogni lotta per un'altra direzione del movimento operaio e sindacale, coerentemente classista e anticapitalista. La costruzione di un partito rivoluzionario, radicato nell'avanguardia della classe lavoratrice, è parte decisiva di questa battaglia.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
02/09/14
IMPERIALISMO E SINISTRE “PACIFISTE” DI FRONTE ALLO STATO ISLAMICO. LA CONCORRENZA DELLE IPOCRISIE. L'ALTERNATIVA DEI RIVOLUZIONARI.
Di fronte alla minaccia del Califfato, USA Gran Bretagna e Francia, professano un improvviso fervore “democratico”. Commovente.
Sono gli stessi protagonisti ed eredi dell'interventismo coloniale in Medio Oriente. Quelli che un secolo fa disegnarono i suoi confini con penna e compasso in una pura logica di spartizione senza alcuno scrupolo per i diritti nazionali dei popoli . Quelli che hanno protetto e sostenuto il colonialismo sionista e il suo terrore anti palestinese. Quelli che hanno negato e calpestato ogni diritto di autodeterminazione del popolo kurdo. Quelli che hanno sorretto e sorreggono le peggiori dinastie reazionarie della regione, a partire dalla monarchia saudita. Quelli che prima hanno difeso e protetto il regime reazionario di Saddam quando gasava i “propri” kurdi, per il solo fatto che si contrapponeva alla “destabilizzazione” khomeinista; poi l'hanno attaccato quando sfuggì al proprio controllo ( invasione del Kuwait), promuovendo un embargo totale criminale contro il popolo irakeno -targato ONU -che ha fatto in dieci anni 500.000 morti, in prevalenza bambini, donne e anziani; infine l'hanno rovesciato con una seconda guerra criminale di occupazione, corredata da innumerevoli brutalità ( Falluia, Abu Graib...) puntando ad installare un proprio regime fantoccio: con un'operazione talmente maldestra, persino dal punto di vista imperialista ( scioglimento della vecchia struttura statale, umiliazione dei sunniti..) da innescare uno stato di crisi politica permanente e incontrollata dell'Irak, segnata da una spaventosa guerra settaria interreligiosa. La stessa che oggi ha spianato la strada allo sfondamento dell'Isis, alimentato non a caso dall'innesto di forze e tribù sunnite e di forze politico militari “saddamiste”.
Del resto la credibilità “democratica” degli imperialismi- incluso l'imperialismo italiano- è misurata dal loro nuovo alleato arabo in Nord Africa: il regime militare egiziano di Al Sisi. Che condanna a morte o a pene senza fine migliaia di oppositori, ma col quale fanno passerella tutti i governanti “democratici”, a partire naturalmente dal pavone Renzi. I quali pensano oltretutto di affidare a questa dittatura militare ricostruzione e gestione dei campi lager per i profughi in Nord Africa, già a suo tempo appaltati a Gheddafi, con allegati stupri e torture.
Sarebbero questi i difensori occidentali dalla “democrazia” in Medio Oriente? In realtà ogni nuovo intervento militare imperialista in terra araba - sia esso in Irak, in Siria, in Libia- è e sarebbe solo l'ennesimo capitolo di una secolare storia coloniale. La responsabile dell'attuale catastrofe.
LA SINISTRA “PACIFISTA”, FRA IPOCRISIA , INGENUITA'.... E ONU
Ma l'ipocrisia dei governi imperialisti si combina con l'ipocrisia delle sinistre di “opposizione”, come dimostra lo scenario italiano.
“ Niente armi ai kurdi” gridano in coro i dirigenti di SEL. “Non alimentiamo il mercato delle armi.., ... promuoviamo la cultura della pace non della guerra... non deleghiamo ai kurdi la soluzione della crisi irakena perchè favoriremmo la disgregazione del Medio Oriente.., intervenga l'Onu anche con una forza armata di interposizione per promuovere una conferenza di pace”.. Eccetera. “Pace” è la bandiera comune.
