La natura del PD renziano e il suo attacco frontale alle ragioni del lavoro hanno aperto un cantiere politico alla sua sinistra. I lavori in corso sono numerosi, quanto i capo mastri o aspiranti tali. Ma cosa si vuole costruire? Le risposte sono diverse: un altro partito di “vero centrosinistra”, una “sinistra” di un centrosinistra da ricostruire, una sinistra “alla Syriza”... Più chiara è la volontà comune: rifare una sinistra capace di “prendere i voti” e di svolgere un ruolo politico significativo.
L'intento è comprensibile. Lo spazio sociale e politico esiste. Ma la confusione ci pare regni sovrana.
Il vuoto a sinistra che si è prodotto in Italia non ha paragoni in Europa. In nessun paese europeo si registra una crisi tanto profonda della rappresentanza politica del lavoro, quali che siano i suoi caratteri e le sue politiche. E' un caso? No. In nessun altro paese europeo la sinistra si è tanto compromessa, e per tanto tempo, con le politiche antioperaie degli avversari dei lavoratori.
Rifondazione comunista, bacino unitario della sinistra politica per 15 anni, ha partecipato per cinque anni ai governi di centrosinistra o alle loro maggioranze: la prima volta fra il 96/98, la seconda a pieno titolo fra il 2006/2008. Nel primo caso si è compromessa nel votare l'introduzione del lavoro interinale, il varo delle maggiori privatizzazioni di tutta l'Europa continentale, le finanziarie “lacrime e sangue” per “entrare in Europa”. Nel secondo caso si è compromessa, ancor più direttamente, nell'abbassamento delle tasse sui profitti (l'Ires dal 34% al 27%), nella preservazione delle leggi sulla precarizzazione del lavoro, nella continuità delle missioni di guerra.
In entrambi i casi questa politica ha non solo colpito il movimento operaio ma ha contraddetto enormi aspettative e speranze che attorno a quel partito si erano raccolte. Sino a distruggerlo.
Ci pare curioso che di questa tragedia non si sia tratto un bilancio. Ancor più curioso che gli stessi gruppi dirigenti responsabili di quella tragedia si candidino a “ricostruire la sinistra” che hanno distrutto. Senza sentire l'esigenza di farsi da parte. Tanto più che negli anni che hanno seguito il crollo del PRC, i responsabili di quel crollo, diversamente collocati, hanno perpetuato in forme diverse la stessa vocazione politica compromissoria.
I gruppi dirigenti di ciò che resta del PRC, scaricati dal PD, hanno preservato ovunque possibile la coalizione col centrosinistra sul piano locale, in Regioni e città. Il sostegno garantito per 10 anni alla giunta ligure di Burlando, e ai suoi tagli alla sanità pubblica, è emblematico. Cofferati è uscito da un PD ligure sostenuto dai voti del PRC di Ferrero.
I gruppi dirigenti di Sinistra Ecologia Libertà hanno custodito la propria collocazione di sinistra del centrosinistra in tutta Italia. Si sono prima subordinati a Bersani, nonostante il suo sostegno a Monti e alla sua macelleria contro lavoro e pensioni. Poi hanno presentato l'emergente Renzi come “speranza della sinistra” per cercare di conservare l'alleanza. Infine hanno scoperto che Renzi è “la destra” quando sono stati scaricati dal renzismo. Non senza continuare a preservare le alleanze di governo con... “la destra” PD nelle amministrazioni locali di Regioni e Città. Anche in quelle che licenziano i lavoratori e si contrappongono agli stessi sindacati (da Milano a Genova a Roma).
Bene. Qual'è oggi la prospettiva politica che avanzano? Un nuovo centrosinistra. Se le parole hanno un senso una nuova alleanza col PD. O meglio, un qualche accorpamento oggi con la “sinistra del PD” (non è chiaro quale) per poter rilanciare con maggior forza una alleanza col PD domani. ►
Non sappiamo quanto sia realistica questa visione. Ma chiediamo: davvero il futuro della sinistra italiana ha nel governo col PD, prima o poi, il proprio destino? Non è stata sufficiente l'esperienza delle compromissioni di governo già consumate negli ultimi 15 anni, per di più in una situazione e in rapporti di forza assai meno deteriorati?
“Fare una Syriza italiana” sembra essere il mantra più diffuso. Appare ragionevole: una sinistra che prende voti, addirittura vincente, e “contro l'austerità”. Invece si tratta dell'ennesima illusione. Che non solo non chiarisce gli equivoci, ma li ripropone intatti l'uno dopo l'altro.
