29/08/12
CORDOGLIO PER LA MORTE DEL COMPAGNO GIACOBELLI
COMUNICATO STAMPA:
Tutti i militanti del Partito Comunista dei Lavoratori esprimono il proprio cordoglio per la tragica e prematura scomparsa del compagno e amico Andrea Giacobelli, operaio dell’ex Antonio Merloni e sindacalista Fiom. Ci piace ricordare le lotte che ci hanno visto uniti, a cominciare dalla coraggiosa occupazione degli uffici della A.M., di cui Andrea è stato uno dei principali animatori. Infatti le numerose divergenze politiche e sindacali che ci hanno visto contrapposti non hanno mai minato il rispetto reciproco.
Andrea si è sempre adoperato con impegno sulla questione del lavoro e sulle lotte che periodicamente si prospettavano. Dall’occupazione degli uffici alla vendita alla JP, si è sempre interessato in prima persona, spendendosi al massimo e cercando di fare del suo meglio. Lo ricordiamo con affetto ed esprimiamo le nostre più sentite condoglianze alla famiglia, agli amici ed a tutta la Fiom per questa gravissima perdita.
Partito Comunista dei Lavoratori
Coordinamento Provinciale Ancona
GIU' LE MANI DAGLI ANTIFASCISTI MOLISANI E DAL PCL MOLISE
La Procura di Isernia ha emesso un decreto penale contro otto antifascisti molisani, rei di aver trasgredito l'ordine del questore durante una contestazione antifascista contro Casa Pound. Tra questi compagni figura Tiziano Di Clemente, coordinatore regionale molisano del PCL, parte integrante del Comitato antifascista molisano. L'accusa ( testuale) è di “aver cantato Molise antifascista e Bella Ciao” in un luogo non autorizzato, troppo prossimo al luogo dell'iniziativa fascista. Il decreto penale prevede quasi 15OO euro di multa, che commutano otto giorni di arresto.
Il PCL respinge questa grottesca provocazione giudiziaria contro gli antifascisti molisani e contro il PCL Molise. Non è la prima volta che gli stessi ambienti giudiziari si segnalano per un atteggiamento persecutorio nei confronti del coordinatore regionale del nostro partito e della sua costante azione di opposizione e di denuncia dei comitati d'affari locali. Ma ora si è veramente passato il segno. La Repubblica “democratica” che autorizza le provocazioni fasciste di Casa Pound, non autorizza gli antifascisti molisani a cantare le canzoni partigiane, e addirittura li “punisce” con un provvedimento abnorme ! Ha detto bene il Coordinamento molisano del nostro partito: “.. Tutto ciò è la riprova, una volta di più, della natura irriformabile dello Stato borghese, dell'ipocrisia della tradizionale retorica democratica istituzionale, dell'attualità della lotta per un governo dei lavoratori”.
Ai compagni antifascisti molisani, al compagno Di Clemente e a tutti i compagni del PCL Molise, va la nostra piena solidarietà. E il nostro impegno a sostenere, con tutti i mezzi disponibili, la necessaria mobilitazione contro i provvedimenti provocatori e inaccettabili della Magistratura molisana.
Il PCL respinge questa grottesca provocazione giudiziaria contro gli antifascisti molisani e contro il PCL Molise. Non è la prima volta che gli stessi ambienti giudiziari si segnalano per un atteggiamento persecutorio nei confronti del coordinatore regionale del nostro partito e della sua costante azione di opposizione e di denuncia dei comitati d'affari locali. Ma ora si è veramente passato il segno. La Repubblica “democratica” che autorizza le provocazioni fasciste di Casa Pound, non autorizza gli antifascisti molisani a cantare le canzoni partigiane, e addirittura li “punisce” con un provvedimento abnorme ! Ha detto bene il Coordinamento molisano del nostro partito: “.. Tutto ciò è la riprova, una volta di più, della natura irriformabile dello Stato borghese, dell'ipocrisia della tradizionale retorica democratica istituzionale, dell'attualità della lotta per un governo dei lavoratori”.
Ai compagni antifascisti molisani, al compagno Di Clemente e a tutti i compagni del PCL Molise, va la nostra piena solidarietà. E il nostro impegno a sostenere, con tutti i mezzi disponibili, la necessaria mobilitazione contro i provvedimenti provocatori e inaccettabili della Magistratura molisana.
ESECUTIVO NAZIONALE PCL
Da comunisti rifiutiamo le teorie razziste e discriminatorie di Lumbroso...ma certe volte...
-questo è uno dei pericolosi brutti ceffi colpevoli, per la giustizia italiana, di aver cantato "bella ciao" e altri cori antifascisti
-quest'altro invece è un bravo ragazzo da difendere ed anzi finanziarie nella sua attività politica di apologia del fascismo, del razzismo e dell'odio di ogni tipo
Comunicato sul massacro dei minatori sudafricani
Il Partito Comunista dei Lavoratori esprime il suo dolore e la sua piena solidarietà con i minatori sudafricani vigliaccamente massacrati dalla polizia del regime “progressista” dell'African National Congress, sostenuto dagli stalinisti del sedicente Partito Comunista Sudafricano, mentre lottavano per le loro giuste rivendicazioni contro la multinazionale inglese Lonmin.
Il massacro di Marikana indica chiaramente la natura del regime sudafricano e della sua “rivoluzione arcobaleno”. Le masse del paese hanno conquistato, con una eroica lotta di molti decenni, la fine dell'apartheid e le libertà democratiche formali, ma dal punto di vista dell'oppressione e dello sfruttamento dei lavoratori nulla è cambiato. Lo stato multienico resta al servizio delle grandi multinazionali.
La natura reale dei regimi progressisti, prodotto di rivoluzioni puramente “democratiche”, cui si inchina la sinistra “radicale” in Italia e nel mondo, è ovunque analogo. Morales in Bolivia attacca il sindacati operai, Chavez in Venezuale la sinistra sindacale classista, Ollanta in Perù i contadini poveri e la lista potrebbe continuare.
Solo una vera rivoluzione socialista può liberare realmente i lavoratori e le masse povere dallo sfruttamento e dall'oppressione di un capitalismo rapace, difeso con ogni mezzo dai governi, sia che siano reazionari, liberali o progressisti.
E' la battaglia in cui è impegnato il PCL insieme alle organizzazioni trotskiste in tutto il modo, Sudafrica incluso.
Il massacro di Marikana indica chiaramente la natura del regime sudafricano e della sua “rivoluzione arcobaleno”. Le masse del paese hanno conquistato, con una eroica lotta di molti decenni, la fine dell'apartheid e le libertà democratiche formali, ma dal punto di vista dell'oppressione e dello sfruttamento dei lavoratori nulla è cambiato. Lo stato multienico resta al servizio delle grandi multinazionali.
La natura reale dei regimi progressisti, prodotto di rivoluzioni puramente “democratiche”, cui si inchina la sinistra “radicale” in Italia e nel mondo, è ovunque analogo. Morales in Bolivia attacca il sindacati operai, Chavez in Venezuale la sinistra sindacale classista, Ollanta in Perù i contadini poveri e la lista potrebbe continuare.
Solo una vera rivoluzione socialista può liberare realmente i lavoratori e le masse povere dallo sfruttamento e dall'oppressione di un capitalismo rapace, difeso con ogni mezzo dai governi, sia che siano reazionari, liberali o progressisti.
E' la battaglia in cui è impegnato il PCL insieme alle organizzazioni trotskiste in tutto il modo, Sudafrica incluso.
Partito Comunista dei Lavoratori
NAZIONALIZZARE ILVA
Le contraddizioni interne alla Magistratura e soprattutto tra Magistratura e Governo, hanno aperto una nuova fase della vicenda ILVA. Che pone, più che mai, l'esigenza di una iniziativa indipendente del movimento operaio.
IL GIP SVELA LA TRUFFA
Perchè il grido sdegnato e corale del governo e dei partiti che lo sostengono contro il povero GIP Todisco? Perchè il GIP ha svelato di fatto l'autentica truffa delle sentenze precedenti ( patrocinate dal governo nazionale e regionale) nei loro due punti cardine : l'assenza di ogni reale impegno finanziario e operativo della proprietà nella messa a norma degli impianti; e l'incredibile assegnazione al fiduciario della proprietà, Ferrante, del ruolo di custode del processo di risanamento.
Messi a nudo, tutti gli agenti della proprietà , protagonisti della truffa ,si sono scatenati. In primo luogo i ministri amici del padrone Riva: come Passera, già socio di Riva nella CAI ( Alitalia) ai tempi di banca Intesa, o come Clini, dipinto nelle intercettazioni come uomo di riferimento dell'azienda. In secondo luogo i partiti di maggioranza lautamente finanziati per decenni dal padrone Riva, quali Forza Italia e il PD ( come risulta nero su bianco dai loro bilanci pubblici). E poi ancora tutte le organizzazioni padronali di cui Riva è socio onorario e prezioso contribuente- da Federacciai a Confindustria- assieme naturalmente a tutta la grande stampa: quella che i dirigenti aziendali raccomandavano letteralmente di“comprare”( evidentemente con successo).
Non poteva esserci una radiografia più completa del raccordo tra grande capitale e Stato e della natura della democrazia borghese.
CAPITALISMO REALE E LEGGE FORMALE
Cos'hanno detto in buona sostanza, a reti unificate e da tribune diverse, tutti questi attori in commedia? Che un magistrato non può smantellare una soluzione già “concordata” tra governo, proprietà, sindacati complici; non può manomettere il potere “superiore” e decisionale del governo; non può danneggiare la competitività della siderurgia italiana di fronte a quella cinese ed asiatica; non può scoraggiare gli investimenti stranieri in Italia. In una parola: tutte le forze dominanti hanno chiarito, se ve n'era bisogno, che le leggi reali del capitalismo prevalgono sull' ipocrisia delle sue leggi formali. Che il diritto alla salute e alla vita dei lavoratori e di una città sono solo la variabile dipendente del profitto e del mercato,nazionale e mondiale. Che accettare questa realtà è la condizione decisiva per poter continuare a lavorare... alle dipendenze di chi ti avvelena. Che non c'è alternativa a tutto questo, se non la disperazione della disoccupazione.
La classe operaia, e innanzitutto la sua avanguardia, deve combattere e ribaltare questo messaggio.
L'importanza esemplare dello scontro di classe sull'ILVA sta tutto qui: nella capacità o meno dei lavoratori di respingere il ricatto del padrone e del governo e di battersi per una propria soluzione alternativa rispettosa del lavoro e della vita.