Singolare. Intanto è singolare che a sbandierare la pace siano gruppi dirigenti della sinistra che quando avevano ministeri e sottosegretari votavano religiosamente missioni di guerra, aumento delle spese militari, finanziamento delle missioni del proprio imperialismo. Ma singolari sono innanzitutto le loro posizioni di merito. In tutte le loro varianti.
Affidamento all'”intervento dell'Onu”?
Ma l'Onu è la copertura diplomatica dell'imperialismo. Il suo intervento sarebbe possibile solo nel caso dell'accordo fra i vari briganti che compongono il suo Consiglio di Sicurezza, come del resto è avvenuto più volte nelle guerre imperialiste degli ultimi 20 anni. Ma proprio per questo sarebbe l' ennesimo intervento mascherato del colonialismo, fosse pure in vesti “umanitarie”. Altro che “pace”. Un pacifismo ostile alla “armi ai Kurdi” che però rivendica un intervento “anche armato” dell'Onu, rivela non solo spericolate contraddizioni ideologiche, ma la propria subordinazione alla peggiore finzione diplomatica dell'imperialismo e del suo militarismo: quella della “neutralità” delle Nazioni Unite.
“Offriamo aiuti alimentari, non armi”.
Sentimento nobile, spesso autentico. Ma perchè cibo, acqua ed armi sarebbero in contraddizione tra loro ? Centinaia di migliaia di kurdi e di profughi hanno la possibilità di bere e alimentarsi se intanto sopravvivono . E sopravvivono se possono difendersi con le armi dall'aggressione militare genocida del Califfato. Il fatto che gli imperialisti utilizzino questa evidenza per coprire le proprie mire e giustificare un possibile ( inaccettabile) intervento militare diretto, non cancella la sua verità. Semmai dimostra il cinismo imperialista. Viceversa contrapporre il “diritto al cibo” al “diritto alle armi” significa non solo negare l'evidenza, ma dare perciò stesso spazio e credibilità proprio alle manovre imperialiste e alla loro cinica propaganda.
“Non possiamo delegare ai kurdi la soluzione, perchè favoriremmo la disgregazione generale del Medio Oriente”.
Ma il Medio Oriente come lo conosciamo non è quello disegnato dalle vecchie potenze coloniali contro i popoli del Medio Oriente? Certo , la realizzazione del diritto di autodeterminazione kurda, con l'unificazione di un Kurdistan indipendente, è incompatibile con la geografia di questo Medio Oriente. Ma non è una ragione in più per mettere in discussione quella geografia imperialista ? O dovremmo farci paladini dell' ordine medio orientale imperialista nel momento stesso in cui sta crollando ? Difendere il tracciato, riga e compasso, delle vecchie potenze coloniali non rientra in ogni caso fra i compiti dei comunisti. E' semmai un'eredità ideologica della tradizione stalinista del dopoguerra. Quella che ha disarmato il movimento operaio arabo e del Medio Oriente.
In realtà la sommatoria di pacifismi ideologici e conservatorismi riformisti misura la subalternità delle sinistre all'ordine capitalista internazionale, nel momento stesso della sua massima crisi di governabilità. Ciò che contribuisce a lasciare campo libero ai peggiori movimenti reazionari, anche fra larghe masse di sfruttati e diseredati. In terra araba come in Europa.
ARMI AI KURDI, CONTRO L'IMPERIALISMO E LA SUA “GEOGRAFIA” DEL MEDIO ORIENTE
L'intera drammatica “crisi irakena” va affrontata, all'opposto, da un'angolazione antimperialista e rivoluzionaria.
Si, “armi ai Kurdi”, contro ogni vaniloquio ideologico “pacifista”. Ma senza alcuna subordinazione ai progetti dell'imperialismo, ed anzi in aperta contrapposizione ai suoi disegni.