Innanzitutto chiediamoci: perchè la grande ascesa di Syriza? E' un premio elettorale a “una sinistra unita e poco litigiosa”? No. Syriza è una costellazione di 13 organizzazioni divise su tutto, dentro una sinistra greca anch'essa divisa. Il successo di Syriza è il frutto della grande radicalizzazione di massa dei lavoratori e della gioventù greca contro le politiche dominanti. Questa radicalizzazione ha trovato in Syriza una sinistra non compromessa nelle politiche di austerità (a differenza di quella italiana) e quindi un canale di espressione della propria domanda di svolta. In Italia il riflusso del movimento operaio negli anni della grande crisi è stato innescato dalla concertazione politica e sindacale attorno a Prodi. Ne ha beneficiato il populismo reazionario di Grillo e Salvini da un lato o il populismo bonapartista di Renzi dall'altro. In Grecia l'ascesa di massa contro il governo del PASOK ha trovato una sinistra di opposizione e l'ha usata. Ne ha beneficiato Tsipras.
Ma la risposta che Tsipras dà alla domanda di massa che a lui si rivolge risponde all'esigenza di una svolta vera? La nostra previsione è precisa: no, non risponde a quella esigenza.
Tutto lo sforzo di Tsipras sembra quello di tranquillizzare il capitale finanziario europeo. Nessuna rottura con la UE. Nessuna rottura con la Nato. Nessun annullamento del debito pubblico greco. Nessuna nazionalizzazione delle banche. Salvaguardia dell'apparato dello Stato. La proposta è quella di un compromesso sul debito pubblico che ne riduca il peso e perciò stesso ne garantisca il pagamento. Il Financial Times lo ha definito un programma ragionevole. Ma è possibile realizzare la svolta sociale radicale che il dramma greco richiede rispettando il capitalismo greco e il capitalismo europeo? Una parte di Syriza, in dissenso con Tsipras, ritiene di no. E ha ragione.
Il nodo di fondo, in Grecia come in Italia, resta quello di sempre.
Il capitalismo ha fatto fallimento. Ogni formula di governo che in un modo o nell'altro si rassegni ad amministrare il capitalismo, dentro la prigione della sua crisi, non potrà garantire alcuna reale svolta agli sfruttati, indipendentemente dai voti che prende. E finirà prima o poi col compromettere la stessa sinistra e la sua credibilità. Magari spianando la strada alla destra, anche la più pericolosa.
Restiamo inguaribilmente convinti che l'unica sinistra capace di rispondere alla crisi del capitalismo sia una sinistra classista e rivoluzionaria. Classista perché schierata sempre e comunque dalla parte dei lavoratori contro la classe dominanti, i suoi partiti, i suoi governi. Rivoluzionaria, perché mirata a ricondurre ogni lotta di massa alla prospettiva di un governo dei lavoratori, quale unica vera alternativa.
Costruire in ogni lotta la coscienza della necessità di una rottura anticapitalista è il senso stesso della costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) in Italia, del Partito operaio rivoluzionario (EEK) in Grecia, di una Quarta Internazionale rifondata in Europa e nel mondo.
L'intento è comprensibile. Lo spazio sociale e politico esiste. Ma la confusione ci pare regni sovrana.
Il vuoto a sinistra che si è prodotto in Italia non ha paragoni in Europa. In nessun paese europeo si registra una crisi tanto profonda della rappresentanza politica del lavoro, quali che siano i suoi caratteri e le sue politiche. E' un caso? No. In nessun altro paese europeo la sinistra si è tanto compromessa, e per tanto tempo, con le politiche antioperaie degli avversari dei lavoratori.
Rifondazione comunista, bacino unitario della sinistra politica per 15 anni, ha partecipato per cinque anni ai governi di centrosinistra o alle loro maggioranze: la prima volta fra il 96/98, la seconda a pieno titolo fra il 2006/2008. Nel primo caso si è compromessa nel votare l'introduzione del lavoro interinale, il varo delle maggiori privatizzazioni di tutta l'Europa continentale, le finanziarie “lacrime e sangue” per “entrare in Europa”. Nel secondo caso si è compromessa, ancor più direttamente, nell'abbassamento delle tasse sui profitti (l'Ires dal 34% al 27%), nella preservazione delle leggi sulla precarizzazione del lavoro, nella continuità delle missioni di guerra.
In entrambi i casi questa politica ha non solo colpito il movimento operaio ma ha contraddetto enormi aspettative e speranze che attorno a quel partito si erano raccolte. Sino a distruggerlo.
Ci pare curioso che di questa tragedia non si sia tratto un bilancio. Ancor più curioso che gli stessi gruppi dirigenti responsabili di quella tragedia si candidino a “ricostruire la sinistra” che hanno distrutto. Senza sentire l'esigenza di farsi da parte. Tanto più che negli anni che hanno seguito il crollo del PRC, i responsabili di quel crollo, diversamente collocati, hanno perpetuato in forme diverse la stessa vocazione politica compromissoria.
I gruppi dirigenti di ciò che resta del PRC, scaricati dal PD, hanno preservato ovunque possibile la coalizione col centrosinistra sul piano locale, in Regioni e città. Il sostegno garantito per 10 anni alla giunta ligure di Burlando, e ai suoi tagli alla sanità pubblica, è emblematico. Cofferati è uscito da un PD ligure sostenuto dai voti del PRC di Ferrero.