PER UNA SOLUZIONE INDIPENDENTE DEL MOVIMENTO OPERAIO: LA NAZIONALIZZAZIONE DELL'ILVA
Non si tratta di “affidarsi” al magistrato Todisco, né tanto meno di iscriversi al “partito dei magistrati”, peraltro a lungo silente anche sull'Ilva ( con buona pace di Di Pietro). Si tratta di far leva su una sentenza onesta ma di per sé impotente, per rivendicare l'unica possibile soluzione sociale progressiva che la situazione impone: la nazionalizzazione dell'Ilva.
Se un magistrato rileva l'inaffidabilità dell'Ilva in fatto di normalizzazione degli impianti, e l'impossibilità che sia l'Ilva a “controllare” il risanamento ( per manifesto conflitto di interessi), non si tratta di contrapporsi al magistrato per conto di Riva, ma di rivendicare l'esproprio di Riva come logica implicazione ( persino) della sentenza del magistrato.
Una nazionalizzazione senza indennizzo per il padrone Riva: perchè sarebbe paradossale che i lavoratori venissero a pagare di tasca propria l'esproprio di chi li ha avvelenati e sfruttati. Una nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori stessi: perchè solo il controllo operaio può garantire insieme la tutela del lavoro e un risanamento reale della produzione e dell'ambiente di vita dei lavoratori.
L'INGANNO DELLE ALTRE “SOLUZIONI”: CHIUSURA DELLA FABBRICA O AFFIDAMENTO A RIVA
Ogni altra “soluzione” è un inganno per i lavoratori, e per la popolazione povera di Taranto.
La “soluzione” della chiusura della fabbrica, nel nome della bonifica delle aree e della città, non risolve in realtà un bel nulla. Mette sulla strada gli operai, e non risana l'ambiente. Parla l'esempio illuminante di Bagnoli: dove lo smantellamento della siderurgia e la distruzione sociale di quella classe operaia si è combinata col massimo degrado, ambientale e sociale, delle aree liberate e con devastanti processi di speculazione sul territorio. La chiusura della siderurgia a Taranto avrebbe, se possibile, nell'attuale contesto di crisi, esiti ancor più drammatici, su ogni versante. La proposta della chiusura della fabbrica ( sia che muova da un ambientalismo ideologico integralista, sia che discenda da un pregiudizio antilavorista) ha in realtà un solo effetto: saldare attorno al padrone Riva un pezzo della classe operaia dell'Ilva, agevolando il gioco dei sindacati padronali interni all'azienda, UIL e CISL in testa. Quei sindacati che sono sul libro paga dell'azienda. Quei sindacati che sono giunti il 30 marzo scorso a organizzare uno sciopero cittadino letteralmente pagato dal padrone a difesa del padrone. Quei sindacati che oggi scioperano a difesa di Riva e di Monti contro il diritto alla salute degli operai.
Ma la “soluzione” di affidare al padrone Riva la messa a norma degli impianti, sotto la “pressione” della magistratura, non è meno truffaldina. Diciotto anni di impegni e promesse ambientaliste da parte di Riva possono bastare. La proprietà criminale non risanerà nulla. Cerca semmai di perpetuare i crimini dietro lo scudo protettivo di qualche gesto simbolico e di qualche posa ecologica, con la copertura del governo. La verità è che non è minimamente disponibile a investire le enormi risorse necessarie al risanamento. Non lo ha fatto in tempi migliori. Perchè dovrebbe farlo nel quadro di una crisi gigantesca della siderurgia mondiale, dove si scatena la corsa all'abbattimento dei costi ( inclusi quelli ambientali) per guadagnare o difendere i mercati?
Non è un caso che persino la miseria dei 90 milioni di investimento ecologico sbandierati dall'azienda ( a fronte di tre miliardi di utili) si stiano rivelando una bolla di sapone. Riva non ha altra ragione da difendere che il proprio profitto e la propria quota di mercato. “O mi fate continuare così o me ne vado altrove. Siete voi che avete bisogno di me. Non io di voi”: questo è la minaccia che Riva alza come un clava agli occhi degli operai, dei sindacati, degli stessi partiti borghesi. In una logica perfettamente consona al cinismo del capitale.
Per questo la linea della “conversione” ecologica di una proprietà criminale si ritrova su un binario morto. Può servire a fornire un 'eventuale foglia di fico alla proprietà, consentendole di sbandierare l'ennesima solenne promessa ( “vendiamo fumo” ha confessato Riva al telefono a un suo dirigente dopo un incontro con Vendola). Può sicuramente fornire al governatore Vendola l'ennesima patacca propagandista di “salvatore” di lavoro e ambiente. Può servire al gruppo dirigente della Fiom (che pur giustamente ha rifiutato di scioperare per l'azienda) di far quadrare il cerchio delle proprie contraddizioni. Può servire sicuramente agli ambienti di governo per mascherare con belle parole la tutela della proprietà. Sicuramente non serve né ai lavoratori, né alla loro salute: che resterebbero nelle mani di un padrone assassino, come pure merci di scambio e leve di ricatto.
LA NAZIONALIZZAZIONE, UNICA VIA.
FATTIBILITA' TECNICA E SOLUZIONE SOCIALE DELLA RICONVERSIONE
Ecco perchè la nazionalizzazione dell'Ilva è l'unica via.
Non esiste alcuna impossibilità tecnologica di coniugare produzione e risanamento ambientale. L'impedimento è sociale, non tecnico. Tante osservazioni, testimonianze, rilievi affiorati in questi giorni ai margini della stessa comunicazione ufficiale, per bocca di tecnici competenti ( non a caso anonimi), hanno documentato la perfetta possibilità tecnologica di convertire profondamente la produzione siderurgica, evitando o limitando al minimo l'interruzione della produzione. La vera obiezione che gli stessi tecnici avanzano è che la riconversione richiede risorse enormi, che la proprietà non è in grado di metterle perchè affonderebbe nella concorrenza, che lo Stato non può provvedere sia perchè assediato dal debito pubblico, sia perchè la normativa europea sulla “concorrenza” “impedisce aiuti pubblici” alla siderurgia, relegando l' intervento pubblico al solo aspetto della bonifica del territorio esterno.
Ma queste sono tutte obiezioni sociali, non tecniche. Obiezioni che proprio la nazionalizzazione dell'azienda,sotto il controllo dei lavoratori, spazzerebbe via. Il Padrone non vuole o non può investire nel risanamento? E' indubbio. Ma proprio per questo il padrone va espropriato. I suoi enormi utili verrebbero investiti dallo Stato nella messa a norma degli impianti. Sarebbero gli utili privati di una proprietà criminale a provvedere al risanamento del crimine. Come è giusto che sia. Se poi queste risorse non saranno sufficienti, possono intervenire le risorse pubbliche, magari ricavate dall'annullamento del debito pubblico verso le banche o da una tassazione progressiva dei grandi patrimoni. E se Bruxelles protesterà, nel nome degli interessi concorrenziali delle altre imprese europee, al diavolo Bruxelles!. Il diritto alla vita e al lavoro non può essere sacrificato alla legge del profitto e della concorrenza. Ed anzi una riconversione ecologica della siderurgia italiana, sotto il controllo dei lavoratori, darebbe un enorme incoraggiamento a lotte di massa analoghe in altri Paesi e continenti, contro le “leggi” dell'Unione. In più il controllo operaio sul processo di riconversione, unito al controllo sociale sulla bonifica esterna dei territori, darebbe piena garanzia ai lavoratori dell'Ilva circa il mantenimento del proprio posto di lavoro, e potrebbe anzi aprire a nuove assunzioni di disoccupati (in particolare per l'azione di bonifica). In ogni caso il ricatto occupazionale di Riva ( “o così, o me ne vado”) verrebbe annullato. Se poi particolari ragioni tecniche, riconosciute dai lavoratori stessi, dovessero comportare un periodo di interruzione della produzione ai soli fini del completamento del risanamento, i lavoratori dell'Ilva, e tutti i lavoratori dell'indotto, avrebbero diritto ad un salario pieno garantito dall'industria nazionalizzata per tutto il periodo necessario. Anche in questo caso a spese dei grandi profitti e patrimoni. Non si tratterebbe di “un sussidio al posto del lavoro”, ma di un costo del risanamento della produzione, nell'interesse del lavoro e della sua protezione.
LA NAZIONALIZZAZIONE: SOLUZIONE RIFORMISTA O RIVOLUZIONARIA?
E' interessante osservare che la soluzione della nazionalizzazione dell'Ilva sarebbe talmente naturale nella conciliazione di lavoro e ambiente, che incomincia ad affacciarsi timidamente, in forme diverse e da versanti diversi, nel commentario di intellettuali e sindacalisti. Lo scrittore Ermanno Rea, giornalista esperto della dismissione di Bagnoli e dei suoi effetti, si è pronunciato pubblicamente sul Corriere della Sera “a favore della nazionalizzazione dell'Ilva, premessa necessaria della sua riconversione”. L'ex pretore ambientalista Gianfranco Amendola , sempre sul Corriere, chiede “che il governo espropri l'Ilva, faccia un decreto legge, nomini un commissario con pieni poteri” per gestire una vera riconversione. Giorgio Cremaschi, dalle colonne de Il Manifesto, ha rivendicato la nazionalizzazione dell'ILVA come una possibilità garantita “dalla Costituzione”, naturalmente con “indennizzo”.
Ma il punto debole di questi pronunciamenti, tutti peraltro significativi, è che ignorano o rimuovono il carattere rivoluzionario e dirompente della rivendicazione della nazionalizzazione dell'Ilva: la circoscrivono in un illusorio recinto riformista, la subordinano al dettato costituzionale( obbligo di “indennizzo”), ne smussano i risvolti radicali e di classe ( rifiuto del controllo operaio). Il tutto nello sforzo di mostrarne la “realizzabilità”, la “fattibilità” e dunque la conciliabilità col capitalismo.
La verità è un altra. La nazionalizzazione dell'Ilva non sarà mai realizzata dal governo Monti o da un altro governo borghese, tanto più nel quadro attuale della crisi capitalista e della “compatibilità” di mercato dell'Europa dei capitalisti. I costi ingenti della riconversione e della bonifica dell'acciaieria più grande d'Europa, non saranno mai compatibili con le leggi del profitto, e col vincolo del debito pubblico imposto dalla crisi. La soluzione di svolta può essere imposta solamente da un'azione di massa radicale della classe operaia e della popolazione povera, che renda ingovernabile ogni altra soluzione, rompa con le leggi del capitale, rovesci i rapporti di forza, apra la via di un governo dei lavoratori, basato su un programma anticapitalista.