“Armi ai Kurdi”, non al governo irakeno e alla Stato Irakeno come preferirebbero gli imperialisti. “Armi a tutte le forze kurde”, senza alcuna discriminazione del PKK e del Partito Democratico del Ryova siriano, come vorrebbero rispettivamente il regime bonapatista di Ergodan e il regime totalitario di Assad. Perchè i Kurdi hanno bisogno drammatico e incondizionato di difendersi armi in pugno. Perchè oggi sono sul campo la principale barriera resistente all'avanzata del Califfato sia in Irak che in Siria. Perchè un obiettivo rafforzamento del movimento nazionale kurdo ha una valenza storica progressiva . Perchè lo sviluppo di un movimento di liberazione nazionale di 30 milioni di Kurdi, oggi dispersi ed oppressi in Turchia, Siria, Irak, Iran, rappresenterebbe un enorme incoraggiamento alla lotta di liberazione di tutte le nazionalità oppresse, non solo in medio oriente. E quindi un formidabile grimaldello antimperialista.
Ma “gli imperialisti oggi aiutano i Kurdi” obietta qualcuno.
No. Una verità incompleta è una falsità, come diceva Spinoza. Gli imperialisti “aiutano” i kurdi solo nella misura in cui si subordinano agli interessi dell'imperialismo. Vogliono usarli oggi come strumento di contenimento dell'Isis, a fronte del totale fallimento delle proprie politiche. Ma al tempo stesso si oppongono ai loro diritti di autodeterminazione, al punto da centellinare e condizionare ad ogni passo gli stessi modesti aiuti militari ( come lamentano gli stessi kurdi). E' una ragione per opporsi alle “armi ai kurdi”? No, è una ragione per opporsi ai disegni imperialisti . E' una ragione per rivendicare che la resistenza armata dei kurdi all'Isis si trasformi in una lotta generale del popolo kurdo, al di là dei confini, per un Kurdistan unito e indipendente. Ciò che è possibile solo in contrapposizione all'imperialismo, a tutte le borghesie nazionali della regione, allo stesso governo borghese kurdo di Barzani in nord Irak ( unicamente interessato alle proprie rendite petrolifere e al negoziato col governo centrale irakeno); e in alternativa alla leaderschip e alla politica del PKK (chiusa in una logica nazionale di negoziato con lo Stato turco). Difendere coerentemente la causa kurda non significa sposare le direzioni politiche kurde. Al contrario: significa entrare in collisione con tutta la loro politica da un versante classista e internazionalista.
LA FEDERAZIONE SOCIALISTA DEL MEDIO ORIENTE QUALE UNICA PROSPETTIVA STORICA PROGRESSIVA
La lotta contro il Califfato ed ogni forma di panislamismo reazionario, il sostegno pieno alla resistenza kurda e al diritto di autodeterminazione kurda , la denuncia e sconfitta delle mire imperialiste , l'appoggio coerente ai diritti nazionali del popolo palestinese contro lo stato sionista d'Israele e per la sua distruzione, ripropongono nel loro insieme e da ogni lato, la centralità di una prospettiva socialista in Medio Oriente. La sola che può liberare la terra araba e l'intera regione dalla prigione del colonialismo, dalle sue mostruose eredità ( sionismo) , dagli effetti tragici dei suoi stessi fallimenti ( fascismo islamico) . Non saranno gli imperialisti “democratici” né le borghesie arabe e medio orientali a garantire i diritti dei popoli oppressi della regione. Solo la classe operaia araba e medio orientale, ponendosi alla testa di tutti gli sfruttati e di tutti i popoli oppressi, può costruire un nuovo Medio Oriente: contro l'imperialismo, contro le borghesie nazionali e i loro regimi ( vecchi o nuovi, confessionali o laici). La prospettiva dell'unità araba, laica e socialista, e di una federazione socialista dell'intero medio oriente è l'unica alternativa storica progressiva al disfacimento in corso della vecchia geografia della regione. La parabola delle rivoluzioni arabe e l'attuale precipitazione islamico reazionaria sono la riprova di questa verità.