I gruppi dirigenti di Sinistra Ecologia Libertà hanno custodito la propria collocazione di sinistra del centrosinistra in tutta Italia. Si sono prima subordinati a Bersani, nonostante il suo sostegno a Monti e alla sua macelleria contro lavoro e pensioni. Poi hanno presentato l'emergente Renzi come “speranza della sinistra” per cercare di conservare l'alleanza. Infine hanno scoperto che Renzi è “la destra” quando sono stati scaricati dal renzismo. Non senza continuare a preservare le alleanze di governo con... “la destra” PD nelle amministrazioni locali di Regioni e Città. Anche in quelle che licenziano i lavoratori e si contrappongono agli stessi sindacati (da Milano a Genova a Roma).
Bene. Qual'è oggi la prospettiva politica che avanzano? Un nuovo centrosinistra. Se le parole hanno un senso una nuova alleanza col PD. O meglio, un qualche accorpamento oggi con la “sinistra del PD” (non è chiaro quale) per poter rilanciare con maggior forza una alleanza col PD domani. ►
Non sappiamo quanto sia realistica questa visione. Ma chiediamo: davvero il futuro della sinistra italiana ha nel governo col PD, prima o poi, il proprio destino? Non è stata sufficiente l'esperienza delle compromissioni di governo già consumate negli ultimi 15 anni, per di più in una situazione e in rapporti di forza assai meno deteriorati?
“Fare una Syriza italiana” sembra essere il mantra più diffuso. Appare ragionevole: una sinistra che prende voti, addirittura vincente, e “contro l'austerità”. Invece si tratta dell'ennesima illusione. Che non solo non chiarisce gli equivoci, ma li ripropone intatti l'uno dopo l'altro.
Innanzitutto chiediamoci: perchè la grande ascesa di Syriza? E' un premio elettorale a “una sinistra unita e poco litigiosa”? No. Syriza è una costellazione di 13 organizzazioni divise su tutto, dentro una sinistra greca anch'essa divisa. Il successo di Syriza è il frutto della grande radicalizzazione di massa dei lavoratori e della gioventù greca contro le politiche dominanti. Questa radicalizzazione ha trovato in Syriza una sinistra non compromessa nelle politiche di austerità (a differenza di quella italiana) e quindi un canale di espressione della propria domanda di svolta. In Italia il riflusso del movimento operaio negli anni della grande crisi è stato innescato dalla concertazione politica e sindacale attorno a Prodi. Ne ha beneficiato il populismo reazionario di Grillo e Salvini da un lato o il populismo bonapartista di Renzi dall'altro. In Grecia l'ascesa di massa contro il governo del PASOK ha trovato una sinistra di opposizione e l'ha usata. Ne ha beneficiato Tsipras.
Ma la risposta che Tsipras dà alla domanda di massa che a lui si rivolge risponde all'esigenza di una svolta vera? La nostra previsione è precisa: no, non risponde a quella esigenza.
Tutto lo sforzo di Tsipras sembra quello di tranquillizzare il capitale finanziario europeo. Nessuna rottura con la UE. Nessuna rottura con la Nato. Nessun annullamento del debito pubblico greco. Nessuna nazionalizzazione delle banche. Salvaguardia dell'apparato dello Stato. La proposta è quella di un compromesso sul debito pubblico che ne riduca il peso e perciò stesso ne garantisca il pagamento. Il Financial Times lo ha definito un programma ragionevole. Ma è possibile realizzare la svolta sociale radicale che il dramma greco richiede rispettando il capitalismo greco e il capitalismo europeo? Una parte di Syriza, in dissenso con Tsipras, ritiene di no. E ha ragione.
Il nodo di fondo, in Grecia come in Italia, resta quello di sempre.
Il capitalismo ha fatto fallimento. Ogni formula di governo che in un modo o nell'altro si rassegni ad amministrare il capitalismo, dentro la prigione della sua crisi, non potrà garantire alcuna reale svolta agli sfruttati, indipendentemente dai voti che prende. E finirà prima o poi col compromettere la stessa sinistra e la sua credibilità. Magari spianando la strada alla destra, anche la più pericolosa.
Restiamo inguaribilmente convinti che l'unica sinistra capace di rispondere alla crisi del capitalismo sia una sinistra classista e rivoluzionaria. Classista perché schierata sempre e comunque dalla parte dei lavoratori contro la classe dominanti, i suoi partiti, i suoi governi. Rivoluzionaria, perché mirata a ricondurre ogni lotta di massa alla prospettiva di un governo dei lavoratori, quale unica vera alternativa.
Costruire in ogni lotta la coscienza della necessità di una rottura anticapitalista è il senso stesso della costruzione del Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) in Italia, del Partito operaio rivoluzionario (EEK) in Grecia, di una Quarta Internazionale rifondata in Europa e nel mondo.
Partito Comunista dei Lavoratori
Nessun commento:
Posta un commento