IL CASO ILVA E IL REALISMO DELLA RIVOLUZIONE
“Ma allora la nazionalizzazione non è realistica”, obietterà qualcuno. E' una obiezione mal posta. La verità è che non è “realistico” nessun reale avanzamento delle condizioni di lavoro, di salute, di vita, dei lavoratori e della maggioranza della società senza il rovesciamento della dittatura degli industriali e dei banchieri.Cioè senza la conquista del potere da parte dei lavoratori e di tutti gli sfruttati.
La proposta della nazionalizzazione dell'ILVA, proprio perchè è l'unica soluzione reale, si limita a chiarire da un versante particolare questa verità generale.
La rivoluzione sociale è l'unica soluzione realistica delle grandi questioni del nostro tempo. Sviluppare la coscienza delle masse, e innanzitutto della loro avanguardia, sino alla comprensione di questa verità è l'obiettivo, in ogni lotta, del Partito Comunista dei Lavoratori.
IL GIP SVELA LA TRUFFA
Perchè il grido sdegnato e corale del governo e dei partiti che lo sostengono contro il povero GIP Todisco? Perchè il GIP ha svelato di fatto l'autentica truffa delle sentenze precedenti ( patrocinate dal governo nazionale e regionale) nei loro due punti cardine : l'assenza di ogni reale impegno finanziario e operativo della proprietà nella messa a norma degli impianti; e l'incredibile assegnazione al fiduciario della proprietà, Ferrante, del ruolo di custode del processo di risanamento.
Messi a nudo, tutti gli agenti della proprietà , protagonisti della truffa ,si sono scatenati. In primo luogo i ministri amici del padrone Riva: come Passera, già socio di Riva nella CAI ( Alitalia) ai tempi di banca Intesa, o come Clini, dipinto nelle intercettazioni come uomo di riferimento dell'azienda. In secondo luogo i partiti di maggioranza lautamente finanziati per decenni dal padrone Riva, quali Forza Italia e il PD ( come risulta nero su bianco dai loro bilanci pubblici). E poi ancora tutte le organizzazioni padronali di cui Riva è socio onorario e prezioso contribuente- da Federacciai a Confindustria- assieme naturalmente a tutta la grande stampa: quella che i dirigenti aziendali raccomandavano letteralmente di“comprare”( evidentemente con successo).
Non poteva esserci una radiografia più completa del raccordo tra grande capitale e Stato e della natura della democrazia borghese.
CAPITALISMO REALE E LEGGE FORMALE
Cos'hanno detto in buona sostanza, a reti unificate e da tribune diverse, tutti questi attori in commedia? Che un magistrato non può smantellare una soluzione già “concordata” tra governo, proprietà, sindacati complici; non può manomettere il potere “superiore” e decisionale del governo; non può danneggiare la competitività della siderurgia italiana di fronte a quella cinese ed asiatica; non può scoraggiare gli investimenti stranieri in Italia. In una parola: tutte le forze dominanti hanno chiarito, se ve n'era bisogno, che le leggi reali del capitalismo prevalgono sull' ipocrisia delle sue leggi formali. Che il diritto alla salute e alla vita dei lavoratori e di una città sono solo la variabile dipendente del profitto e del mercato,nazionale e mondiale. Che accettare questa realtà è la condizione decisiva per poter continuare a lavorare... alle dipendenze di chi ti avvelena. Che non c'è alternativa a tutto questo, se non la disperazione della disoccupazione.
La classe operaia, e innanzitutto la sua avanguardia, deve combattere e ribaltare questo messaggio.
L'importanza esemplare dello scontro di classe sull'ILVA sta tutto qui: nella capacità o meno dei lavoratori di respingere il ricatto del padrone e del governo e di battersi per una propria soluzione alternativa rispettosa del lavoro e della vita.
PER UNA SOLUZIONE INDIPENDENTE DEL MOVIMENTO OPERAIO: LA NAZIONALIZZAZIONE DELL'ILVA
Non si tratta di “affidarsi” al magistrato Todisco, né tanto meno di iscriversi al “partito dei magistrati”, peraltro a lungo silente anche sull'Ilva ( con buona pace di Di Pietro). Si tratta di far leva su una sentenza onesta ma di per sé impotente, per rivendicare l'unica possibile soluzione sociale progressiva che la situazione impone: la nazionalizzazione dell'Ilva.
Se un magistrato rileva l'inaffidabilità dell'Ilva in fatto di normalizzazione degli impianti, e l'impossibilità che sia l'Ilva a “controllare” il risanamento ( per manifesto conflitto di interessi), non si tratta di contrapporsi al magistrato per conto di Riva, ma di rivendicare l'esproprio di Riva come logica implicazione ( persino) della sentenza del magistrato.
Una nazionalizzazione senza indennizzo per il padrone Riva: perchè sarebbe paradossale che i lavoratori venissero a pagare di tasca propria l'esproprio di chi li ha avvelenati e sfruttati. Una nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori stessi: perchè solo il controllo operaio può garantire insieme la tutela del lavoro e un risanamento reale della produzione e dell'ambiente di vita dei lavoratori.
L'INGANNO DELLE ALTRE “SOLUZIONI”: CHIUSURA DELLA FABBRICA O AFFIDAMENTO A RIVA
Ogni altra “soluzione” è un inganno per i lavoratori, e per la popolazione povera di Taranto.
La “soluzione” della chiusura della fabbrica, nel nome della bonifica delle aree e della città, non risolve in realtà un bel nulla. Mette sulla strada gli operai, e non risana l'ambiente. Parla l'esempio illuminante di Bagnoli: dove lo smantellamento della siderurgia e la distruzione sociale di quella classe operaia si è combinata col massimo degrado, ambientale e sociale, delle aree liberate e con devastanti processi di speculazione sul territorio. La chiusura della siderurgia a Taranto avrebbe, se possibile, nell'attuale contesto di crisi, esiti ancor più drammatici, su ogni versante. La proposta della chiusura della fabbrica ( sia che muova da un ambientalismo ideologico integralista, sia che discenda da un pregiudizio antilavorista) ha in realtà un solo effetto: saldare attorno al padrone Riva un pezzo della classe operaia dell'Ilva, agevolando il gioco dei sindacati padronali interni all'azienda, UIL e CISL in testa. Quei sindacati che sono sul libro paga dell'azienda. Quei sindacati che sono giunti il 30 marzo scorso a organizzare uno sciopero cittadino letteralmente pagato dal padrone a difesa del padrone. Quei sindacati che oggi scioperano a difesa di Riva e di Monti contro il diritto alla salute degli operai.
Ma la “soluzione” di affidare al padrone Riva la messa a norma degli impianti, sotto la “pressione” della magistratura, non è meno truffaldina. Diciotto anni di impegni e promesse ambientaliste da parte di Riva possono bastare. La proprietà criminale non risanerà nulla. Cerca semmai di perpetuare i crimini dietro lo scudo protettivo di qualche gesto simbolico e di qualche posa ecologica, con la copertura del governo. La verità è che non è minimamente disponibile a investire le enormi risorse necessarie al risanamento. Non lo ha fatto in tempi migliori. Perchè dovrebbe farlo nel quadro di una crisi gigantesca della siderurgia mondiale, dove si scatena la corsa all'abbattimento dei costi ( inclusi quelli ambientali) per guadagnare o difendere i mercati?
Non è un caso che persino la miseria dei 90 milioni di investimento ecologico sbandierati dall'azienda ( a fronte di tre miliardi di utili) si stiano rivelando una bolla di sapone. Riva non ha altra ragione da difendere che il proprio profitto e la propria quota di mercato. “O mi fate continuare così o me ne vado altrove. Siete voi che avete bisogno di me. Non io di voi”: questo è la minaccia che Riva alza come un clava agli occhi degli operai, dei sindacati, degli stessi partiti borghesi. In una logica perfettamente consona al cinismo del capitale.
Per questo la linea della “conversione” ecologica di una proprietà criminale si ritrova su un binario morto. Può servire a fornire un 'eventuale foglia di fico alla proprietà, consentendole di sbandierare l'ennesima solenne promessa ( “vendiamo fumo” ha confessato Riva al telefono a un suo dirigente dopo un incontro con Vendola). Può sicuramente fornire al governatore Vendola l'ennesima patacca propagandista di “salvatore” di lavoro e ambiente. Può servire al gruppo dirigente della Fiom (che pur giustamente ha rifiutato di scioperare per l'azienda) di far quadrare il cerchio delle proprie contraddizioni. Può servire sicuramente agli ambienti di governo per mascherare con belle parole la tutela della proprietà. Sicuramente non serve né ai lavoratori, né alla loro salute: che resterebbero nelle mani di un padrone assassino, come pure merci di scambio e leve di ricatto.
LA NAZIONALIZZAZIONE, UNICA VIA.
FATTIBILITA' TECNICA E SOLUZIONE SOCIALE DELLA RICONVERSIONE
Ecco perchè la nazionalizzazione dell'Ilva è l'unica via.
Non esiste alcuna impossibilità tecnologica di coniugare produzione e risanamento ambientale. L'impedimento è sociale, non tecnico. Tante osservazioni, testimonianze, rilievi affiorati in questi giorni ai margini della stessa comunicazione ufficiale, per bocca di tecnici competenti ( non a caso anonimi), hanno documentato la perfetta possibilità tecnologica di convertire profondamente la produzione siderurgica, evitando o limitando al minimo l'interruzione della produzione. La vera obiezione che gli stessi tecnici avanzano è che la riconversione richiede risorse enormi, che la proprietà non è in grado di metterle perchè affonderebbe nella concorrenza, che lo Stato non può provvedere sia perchè assediato dal debito pubblico, sia perchè la normativa europea sulla “concorrenza” “impedisce aiuti pubblici” alla siderurgia, relegando l' intervento pubblico al solo aspetto della bonifica del territorio esterno.