L'alternativa fra rivoluzione e reazione segna più che mai- in forme e a livelli diversi- l'intero quadrante internazionale. La costruzione contro corrente di una sinistra rivoluzionaria all'altezza di questa sfida d'epoca è all'ordine del giorno. La lotta per la rifondazione della Quarta internazionale, marxista e rivoluzionaria, non è un omaggio “ideologico” al passato, ma una drammatica necessità del presente , e un investimento decisivo nel futuro.
Sono gli stessi protagonisti ed eredi dell'interventismo coloniale in Medio Oriente. Quelli che un secolo fa disegnarono i suoi confini con penna e compasso in una pura logica di spartizione senza alcuno scrupolo per i diritti nazionali dei popoli . Quelli che hanno protetto e sostenuto il colonialismo sionista e il suo terrore anti palestinese. Quelli che hanno negato e calpestato ogni diritto di autodeterminazione del popolo kurdo. Quelli che hanno sorretto e sorreggono le peggiori dinastie reazionarie della regione, a partire dalla monarchia saudita. Quelli che prima hanno difeso e protetto il regime reazionario di Saddam quando gasava i “propri” kurdi, per il solo fatto che si contrapponeva alla “destabilizzazione” khomeinista; poi l'hanno attaccato quando sfuggì al proprio controllo ( invasione del Kuwait), promuovendo un embargo totale criminale contro il popolo irakeno -targato ONU -che ha fatto in dieci anni 500.000 morti, in prevalenza bambini, donne e anziani; infine l'hanno rovesciato con una seconda guerra criminale di occupazione, corredata da innumerevoli brutalità ( Falluia, Abu Graib...) puntando ad installare un proprio regime fantoccio: con un'operazione talmente maldestra, persino dal punto di vista imperialista ( scioglimento della vecchia struttura statale, umiliazione dei sunniti..) da innescare uno stato di crisi politica permanente e incontrollata dell'Irak, segnata da una spaventosa guerra settaria interreligiosa. La stessa che oggi ha spianato la strada allo sfondamento dell'Isis, alimentato non a caso dall'innesto di forze e tribù sunnite e di forze politico militari “saddamiste”.
Del resto la credibilità “democratica” degli imperialismi- incluso l'imperialismo italiano- è misurata dal loro nuovo alleato arabo in Nord Africa: il regime militare egiziano di Al Sisi. Che condanna a morte o a pene senza fine migliaia di oppositori, ma col quale fanno passerella tutti i governanti “democratici”, a partire naturalmente dal pavone Renzi. I quali pensano oltretutto di affidare a questa dittatura militare ricostruzione e gestione dei campi lager per i profughi in Nord Africa, già a suo tempo appaltati a Gheddafi, con allegati stupri e torture.
Sarebbero questi i difensori occidentali dalla “democrazia” in Medio Oriente? In realtà ogni nuovo intervento militare imperialista in terra araba - sia esso in Irak, in Siria, in Libia- è e sarebbe solo l'ennesimo capitolo di una secolare storia coloniale. La responsabile dell'attuale catastrofe.
LA SINISTRA “PACIFISTA”, FRA IPOCRISIA , INGENUITA'.... E ONU
Ma l'ipocrisia dei governi imperialisti si combina con l'ipocrisia delle sinistre di “opposizione”, come dimostra lo scenario italiano.
“ Niente armi ai kurdi” gridano in coro i dirigenti di SEL. “Non alimentiamo il mercato delle armi.., ... promuoviamo la cultura della pace non della guerra... non deleghiamo ai kurdi la soluzione della crisi irakena perchè favoriremmo la disgregazione del Medio Oriente.., intervenga l'Onu anche con una forza armata di interposizione per promuovere una conferenza di pace”.. Eccetera. “Pace” è la bandiera comune.
Singolare. Intanto è singolare che a sbandierare la pace siano gruppi dirigenti della sinistra che quando avevano ministeri e sottosegretari votavano religiosamente missioni di guerra, aumento delle spese militari, finanziamento delle missioni del proprio imperialismo. Ma singolari sono innanzitutto le loro posizioni di merito. In tutte le loro varianti.
Affidamento all'”intervento dell'Onu”?