Ma queste sono tutte obiezioni sociali, non tecniche. Obiezioni che proprio la nazionalizzazione dell'azienda,sotto il controllo dei lavoratori, spazzerebbe via. Il Padrone non vuole o non può investire nel risanamento? E' indubbio. Ma proprio per questo il padrone va espropriato. I suoi enormi utili verrebbero investiti dallo Stato nella messa a norma degli impianti. Sarebbero gli utili privati di una proprietà criminale a provvedere al risanamento del crimine. Come è giusto che sia. Se poi queste risorse non saranno sufficienti, possono intervenire le risorse pubbliche, magari ricavate dall'annullamento del debito pubblico verso le banche o da una tassazione progressiva dei grandi patrimoni. E se Bruxelles protesterà, nel nome degli interessi concorrenziali delle altre imprese europee, al diavolo Bruxelles!. Il diritto alla vita e al lavoro non può essere sacrificato alla legge del profitto e della concorrenza. Ed anzi una riconversione ecologica della siderurgia italiana, sotto il controllo dei lavoratori, darebbe un enorme incoraggiamento a lotte di massa analoghe in altri Paesi e continenti, contro le “leggi” dell'Unione. In più il controllo operaio sul processo di riconversione, unito al controllo sociale sulla bonifica esterna dei territori, darebbe piena garanzia ai lavoratori dell'Ilva circa il mantenimento del proprio posto di lavoro, e potrebbe anzi aprire a nuove assunzioni di disoccupati (in particolare per l'azione di bonifica). In ogni caso il ricatto occupazionale di Riva ( “o così, o me ne vado”) verrebbe annullato. Se poi particolari ragioni tecniche, riconosciute dai lavoratori stessi, dovessero comportare un periodo di interruzione della produzione ai soli fini del completamento del risanamento, i lavoratori dell'Ilva, e tutti i lavoratori dell'indotto, avrebbero diritto ad un salario pieno garantito dall'industria nazionalizzata per tutto il periodo necessario. Anche in questo caso a spese dei grandi profitti e patrimoni. Non si tratterebbe di “un sussidio al posto del lavoro”, ma di un costo del risanamento della produzione, nell'interesse del lavoro e della sua protezione.
LA NAZIONALIZZAZIONE: SOLUZIONE RIFORMISTA O RIVOLUZIONARIA?
E' interessante osservare che la soluzione della nazionalizzazione dell'Ilva sarebbe talmente naturale nella conciliazione di lavoro e ambiente, che incomincia ad affacciarsi timidamente, in forme diverse e da versanti diversi, nel commentario di intellettuali e sindacalisti. Lo scrittore Ermanno Rea, giornalista esperto della dismissione di Bagnoli e dei suoi effetti, si è pronunciato pubblicamente sul Corriere della Sera “a favore della nazionalizzazione dell'Ilva, premessa necessaria della sua riconversione”. L'ex pretore ambientalista Gianfranco Amendola , sempre sul Corriere, chiede “che il governo espropri l'Ilva, faccia un decreto legge, nomini un commissario con pieni poteri” per gestire una vera riconversione. Giorgio Cremaschi, dalle colonne de Il Manifesto, ha rivendicato la nazionalizzazione dell'ILVA come una possibilità garantita “dalla Costituzione”, naturalmente con “indennizzo”.
Ma il punto debole di questi pronunciamenti, tutti peraltro significativi, è che ignorano o rimuovono il carattere rivoluzionario e dirompente della rivendicazione della nazionalizzazione dell'Ilva: la circoscrivono in un illusorio recinto riformista, la subordinano al dettato costituzionale( obbligo di “indennizzo”), ne smussano i risvolti radicali e di classe ( rifiuto del controllo operaio). Il tutto nello sforzo di mostrarne la “realizzabilità”, la “fattibilità” e dunque la conciliabilità col capitalismo.
La verità è un altra. La nazionalizzazione dell'Ilva non sarà mai realizzata dal governo Monti o da un altro governo borghese, tanto più nel quadro attuale della crisi capitalista e della “compatibilità” di mercato dell'Europa dei capitalisti. I costi ingenti della riconversione e della bonifica dell'acciaieria più grande d'Europa, non saranno mai compatibili con le leggi del profitto, e col vincolo del debito pubblico imposto dalla crisi. La soluzione di svolta può essere imposta solamente da un'azione di massa radicale della classe operaia e della popolazione povera, che renda ingovernabile ogni altra soluzione, rompa con le leggi del capitale, rovesci i rapporti di forza, apra la via di un governo dei lavoratori, basato su un programma anticapitalista.
IL CASO ILVA E IL REALISMO DELLA RIVOLUZIONE
“Ma allora la nazionalizzazione non è realistica”, obietterà qualcuno. E' una obiezione mal posta. La verità è che non è “realistico” nessun reale avanzamento delle condizioni di lavoro, di salute, di vita, dei lavoratori e della maggioranza della società senza il rovesciamento della dittatura degli industriali e dei banchieri.Cioè senza la conquista del potere da parte dei lavoratori e di tutti gli sfruttati.
La proposta della nazionalizzazione dell'ILVA, proprio perchè è l'unica soluzione reale, si limita a chiarire da un versante particolare questa verità generale.
La rivoluzione sociale è l'unica soluzione realistica delle grandi questioni del nostro tempo. Sviluppare la coscienza delle masse, e innanzitutto della loro avanguardia, sino alla comprensione di questa verità è l'obiettivo, in ogni lotta, del Partito Comunista dei Lavoratori.
MARCO FERRANDO
Partito Comunista dei Lavoratori
Portavoce Nazionale
Il rivoluzionario Turigliatto e le 23 fiducie a Prodi
a proposito di disinformazione “democratica” de La Repubblica
La Repubblica di giovedì 9 agosto ha pubblicato una breve intervista col compagno Franco Turigliatto, dirigente di Sinistra Critica e ex senatore all'epoca del governo Prodi, dal titolo “Torna il rivoluzionario Turigliatto: “Monti il peggiore, va fermato”.
Nel soprattitolo lo presenta come “l'uomo che fece cadere Prodi”.
A dire il vero il buon Turigliatto nega questa falsità, accusando politicamente della caduta di Prodi le manovre di Veltroni.
L'intervistatore, per replicare a questo diniego afferma: “lei ha votato per anno contro tutte le fiducie a Prodi” e qui la risposta è ambigua.
Rimettiamo in ordine le cose.
Turigliatto non fece assolutamente cadere il governo Prodi. Fu Mastella a ritirargli la fiducia, anche in riferimento alle sue vicende personali-familiari-giudiziarie. Che dietro questo ci possano essere state anche le manovre di un Veltroni, desideroso di primeggiare, è del tutto plausibile.
Quanto alla fiducie Turigliatto (e il suo compagno Cannavò che sedeva alla camera) ne ha votato 23, fino alla vigilia della caduta del governo, con le elezioni anticipate.
Turigliatto non ha votato la fiducia del febbraio 2007 rispetto al rifinanziamento della missione in Afganistan, cosa per cui aveva precedentemente votato. Lo fece solo dopo che il relatore D'Alema aveva respinto la sua richiesta di adoperarsi per una futura e generica “conferenza di pace” , cui Turigliatto condizionava il voto al proseguimento della guerra imperialista. Ma anche in quel caso il governo non andò in minoranza a causa di Turigliatto, il quale non votò contro, ma proprio per non mettere in questione l'Esecutivo, si limitò a non partecipare al voto. Furono due senatori a vita, che fino ad allora avevano sostenuto il governo, a votare contro, il padrone Pininfarina ( che si sbagliò) e Belzebù Andreotti (che votò contro per dare un segnale al governo, per conto del Vaticano, rispetto alle aperture sulle unioni civili).
Da quel momento in poi il buon “rivoluzionario” riprese a votare tutte le fiducie a Prodi, a partire da quella di reinsediamento del suo governo, nell'aprile 2007, su basi dichiaratamente ancora più reazionarie di prima. Turigliatto era già stato espulso da Rifondazione comunista per la reazione isterica dei poltronieri del partito, che temevano ogni possibile disturbo alla loro collaborazione di classe col centrosinistra. Ed infatti presentò nella dichiarazione parlamentare il suo voto favorevole al governo, come espressione dell' “appoggio critico”, non del PRC, ma di “Sinistra Critica”.
L'atteggiamento di collaborazione di classe di Turigliatto -e di Cannavò alla Camera dei deputati, non c'è una responsabilità individuale, ma quella di Sinistra Critica- arrivo fino al punto di votare, giusto alla fine del 2007 e quindi alla vigilia della caduta di Prodi, per una riduzione di imposte alle banche ed assicurazioni di 3 miliardi di euro annui (che si aggiunsero ai 7 miliardi di riduzione, sempre annua, ai capitalisti dell'industria che i due “anticapitalisti” di SC avevano votato in precedenza).
Altro che non votare fiducie per un anno.
Diciamo però che non riteniamo responsabile di questa totale falsità il moderatissimo ma onesto Turigliatto.
Come detto, la sua risposta a La Repubblica è ambigua, ma non sembra proprio confermare il suo presunto voto contrario alle fiducie “per un anno”. Ecco le parole di Turigliatto: “Sulla guerra, sul precariato, sulle pensioni proponevano progetti di destra. Soffrivo. Prodi mi diceva di portare pazienza, prometteva, ma poi non succedeva mai niente”.
Benchè non ci sia il no chiaro all'ipotesi di un passaggio al voto negativo, pare evidente che Turigliatto si riferisca alla sua costante “sofferenza” nel votare le schifezze di destra del governo, che però, evidentemente “uso ad obbedir tacendo”, il nostro accettava, sperando nel conforto di …..Romano Prodi (eccezionale!!).
In realtà è probabile che, come spesso capita- anche a noi- il giornalista di Repubblica abbia fatto una chiaccherata telefonica con Turigliatto e poi l'abbia ricostruita come una vera intervista a domande e risposte, con una costruzione funzionale al suo argomento: Prodi è caduto per responsabilità della sinistra “radicale”.
In realtà questo è lo schema che tutta la stampa e gli altri organi di informazione e dibattito politico accreditano costantemente. Il messaggio che tutti questi veicolano alle masse è che il centrosinistra è stato vittima delle sue contraddizioni, in particolare delle costanti resistenze della “sinistra radicale”. Ora chiunque si ricordi o ricostruisca con esattezza e onestà quel periodo sa che la verità è esattamente opposta. Il PRC e il PdCI accettarono tutto senza fiatare, cercando solo, agli occhi delle masse, di stravolgere la realtà (il famoso “anche i ricchi piangono” in un manifesto di Rifondazione, riferendosi ad una finanziaria assolutamente a vantaggio di capitalisti e ricchi).
L'elenco fatto nella frase riportata dal sofferente Turigliatto, con l'aggiunta della già ricordata riduzione delle tasse a capitalisti e banchieri, è indicativo dei temi principali del controriformismo del centro sinistra “organico”.
Ma allora, perchè il ricordato schema falsificatorio di tutti i media e le forze politiche? Perchè, come dicevano sia Gramsci che Trotsky, “la verità e rivoluzionaria”. Presentare i fatti come sono andati significherebbe mettere in questione il teatrino della politica borghese. La destra può contare sul voto di piccolo borghesi e anche lavoratori sciocchi e reazionari perchè presenta il PD e il centrosinistra come postcomunisti innamorati delle tassazioni alla proprietà. Il Pd e amici devono presentarsi come amici dei lavoratori, che cercano di creare una situazione di sacrifici “equi”, di fronte ad una realtà oggettiva immodificabile. Il PRC, SEL e PdCI devono far credere di aver tentato di difendere gli interessi dei lavoratori e dei movimenti (magari riconoscendo a parole che il governo Prodi è stato un errore, come ha detto recentemente l'ex ministro Ferrero, che sarebbe come se Al Capone avesse detto, e forse lo ha fatto, che c'era troppa violenza nella Chicago fine anni '20). Sinistra critica (che cerca costantemente di nascondere di aver sostenuto il Prodi) deve presentarsi come “anticapitalista”.
Questo scenario fittizio, introiettato dalle masse e anche da molti dei suoi presentatori, serve al dominio del capitale. Se no apparirebbe ai lavoratori che la destra non ha ragione di esistere, il PD è un partito organicamente borghese, la sinistra “radicale”, al momento della prova (perchè quando le condizioni non ci sono, è facile fare demagogia e presentarsi come anticapitalisti) si subordina al capitale; moltissimi di loro cercherebbero, quindi, una alternativa realmente anticapitalistica. Potendo trovarla, nel caso concreto, nel partito che giustamente unico può rivendicare di “non aver mai tradito” cioè il nostro PCL (non pensiamo, ovviamente, che, ad oggi, ci sia un complotto specificatamente contro il nostro piccolo partito , ma lo scopo della falsificazione della realtà è preventivo contro ogni sviluppo realmente antisistema).
Smascherare il teatrino dell'informazione borghese e dell'autoimmagine bugiarda della sinistra opportunista è un compito fondamentale nella battaglia per la prospettiva rivoluzionaria.
Per cui, per tornare all'oggetto principale di questa nota, quando saremo chiamati, come militanti, aderenti o sostenitori del PCL, a chiarire ciò che ci differenzia da Sinistra Critica, dovremo ricordare che non si tratta delle pur importantissime e profondissime divergenze teoriche con il revisionismo di SC e neppure le pur fondamentali differenze di prospettive e di metodo (obbiettivi minimi contro obbiettivi transitori, utopiche Europe sociali contro l'Europa Socialista dei Lavoratori); ma, in primo luogo del fatto che, in un momento topico come quello del governo Prodi, SC si è schierato contro gli interessi dei lavoratori, appoggiando (con un ottica tutta politicista, alla faccia del “movimentismo”) le schifezze del centrosinistra, in particolare con 23 voti di fiducia.
Dimenticavamo, mentre i Bertinotti, Ferrero e Vendola appoggiavano quanto sopra godendo per le poltrone ottenute, il buon Turigliatto (e anche il duro Cannavò?, attendiamo lumi) lo faceva soffrendo. Poverino e povera anche Sinistra “Critica”.
Franco Grisolia
La Repubblica di giovedì 9 agosto ha pubblicato una breve intervista col compagno Franco Turigliatto, dirigente di Sinistra Critica e ex senatore all'epoca del governo Prodi, dal titolo “Torna il rivoluzionario Turigliatto: “Monti il peggiore, va fermato”.
Nel soprattitolo lo presenta come “l'uomo che fece cadere Prodi”.
A dire il vero il buon Turigliatto nega questa falsità, accusando politicamente della caduta di Prodi le manovre di Veltroni.
L'intervistatore, per replicare a questo diniego afferma: “lei ha votato per anno contro tutte le fiducie a Prodi” e qui la risposta è ambigua.
Rimettiamo in ordine le cose.
Turigliatto non fece assolutamente cadere il governo Prodi. Fu Mastella a ritirargli la fiducia, anche in riferimento alle sue vicende personali-familiari-giudiziarie. Che dietro questo ci possano essere state anche le manovre di un Veltroni, desideroso di primeggiare, è del tutto plausibile.
Quanto alla fiducie Turigliatto (e il suo compagno Cannavò che sedeva alla camera) ne ha votato 23, fino alla vigilia della caduta del governo, con le elezioni anticipate.
Turigliatto non ha votato la fiducia del febbraio 2007 rispetto al rifinanziamento della missione in Afganistan, cosa per cui aveva precedentemente votato. Lo fece solo dopo che il relatore D'Alema aveva respinto la sua richiesta di adoperarsi per una futura e generica “conferenza di pace” , cui Turigliatto condizionava il voto al proseguimento della guerra imperialista. Ma anche in quel caso il governo non andò in minoranza a causa di Turigliatto, il quale non votò contro, ma proprio per non mettere in questione l'Esecutivo, si limitò a non partecipare al voto. Furono due senatori a vita, che fino ad allora avevano sostenuto il governo, a votare contro, il padrone Pininfarina ( che si sbagliò) e Belzebù Andreotti (che votò contro per dare un segnale al governo, per conto del Vaticano, rispetto alle aperture sulle unioni civili).
Da quel momento in poi il buon “rivoluzionario” riprese a votare tutte le fiducie a Prodi, a partire da quella di reinsediamento del suo governo, nell'aprile 2007, su basi dichiaratamente ancora più reazionarie di prima. Turigliatto era già stato espulso da Rifondazione comunista per la reazione isterica dei poltronieri del partito, che temevano ogni possibile disturbo alla loro collaborazione di classe col centrosinistra. Ed infatti presentò nella dichiarazione parlamentare il suo voto favorevole al governo, come espressione dell' “appoggio critico”, non del PRC, ma di “Sinistra Critica”.
L'atteggiamento di collaborazione di classe di Turigliatto -e di Cannavò alla Camera dei deputati, non c'è una responsabilità individuale, ma quella di Sinistra Critica- arrivo fino al punto di votare, giusto alla fine del 2007 e quindi alla vigilia della caduta di Prodi, per una riduzione di imposte alle banche ed assicurazioni di 3 miliardi di euro annui (che si aggiunsero ai 7 miliardi di riduzione, sempre annua, ai capitalisti dell'industria che i due “anticapitalisti” di SC avevano votato in precedenza).
Altro che non votare fiducie per un anno.
Diciamo però che non riteniamo responsabile di questa totale falsità il moderatissimo ma onesto Turigliatto.
Come detto, la sua risposta a La Repubblica è ambigua, ma non sembra proprio confermare il suo presunto voto contrario alle fiducie “per un anno”. Ecco le parole di Turigliatto: “Sulla guerra, sul precariato, sulle pensioni proponevano progetti di destra. Soffrivo. Prodi mi diceva di portare pazienza, prometteva, ma poi non succedeva mai niente”.
Benchè non ci sia il no chiaro all'ipotesi di un passaggio al voto negativo, pare evidente che Turigliatto si riferisca alla sua costante “sofferenza” nel votare le schifezze di destra del governo, che però, evidentemente “uso ad obbedir tacendo”, il nostro accettava, sperando nel conforto di …..Romano Prodi (eccezionale!!).
In realtà è probabile che, come spesso capita- anche a noi- il giornalista di Repubblica abbia fatto una chiaccherata telefonica con Turigliatto e poi l'abbia ricostruita come una vera intervista a domande e risposte, con una costruzione funzionale al suo argomento: Prodi è caduto per responsabilità della sinistra “radicale”.
In realtà questo è lo schema che tutta la stampa e gli altri organi di informazione e dibattito politico accreditano costantemente. Il messaggio che tutti questi veicolano alle masse è che il centrosinistra è stato vittima delle sue contraddizioni, in particolare delle costanti resistenze della “sinistra radicale”. Ora chiunque si ricordi o ricostruisca con esattezza e onestà quel periodo sa che la verità è esattamente opposta. Il PRC e il PdCI accettarono tutto senza fiatare, cercando solo, agli occhi delle masse, di stravolgere la realtà (il famoso “anche i ricchi piangono” in un manifesto di Rifondazione, riferendosi ad una finanziaria assolutamente a vantaggio di capitalisti e ricchi).
L'elenco fatto nella frase riportata dal sofferente Turigliatto, con l'aggiunta della già ricordata riduzione delle tasse a capitalisti e banchieri, è indicativo dei temi principali del controriformismo del centro sinistra “organico”.
Ma allora, perchè il ricordato schema falsificatorio di tutti i media e le forze politiche? Perchè, come dicevano sia Gramsci che Trotsky, “la verità e rivoluzionaria”. Presentare i fatti come sono andati significherebbe mettere in questione il teatrino della politica borghese. La destra può contare sul voto di piccolo borghesi e anche lavoratori sciocchi e reazionari perchè presenta il PD e il centrosinistra come postcomunisti innamorati delle tassazioni alla proprietà. Il Pd e amici devono presentarsi come amici dei lavoratori, che cercano di creare una situazione di sacrifici “equi”, di fronte ad una realtà oggettiva immodificabile. Il PRC, SEL e PdCI devono far credere di aver tentato di difendere gli interessi dei lavoratori e dei movimenti (magari riconoscendo a parole che il governo Prodi è stato un errore, come ha detto recentemente l'ex ministro Ferrero, che sarebbe come se Al Capone avesse detto, e forse lo ha fatto, che c'era troppa violenza nella Chicago fine anni '20). Sinistra critica (che cerca costantemente di nascondere di aver sostenuto il Prodi) deve presentarsi come “anticapitalista”.
Questo scenario fittizio, introiettato dalle masse e anche da molti dei suoi presentatori, serve al dominio del capitale. Se no apparirebbe ai lavoratori che la destra non ha ragione di esistere, il PD è un partito organicamente borghese, la sinistra “radicale”, al momento della prova (perchè quando le condizioni non ci sono, è facile fare demagogia e presentarsi come anticapitalisti) si subordina al capitale; moltissimi di loro cercherebbero, quindi, una alternativa realmente anticapitalistica. Potendo trovarla, nel caso concreto, nel partito che giustamente unico può rivendicare di “non aver mai tradito” cioè il nostro PCL (non pensiamo, ovviamente, che, ad oggi, ci sia un complotto specificatamente contro il nostro piccolo partito , ma lo scopo della falsificazione della realtà è preventivo contro ogni sviluppo realmente antisistema).
Smascherare il teatrino dell'informazione borghese e dell'autoimmagine bugiarda della sinistra opportunista è un compito fondamentale nella battaglia per la prospettiva rivoluzionaria.