Ma l'Onu è la copertura diplomatica dell'imperialismo. Il suo intervento sarebbe possibile solo nel caso dell'accordo fra i vari briganti che compongono il suo Consiglio di Sicurezza, come del resto è avvenuto più volte nelle guerre imperialiste degli ultimi 20 anni. Ma proprio per questo sarebbe l' ennesimo intervento mascherato del colonialismo, fosse pure in vesti “umanitarie”. Altro che “pace”. Un pacifismo ostile alla “armi ai Kurdi” che però rivendica un intervento “anche armato” dell'Onu, rivela non solo spericolate contraddizioni ideologiche, ma la propria subordinazione alla peggiore finzione diplomatica dell'imperialismo e del suo militarismo: quella della “neutralità” delle Nazioni Unite.
“Offriamo aiuti alimentari, non armi”.
Sentimento nobile, spesso autentico. Ma perchè cibo, acqua ed armi sarebbero in contraddizione tra loro ? Centinaia di migliaia di kurdi e di profughi hanno la possibilità di bere e alimentarsi se intanto sopravvivono . E sopravvivono se possono difendersi con le armi dall'aggressione militare genocida del Califfato. Il fatto che gli imperialisti utilizzino questa evidenza per coprire le proprie mire e giustificare un possibile ( inaccettabile) intervento militare diretto, non cancella la sua verità. Semmai dimostra il cinismo imperialista. Viceversa contrapporre il “diritto al cibo” al “diritto alle armi” significa non solo negare l'evidenza, ma dare perciò stesso spazio e credibilità proprio alle manovre imperialiste e alla loro cinica propaganda.
“Non possiamo delegare ai kurdi la soluzione, perchè favoriremmo la disgregazione generale del Medio Oriente”.
Ma il Medio Oriente come lo conosciamo non è quello disegnato dalle vecchie potenze coloniali contro i popoli del Medio Oriente? Certo , la realizzazione del diritto di autodeterminazione kurda, con l'unificazione di un Kurdistan indipendente, è incompatibile con la geografia di questo Medio Oriente. Ma non è una ragione in più per mettere in discussione quella geografia imperialista ? O dovremmo farci paladini dell' ordine medio orientale imperialista nel momento stesso in cui sta crollando ? Difendere il tracciato, riga e compasso, delle vecchie potenze coloniali non rientra in ogni caso fra i compiti dei comunisti. E' semmai un'eredità ideologica della tradizione stalinista del dopoguerra. Quella che ha disarmato il movimento operaio arabo e del Medio Oriente.
In realtà la sommatoria di pacifismi ideologici e conservatorismi riformisti misura la subalternità delle sinistre all'ordine capitalista internazionale, nel momento stesso della sua massima crisi di governabilità. Ciò che contribuisce a lasciare campo libero ai peggiori movimenti reazionari, anche fra larghe masse di sfruttati e diseredati. In terra araba come in Europa.
ARMI AI KURDI, CONTRO L'IMPERIALISMO E LA SUA “GEOGRAFIA” DEL MEDIO ORIENTE
L'intera drammatica “crisi irakena” va affrontata, all'opposto, da un'angolazione antimperialista e rivoluzionaria.
Si, “armi ai Kurdi”, contro ogni vaniloquio ideologico “pacifista”. Ma senza alcuna subordinazione ai progetti dell'imperialismo, ed anzi in aperta contrapposizione ai suoi disegni.
“Armi ai Kurdi”, non al governo irakeno e alla Stato Irakeno come preferirebbero gli imperialisti. “Armi a tutte le forze kurde”, senza alcuna discriminazione del PKK e del Partito Democratico del Ryova siriano, come vorrebbero rispettivamente il regime bonapatista di Ergodan e il regime totalitario di Assad. Perchè i Kurdi hanno bisogno drammatico e incondizionato di difendersi armi in pugno. Perchè oggi sono sul campo la principale barriera resistente all'avanzata del Califfato sia in Irak che in Siria. Perchè un obiettivo rafforzamento del movimento nazionale kurdo ha una valenza storica progressiva . Perchè lo sviluppo di un movimento di liberazione nazionale di 30 milioni di Kurdi, oggi dispersi ed oppressi in Turchia, Siria, Irak, Iran, rappresenterebbe un enorme incoraggiamento alla lotta di liberazione di tutte le nazionalità oppresse, non solo in medio oriente. E quindi un formidabile grimaldello antimperialista.