Per cui, per tornare all'oggetto principale di questa nota, quando saremo chiamati, come militanti, aderenti o sostenitori del PCL, a chiarire ciò che ci differenzia da Sinistra Critica, dovremo ricordare che non si tratta delle pur importantissime e profondissime divergenze teoriche con il revisionismo di SC e neppure le pur fondamentali differenze di prospettive e di metodo (obbiettivi minimi contro obbiettivi transitori, utopiche Europe sociali contro l'Europa Socialista dei Lavoratori); ma, in primo luogo del fatto che, in un momento topico come quello del governo Prodi, SC si è schierato contro gli interessi dei lavoratori, appoggiando (con un ottica tutta politicista, alla faccia del “movimentismo”) le schifezze del centrosinistra, in particolare con 23 voti di fiducia.
Dimenticavamo, mentre i Bertinotti, Ferrero e Vendola appoggiavano quanto sopra godendo per le poltrone ottenute, il buon Turigliatto (e anche il duro Cannavò?, attendiamo lumi) lo faceva soffrendo. Poverino e povera anche Sinistra “Critica”.
Franco Grisolia
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
Esecutivo Nazionale
04/08/12
Il PCL Marche contro i 200.000 euro della regione alla Chiesa!
Comunicato Stampa:
La decisione presa dal consiglio regionale marchigiano (con decreto numero 17/PSI del 09/07/12) di stanziare ben 200.000 Euro in assegni di sostegno verso religiosi anziani non autosufficienti appartenenti alle diverse congregazioni cattoliche (nemmeno religiose in senso lato, esclusivamente cattoliche!) si presenta come un nuovo volgare ed inaccettabile atto di servilismo nei confronti della chiesa di Oltretevere, messo in atto a spese di tutti i cittadini: destinare soldi a persone disagiate sulla base di esclusivi requisiti religiosi si presenta infatti come un intollerabile atto di discriminazione, che svilisce qualunque principio di democrazia. Sull'orlo del delirante poi, la motivazione addotta, facente riferimento alle ben note tradizioni religiose marchigiane (sic!): oltre all'estrema discutibilità della giustificazione, cosa giustifica a destinare fondi pubblici ad organizzazioni che nulla a che fare hanno con lo Stato e che con le proprie dotazioni finanziarie (investite ovunque in giro per il mondo tramite lo IOR in barba a qualunque tipo di trasparenza finanziaria) potrebbero e dovrebbero benissimo farsi carico autonomamente di queste situazioni di disagio al proprio interno?
Doppiamente oltraggioso si rivela poi il provvedimento alla luce della crisi che le Marche, in linea con il resto del paese, stanno vivendo, con migliaia di operai falcidiati da licenziamenti e cassa integrazione mentre la desertificazione industriale avanza a spron battuto davanti all'inermità ed alla complicità dell'intero fronte politico seduto sugli scranni amministrativi di ogni ordine e grado.
Il Partito Comunista dei Lavoratori afferma pertanto la sua più ferma opposizione ad una misura servile, ripugnante ed intollerabile, rivendicando la propria linea di assoluta laicità nei confronti di uno Stato vilmente asservito alle gerarchie vaticane ed alla loro linea di controllo sociale e politico, contro il cui giogo da sempre si è battuto.
Doppiamente oltraggioso si rivela poi il provvedimento alla luce della crisi che le Marche, in linea con il resto del paese, stanno vivendo, con migliaia di operai falcidiati da licenziamenti e cassa integrazione mentre la desertificazione industriale avanza a spron battuto davanti all'inermità ed alla complicità dell'intero fronte politico seduto sugli scranni amministrativi di ogni ordine e grado.
Il Partito Comunista dei Lavoratori afferma pertanto la sua più ferma opposizione ad una misura servile, ripugnante ed intollerabile, rivendicando la propria linea di assoluta laicità nei confronti di uno Stato vilmente asservito alle gerarchie vaticane ed alla loro linea di controllo sociale e politico, contro il cui giogo da sempre si è battuto.
Con preghiera di massima diffusione
Partito Comunista dei Lavoratori
Coordinamento Regionale Marche
03/08/12
Speciale Ilva di Taranto: no alla contrapposizione diritto alla salute - diritto al lavoro!
ILVA di Taranto: Solidarietà ai lavoratori in lotta
No alla contrapposizione tra lavoro e salute
Per una soluzione anticapitalista
Per una soluzione anticapitalista
(27 Luglio 2012)
Il Partito comunista dei lavoratori esprime la sua piena solidarietà agli operai dell'Italsider in lotta.
Nel contempo rifiuta ogni contrapposizione tra il diritto al lavoro e quello alla salute e alla vita. Ricorda che le prime vittime della criminale situazione ambientale dell' Italsider sono gli operai che vi lavorano.
Come hanno denunciato i settori più avanzati dei lavoratori della fabbrica, questa indegna situazione è il prodotto del sostegno dato al criminale padrone Riva e ai suoi profitti da tutte le forze politiche sia di destra che di centro sinistra; ma anche della collaborazione falsamente produttivista realizzata dalle dirigenze sindacali,comprese quelle sedicenti di sinistra, a Taranto come a Genova.
L'unica soluzione positiva per gli operai e la popolazione di Taranto e una soluzione anticapitalista, quella che solo il nostro partito avanza:
Nazionalizzazione senza indennizzo e sotto controllo operaio del gruppo Italsider
Radicale bonifica e ristrutturazione degli impianti
Mantenimento del 100% del salario contrattuale per i lavoratori dell' Italsider e del suo indotto fino alla fine del processo di bonifica.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
LA CITTA’ DELL’ACCIAIO: TARANTO
La citta’ dei due mari meglio conosciuta come la citta’ dell’acciaio e’ nota alle cronache in quanto e’ una delle citta’ maggiormente inquinate al mondo.
Una citta’ operaia in cui e’ presente il piu’ grande centro siderurgico d’Europa.
Per dare qualche numero sia sull’occupazione sia sull’inquinamento:
13mila dipendenti, più 4mila di indotto, una produzione fino a 30mila tonnellate al giorno, l’Ilva è la prima acciaieria d’Europa. Quasi milleduecento morti l’anno, cancro, e uno stabilimento a cui nel 2006, quando è cominciata la battaglia, era riconducibile sul totale italiano il 96 percento degli idrocarburi policiclici aromatici, il 92 percento delle diossine, l’85 percento dell’ossido di carbonio, l’85 percento del piombo. Il 68 percento del mercurio, bandito anche dai termometri ma sversato nel mare di Taranto per oltre due tonnellate l’anno. Un anno in cui ognuno dei circa 210mila abitanti, qui, incamera 2,7 tonnellate tra monossido di carbonio, benzene, ossido di zolfo. Ogni giorno ogni bambino, respirando, fuma l’equivalente di 2,14 sigarette.
Prima di ragionare sulle questioni ambiente-lavoro, e’ necessario far un passo indietro e capire come Taranto da citta’ che viveva da e per il mare e la terra e’ diventata una citta’ siderurgica.
Gli anni successivi all’unita’ d’Italia la vedono consegnata a piene mani alla Marina Militare ed al Ministero della guerra, che danno il via alla costruzione della citta’ nuova.
Questo segnera’ definitivamente la dipendenza economica ed industriale della citta’ ai militari. Tutta la citta’ nuova, attuale borgo del centro, fu costruita attorno all’Arsenale.
Molto di questa militarizzazione e’ ancora visibile oggi, anzi sempre piu’ ampio e diffuso e’ il controllo di zone tolte ai tarantini e difatti militarizzate. Un ‘esempio su tutti il nuovo porto militare che occupa km e km di costa Jonica e dove ci sono, oltre alle Navi Militari della Marina Italiana anche le Navi Nato con i sommergibili nucleari.
Oltre alla militarizzazione anche lo sfruttamento dell’ambiente questo sempre a scapito dei cittadini ma e’ proprio questo uno degli elementi essenziali del capitalismo: sfruttare uomini e territorio fino all’esaurimento con il solo scopo di aumentare i propri profitti.
Accanto allo sviluppo dell’Arsenale e dei cantieri navali, subito dopo la seconda guerra mondiale si avvio’ il procedimento per la costruzione di un grande centro siderurgico in Puglia. Uno dei siti proposti fu proprio Taranto, su questa scelta pesarono molto le decisioni della Democrazia Cristiana locale e nazionale che spingeva affinché Taranto fosse scelta sia per questioni geografiche: la vicinanza al mare sia per presunte questioni economiche: furono portate avanti false battaglie in difesa della pseudo poverta’ della citta’ dei due mari. Per chi conosce la storia di Taranto sa che si e’ trattata di una vera e propria bufala. La citta’ era uscita dalla seconda guerra mondiale, molto meglio di altre citta’ pugliesi come Bari, Brindisi o Lecce. Taranto, infatti, fu una delle poche citta’ industriali italiane uscite dal secondo conflitto mondiale con l’apparato industriale intatto e con una serie di progetti concreti ed anche per certi versi all’avanguardia. Gia’ nel 1952 furono presentati vari progetti di riconversione dei cantieri navali militari in Nautica di diporto e mercantile, con il progetto di fare di Taranto la capitale della fiera mercantile italiana.
Accanto a tale progetto vi erano una serie di altr einiziaite: dalle cooperative agricole, a quelle legate alla pesca fino ai trasporti che vedevano la classe operaia all’avanguardia. Tutti questi progetti ed iniziative furono distrutti e smantellati dal duo Marina ed Italsider, questa ultima venne costruita tra la fine degli anni ’50 ed i primi anni’60, sotto l’attenta regia democristiana.
A questo si devono accompagnare tutte una serie di progetti urbanistici che hanno parzialmente distrutto il patrimonio culturale, archeologico di quella che fu la capitale della Magna Grecia. In questo quadro si inserisce il fallimento della costruzione del più lungo Lungomare al mondo che partendo dal Ponte Girevole sarebbe arrivato fino al Faro di San Vito, all’incirca 15 KM!.I colpevoli dello scempio urbanistico vanno dalla Dc al Psi fino alla destra. Lo stabilimento fu costruito in soli 5 anni dal 1960 al 1965 senza grossi dissensi, eccezion fatta per alcuni esponenti locali del Pci ma non dalla direzione locale del partito. Nel 1978 sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno veniva pubblicata una prima inchiesta sull’inquinamento e l’anno seguente furono installate 5 stazioni di rilevamento. Nel 1982 fu emessa la prima condanna contro il direttore dell’Italsider per getto pericoloso Il sindaco dell’epoca, esponente del Pci, Cannata inaugurò la tradizione per cui gli enti locali si sono poi sempre ritirati dalla parte civile nei processi. Fu creato questo Fondo d’Impatto Ambientale che non ha portato risultati tangibili. Gli anni ’80 e 90 sono segnati dalla crisi dell’acciaio e della siderurgia italiana, sono gli anni in cui la competivita’ dei mercati mondiali va a vantaggio delle acciaierie sud americane e dell’Est Europa, queste ultime soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino. Sono gli anni in cui la citta’ deve fare i conti con cassintegrazione, disoccupazione e la fine della siderurgia di Stato, quando nel 1995 l’impianto viene acquistato dal gruppo Riva.
Lo stesso Riva si pone subito l’obiettivo di cambiare la “vecchia” classe operaia utilizzando i finanziamenti europei per ristrutturare i processi produttivi in siderurgia. Arrivano grandi flussi di denaro che vengono indirizzati verso i maggiori Paesi produttori di acciaio, e furono utilizzati per incentivare le uscite dei lavoratori verso il pensionamento. Contemporaneamente iniziano le assunzioni di giovani con i famigerati “Corsi di formazione/lavoro”. Allora, la linea delle tre federazioni Fim, Fiom e Uilm nei confronti dei giovani operai, inesperti e del tutto disarmati fu di rinuncia E così furono lasciati in balia dei dirigenti e dei capi, i quali utilizzarono il loro potere, ovviamente, contro le organizzazioni sindacali. Non è un caso che fra pensionamenti e mancate nuove iscrizioni il numero dei sindacalizzati crollo’ verticalmente.
Da un punto di vista politico sono anni pesantissimi; dopo l’egemonia del pentapartito con il susseguirsi di giunte socialiste e democristiane, nel 1993 viene eletto sindaco Giancarlo Cito, che diventera’ noto alle cronache nazionali per il suo atteggiamento fascista e da sindaco sceriffo. E’ il periodo piu’ buio dell’intera storia tarantina dalla seconda guerra mondiale ad oggi.
Quello che invece non cambia ma anzi continua ad essere trascurato e’ il problema dell’inquinamento. In molti quartieri limitrofi del centro siderurgico come i Tamburi e Paolo VI, le percentuali di polveri sottili, inquinanti sono in continuo aumento. Qualcosa pero’ proprio sul finire degli anni ’90 in citta’ comincia a muoversi. Una serie di ricerche, di studi scientifici cominciano a scoperchiare problematiche legate all’ambiente ed al territorio ionico. Tutto questo pero’ si riduce alla semplice denuncia ed alla scelta: o il lavoro o l’ambiente e la salute dei cittadini. E’ proprio questo che ha portato il 30 Marzo 2012 in coincidenza con l’incidente probatorio contro la proprietà e alcuni massimi dirigenti Ilva, accusati di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose ed inquinamento atmosferico.
Le stime pubblicate nel 2010 sui danni causati dall’Ilva, in circa 40 anni di attivita’ sono 12000 morti per cause cardiovascolari e respiratorie, 30000 ricoveri per cause cardiache, respiratorie e cerebrovascolari(4000 ricoveri all’anno circa). Una vera e propria strage.
Ed ecco la data del 30 Marzo, in cui il padrone, cosi’ come gia’ era successo per la Fiat nei primi anni 80 mobilita i lavoratori, non i cosiddetti colletti bianchi ma gli operai a manifestare sotto il Tribunale di Taranto. Una manifestazione massiccia in cui all’ambiente veniva contrapposto il lavoro, tradotto un ricatto, l’ennesimo di una nuova classe operaia poco sindacalizzata. Qui, a mio avviso non sono da contrapporre le questioni ambientali a quelle del lavoro ma cercare di trovare una soluzione a queste problematiche. Oggi sul mercato dell’impiantistica siderurgica ci sono tecnologie che superano il vecchio modo di fare acciaio, che riducano drasticamente le immissioni inquinanti. Questi impianti denominati “COREX” e “FINEX" sono già operanti in vari Paesi del mondo Possono essere delle soluzioni che superino quelle della sinterizzazione, che emettono diossina ed altri polveri sottili in aree abitate. Negli stabilimenti dove sono presenti processi di Corex e di Finex , in cui viene impiegato direttamente il minerale raffinato e la polvere di carbone, il forno di sinterizzazione e la cokeria non sono piu’ necessiarie e c’e’ una notevole riduzione dell’inquinamento: 90% in meno di sostanze tossico-nocive e 98% in meno di contaminazione dell’acqua, oltre a ridurre i costi di energia e di produzione.
Oggi piu’ che mai dopo la sentenza del tribunale, non serve dividersi tra operai ed il resto della citta’. E’ necessario ricompattarsi perche’ i lavoratori sono i primi ad aver subito i danni di un inquinamento voluto dai padroni e dai politici da salotto, buoni solo a fare chiacchiere e null’altro.
Gli operai dell'Ilva hanno già pagato sulla propria pelle, e da tutti i versanti, i crimini del profitto: dalle morti sul lavoro ai casi di cancro in famiglia. E' ora che paghino altri. Nessun posto di lavoro va toccato. La presenza industriale va salvaguardata, anche con la occupazione operaia della fabbrica.
Ovviamente per cambiare il modo di produrre servono investimenti ma ne’Riva, ne’ altri imprenditori di casa nostra sono disposti ad investire. L’unica cosa a cui sono interessanti e’ sfruttare operai e lavoratori. L’unica via di soluzione e’ la nazionalizzazione dell’Ilva di Taranto e di tutti i centri siderurgici italiani sotto controllo operaio. E’ necessario che si diffonda e si moltiplichi anche nella citta’ dei due mari lo spirito del conflitto di classe attraverso la presa di coscienza che solo un governo dei lavoratori, a livello locale e nazionale puo’ cambiare il corso della storia. Qualcosa ha cominciato a cambiare. Nell’ultima tornata elettorale, se ha pur vinto ufficialmente il centro sinistra con il nuovo ‘’sindaco sceriffo’’, il vero vincitore e’ stato l’astensionismo soprattutto nei quartieri periferici e sempre operai. Quartieri che non credono alla favoletta del centro sinistra, da Bersani a Rifondazione, passando da Vendola a Di Pietro. Hanno bisogno di un vero e proprio partito comunista, di un partito realmente rivoluzionario, della nascita di una sezione del Partito Comunista dei Lavoratori, in una citta’ operaia e meridionale. E’ l’augurio che da comunista rivoluzionario faccio alla mia citta’ che mi ha dato i natali.
Una citta’ operaia in cui e’ presente il piu’ grande centro siderurgico d’Europa.
Per dare qualche numero sia sull’occupazione sia sull’inquinamento:
13mila dipendenti, più 4mila di indotto, una produzione fino a 30mila tonnellate al giorno, l’Ilva è la prima acciaieria d’Europa. Quasi milleduecento morti l’anno, cancro, e uno stabilimento a cui nel 2006, quando è cominciata la battaglia, era riconducibile sul totale italiano il 96 percento degli idrocarburi policiclici aromatici, il 92 percento delle diossine, l’85 percento dell’ossido di carbonio, l’85 percento del piombo. Il 68 percento del mercurio, bandito anche dai termometri ma sversato nel mare di Taranto per oltre due tonnellate l’anno. Un anno in cui ognuno dei circa 210mila abitanti, qui, incamera 2,7 tonnellate tra monossido di carbonio, benzene, ossido di zolfo. Ogni giorno ogni bambino, respirando, fuma l’equivalente di 2,14 sigarette.
Prima di ragionare sulle questioni ambiente-lavoro, e’ necessario far un passo indietro e capire come Taranto da citta’ che viveva da e per il mare e la terra e’ diventata una citta’ siderurgica.
Gli anni successivi all’unita’ d’Italia la vedono consegnata a piene mani alla Marina Militare ed al Ministero della guerra, che danno il via alla costruzione della citta’ nuova.
Questo segnera’ definitivamente la dipendenza economica ed industriale della citta’ ai militari. Tutta la citta’ nuova, attuale borgo del centro, fu costruita attorno all’Arsenale.
Molto di questa militarizzazione e’ ancora visibile oggi, anzi sempre piu’ ampio e diffuso e’ il controllo di zone tolte ai tarantini e difatti militarizzate. Un ‘esempio su tutti il nuovo porto militare che occupa km e km di costa Jonica e dove ci sono, oltre alle Navi Militari della Marina Italiana anche le Navi Nato con i sommergibili nucleari.
Oltre alla militarizzazione anche lo sfruttamento dell’ambiente questo sempre a scapito dei cittadini ma e’ proprio questo uno degli elementi essenziali del capitalismo: sfruttare uomini e territorio fino all’esaurimento con il solo scopo di aumentare i propri profitti.
Accanto allo sviluppo dell’Arsenale e dei cantieri navali, subito dopo la seconda guerra mondiale si avvio’ il procedimento per la costruzione di un grande centro siderurgico in Puglia. Uno dei siti proposti fu proprio Taranto, su questa scelta pesarono molto le decisioni della Democrazia Cristiana locale e nazionale che spingeva affinché Taranto fosse scelta sia per questioni geografiche: la vicinanza al mare sia per presunte questioni economiche: furono portate avanti false battaglie in difesa della pseudo poverta’ della citta’ dei due mari. Per chi conosce la storia di Taranto sa che si e’ trattata di una vera e propria bufala. La citta’ era uscita dalla seconda guerra mondiale, molto meglio di altre citta’ pugliesi come Bari, Brindisi o Lecce. Taranto, infatti, fu una delle poche citta’ industriali italiane uscite dal secondo conflitto mondiale con l’apparato industriale intatto e con una serie di progetti concreti ed anche per certi versi all’avanguardia. Gia’ nel 1952 furono presentati vari progetti di riconversione dei cantieri navali militari in Nautica di diporto e mercantile, con il progetto di fare di Taranto la capitale della fiera mercantile italiana.
Accanto a tale progetto vi erano una serie di altr einiziaite: dalle cooperative agricole, a quelle legate alla pesca fino ai trasporti che vedevano la classe operaia all’avanguardia. Tutti questi progetti ed iniziative furono distrutti e smantellati dal duo Marina ed Italsider, questa ultima venne costruita tra la fine degli anni ’50 ed i primi anni’60, sotto l’attenta regia democristiana.