Ma “gli imperialisti oggi aiutano i Kurdi” obietta qualcuno.
No. Una verità incompleta è una falsità, come diceva Spinoza. Gli imperialisti “aiutano” i kurdi solo nella misura in cui si subordinano agli interessi dell'imperialismo. Vogliono usarli oggi come strumento di contenimento dell'Isis, a fronte del totale fallimento delle proprie politiche. Ma al tempo stesso si oppongono ai loro diritti di autodeterminazione, al punto da centellinare e condizionare ad ogni passo gli stessi modesti aiuti militari ( come lamentano gli stessi kurdi). E' una ragione per opporsi alle “armi ai kurdi”? No, è una ragione per opporsi ai disegni imperialisti . E' una ragione per rivendicare che la resistenza armata dei kurdi all'Isis si trasformi in una lotta generale del popolo kurdo, al di là dei confini, per un Kurdistan unito e indipendente. Ciò che è possibile solo in contrapposizione all'imperialismo, a tutte le borghesie nazionali della regione, allo stesso governo borghese kurdo di Barzani in nord Irak ( unicamente interessato alle proprie rendite petrolifere e al negoziato col governo centrale irakeno); e in alternativa alla leaderschip e alla politica del PKK (chiusa in una logica nazionale di negoziato con lo Stato turco). Difendere coerentemente la causa kurda non significa sposare le direzioni politiche kurde. Al contrario: significa entrare in collisione con tutta la loro politica da un versante classista e internazionalista.
LA FEDERAZIONE SOCIALISTA DEL MEDIO ORIENTE QUALE UNICA PROSPETTIVA STORICA PROGRESSIVA
La lotta contro il Califfato ed ogni forma di panislamismo reazionario, il sostegno pieno alla resistenza kurda e al diritto di autodeterminazione kurda , la denuncia e sconfitta delle mire imperialiste , l'appoggio coerente ai diritti nazionali del popolo palestinese contro lo stato sionista d'Israele e per la sua distruzione, ripropongono nel loro insieme e da ogni lato, la centralità di una prospettiva socialista in Medio Oriente. La sola che può liberare la terra araba e l'intera regione dalla prigione del colonialismo, dalle sue mostruose eredità ( sionismo) , dagli effetti tragici dei suoi stessi fallimenti ( fascismo islamico) . Non saranno gli imperialisti “democratici” né le borghesie arabe e medio orientali a garantire i diritti dei popoli oppressi della regione. Solo la classe operaia araba e medio orientale, ponendosi alla testa di tutti gli sfruttati e di tutti i popoli oppressi, può costruire un nuovo Medio Oriente: contro l'imperialismo, contro le borghesie nazionali e i loro regimi ( vecchi o nuovi, confessionali o laici). La prospettiva dell'unità araba, laica e socialista, e di una federazione socialista dell'intero medio oriente è l'unica alternativa storica progressiva al disfacimento in corso della vecchia geografia della regione. La parabola delle rivoluzioni arabe e l'attuale precipitazione islamico reazionaria sono la riprova di questa verità.
L'alternativa fra rivoluzione e reazione segna più che mai- in forme e a livelli diversi- l'intero quadrante internazionale. La costruzione contro corrente di una sinistra rivoluzionaria all'altezza di questa sfida d'epoca è all'ordine del giorno. La lotta per la rifondazione della Quarta internazionale, marxista e rivoluzionaria, non è un omaggio “ideologico” al passato, ma una drammatica necessità del presente , e un investimento decisivo nel futuro.
MARCO FERRANDO
Partito Comunista dei Lavoratori
Portavoce Nazionale
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