A questo si devono accompagnare tutte una serie di progetti urbanistici che hanno parzialmente distrutto il patrimonio culturale, archeologico di quella che fu la capitale della Magna Grecia. In questo quadro si inserisce il fallimento della costruzione del più lungo Lungomare al mondo che partendo dal Ponte Girevole sarebbe arrivato fino al Faro di San Vito, all’incirca 15 KM!.I colpevoli dello scempio urbanistico vanno dalla Dc al Psi fino alla destra. Lo stabilimento fu costruito in soli 5 anni dal 1960 al 1965 senza grossi dissensi, eccezion fatta per alcuni esponenti locali del Pci ma non dalla direzione locale del partito. Nel 1978 sulle pagine della Gazzetta del Mezzogiorno veniva pubblicata una prima inchiesta sull’inquinamento e l’anno seguente furono installate 5 stazioni di rilevamento. Nel 1982 fu emessa la prima condanna contro il direttore dell’Italsider per getto pericoloso Il sindaco dell’epoca, esponente del Pci, Cannata inaugurò la tradizione per cui gli enti locali si sono poi sempre ritirati dalla parte civile nei processi. Fu creato questo Fondo d’Impatto Ambientale che non ha portato risultati tangibili. Gli anni ’80 e 90 sono segnati dalla crisi dell’acciaio e della siderurgia italiana, sono gli anni in cui la competivita’ dei mercati mondiali va a vantaggio delle acciaierie sud americane e dell’Est Europa, queste ultime soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino. Sono gli anni in cui la citta’ deve fare i conti con cassintegrazione, disoccupazione e la fine della siderurgia di Stato, quando nel 1995 l’impianto viene acquistato dal gruppo Riva.
Lo stesso Riva si pone subito l’obiettivo di cambiare la “vecchia” classe operaia utilizzando i finanziamenti europei per ristrutturare i processi produttivi in siderurgia. Arrivano grandi flussi di denaro che vengono indirizzati verso i maggiori Paesi produttori di acciaio, e furono utilizzati per incentivare le uscite dei lavoratori verso il pensionamento. Contemporaneamente iniziano le assunzioni di giovani con i famigerati “Corsi di formazione/lavoro”. Allora, la linea delle tre federazioni Fim, Fiom e Uilm nei confronti dei giovani operai, inesperti e del tutto disarmati fu di rinuncia E così furono lasciati in balia dei dirigenti e dei capi, i quali utilizzarono il loro potere, ovviamente, contro le organizzazioni sindacali. Non è un caso che fra pensionamenti e mancate nuove iscrizioni il numero dei sindacalizzati crollo’ verticalmente.
Da un punto di vista politico sono anni pesantissimi; dopo l’egemonia del pentapartito con il susseguirsi di giunte socialiste e democristiane, nel 1993 viene eletto sindaco Giancarlo Cito, che diventera’ noto alle cronache nazionali per il suo atteggiamento fascista e da sindaco sceriffo. E’ il periodo piu’ buio dell’intera storia tarantina dalla seconda guerra mondiale ad oggi.
Quello che invece non cambia ma anzi continua ad essere trascurato e’ il problema dell’inquinamento. In molti quartieri limitrofi del centro siderurgico come i Tamburi e Paolo VI, le percentuali di polveri sottili, inquinanti sono in continuo aumento. Qualcosa pero’ proprio sul finire degli anni ’90 in citta’ comincia a muoversi. Una serie di ricerche, di studi scientifici cominciano a scoperchiare problematiche legate all’ambiente ed al territorio ionico. Tutto questo pero’ si riduce alla semplice denuncia ed alla scelta: o il lavoro o l’ambiente e la salute dei cittadini. E’ proprio questo che ha portato il 30 Marzo 2012 in coincidenza con l’incidente probatorio contro la proprietà e alcuni massimi dirigenti Ilva, accusati di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose ed inquinamento atmosferico.
Le stime pubblicate nel 2010 sui danni causati dall’Ilva, in circa 40 anni di attivita’ sono 12000 morti per cause cardiovascolari e respiratorie, 30000 ricoveri per cause cardiache, respiratorie e cerebrovascolari(4000 ricoveri all’anno circa). Una vera e propria strage.
Ed ecco la data del 30 Marzo, in cui il padrone, cosi’ come gia’ era successo per la Fiat nei primi anni 80 mobilita i lavoratori, non i cosiddetti colletti bianchi ma gli operai a manifestare sotto il Tribunale di Taranto. Una manifestazione massiccia in cui all’ambiente veniva contrapposto il lavoro, tradotto un ricatto, l’ennesimo di una nuova classe operaia poco sindacalizzata. Qui, a mio avviso non sono da contrapporre le questioni ambientali a quelle del lavoro ma cercare di trovare una soluzione a queste problematiche. Oggi sul mercato dell’impiantistica siderurgica ci sono tecnologie che superano il vecchio modo di fare acciaio, che riducano drasticamente le immissioni inquinanti. Questi impianti denominati “COREX” e “FINEX" sono già operanti in vari Paesi del mondo Possono essere delle soluzioni che superino quelle della sinterizzazione, che emettono diossina ed altri polveri sottili in aree abitate. Negli stabilimenti dove sono presenti processi di Corex e di Finex , in cui viene impiegato direttamente il minerale raffinato e la polvere di carbone, il forno di sinterizzazione e la cokeria non sono piu’ necessiarie e c’e’ una notevole riduzione dell’inquinamento: 90% in meno di sostanze tossico-nocive e 98% in meno di contaminazione dell’acqua, oltre a ridurre i costi di energia e di produzione.
Oggi piu’ che mai dopo la sentenza del tribunale, non serve dividersi tra operai ed il resto della citta’. E’ necessario ricompattarsi perche’ i lavoratori sono i primi ad aver subito i danni di un inquinamento voluto dai padroni e dai politici da salotto, buoni solo a fare chiacchiere e null’altro.
Gli operai dell'Ilva hanno già pagato sulla propria pelle, e da tutti i versanti, i crimini del profitto: dalle morti sul lavoro ai casi di cancro in famiglia. E' ora che paghino altri. Nessun posto di lavoro va toccato. La presenza industriale va salvaguardata, anche con la occupazione operaia della fabbrica.
Ovviamente per cambiare il modo di produrre servono investimenti ma ne’Riva, ne’ altri imprenditori di casa nostra sono disposti ad investire. L’unica cosa a cui sono interessanti e’ sfruttare operai e lavoratori. L’unica via di soluzione e’ la nazionalizzazione dell’Ilva di Taranto e di tutti i centri siderurgici italiani sotto controllo operaio. E’ necessario che si diffonda e si moltiplichi anche nella citta’ dei due mari lo spirito del conflitto di classe attraverso la presa di coscienza che solo un governo dei lavoratori, a livello locale e nazionale puo’ cambiare il corso della storia. Qualcosa ha cominciato a cambiare. Nell’ultima tornata elettorale, se ha pur vinto ufficialmente il centro sinistra con il nuovo ‘’sindaco sceriffo’’, il vero vincitore e’ stato l’astensionismo soprattutto nei quartieri periferici e sempre operai. Quartieri che non credono alla favoletta del centro sinistra, da Bersani a Rifondazione, passando da Vendola a Di Pietro. Hanno bisogno di un vero e proprio partito comunista, di un partito realmente rivoluzionario, della nascita di una sezione del Partito Comunista dei Lavoratori, in una citta’ operaia e meridionale. E’ l’augurio che da comunista rivoluzionario faccio alla mia citta’ che mi ha dato i natali.
Fabrizio Montuori
DALLA PARTE DEGLI OPERAI ILVA A TARANTO.
(26 Luglio 2012)
Gli operai dell'Ilva di Taranto difendono giustamente, e incondizionatamente, il proprio posto di lavoro. Ogni tentativo di contrapporre salute e lavoro è indecente.
Gli operai sono stati le prime vittime dell'inquinamento criminale della città. E sono dunque i primi ad essere interessati alla punizione dei responsabili ( a partire da dirigenti e proprietà aziendali),al risanamento del territorio, alla necessaria riconversione dei processi produttivi. Ma non sono disposti ad essere vittima sociale del “risanamento”, dopo essere stati la vittima sacrificale dell'inquinamento.
Gli operai dell'Ilva hanno già pagato sulla propria pelle, e da tutti i versanti, i crimini del profitto: dalle morti sul lavoro ai casi di cancro in famiglia. E' ora che paghino altri. Nessun posto di lavoro va toccato. La presenza industriale va salvaguardata, anche con la occupazione operaia della fabbrica.
Al tempo stesso gli operai non possono farsi usare come scudo umano dal loro padrone contro il resto della città. Né possono pensare che lo stesso padrone Riva, corresponsabile dei crimini ambientali, possa essere un “risanatore” credibile dell'ambiente.
Vi è allora una sola misura radicale che possa insieme tutelare salute e lavoro: la nazionalizzazione dell'Ilva e della siderurgia italiana. Solo la nazionalizzazione del gruppo Ilva, senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori, può consentire insieme una radicale riorganizzazione produttiva e la difesa del posto di lavoro. Solo un massiccio investimento di risorse, pagato dai profitti, e sotto controllo sociale, può consentire insieme una bonifica del territorio cittadino e la continuità della presenza industriale.
Non sarà il governo Monti, massimo fiduciario di industriali e banchieri, a realizzare queste misure di svolta. Solo un governo dei lavoratori potrà realizzarle.
La vicenda dell'Ilva dimostra una volta di più che non c'è soluzione di alcun dramma sociale al di fuori di una prospettiva anticapitalista . Solo la rivoluzione cambia le cose.
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
VENDOLA HA SCELTO LA CAPITOLAZIONE AL PD, BASTIONE DI MONTI
Il funambolismo delle parole non riesce a coprire la realtà dei fatti: Nichi Vendola ha scelto definitivamente la capitolazione al PD. Nel nome del'”alternativa” ha sposato il principale bastione del governo Monti. Dopo infiniti voli pindarici sullo “stato sociale” e sui “diritti dei lavoratori”, ha scelto la capitolazione a un partito che ha votato la distruzione delle pensioni, lo smantellamento dell'articolo 18, i tagli selvaggi a sanità e pubblico impiego. Dopo mille rivendicazioni dei “diritti civili e sociali”, ha aperto al governo con la UDC, partito confessionale e confindustriale. E per di più ha accettato il vincolo della disciplina futura di governo, condizione decisiva di credibilità agli occhi di industriali e banchieri.
Le ambizioni ministeriali di SEL saranno appagate. La domanda di svolta dei suoi militanti ed elettori viene clamorosamente tradita.
Le ambizioni ministeriali di SEL saranno appagate. La domanda di svolta dei suoi militanti ed elettori viene clamorosamente tradita.
Partito Comunista dei Lavoratori
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