L’ultima inaugurazione  di un “cimitero per bambini mai nati” risale a pochissime settimane fa, è  avvenuta a Monopoli, in Puglia, ed è stata seguita, come al solito, da infinite  polemiche. La legislazione in materia risale a trent’anni fa, ma solo da  pochissimi anni, in seguito alla spinta dei movimenti antiabortisti (in  particolare il Movimento per la Vita), comincia ad essere applicata, con grande  gioia dei cattolici. Esistono anche associazioni slegate dalla Chiesa che hanno  contribuito alla realizzazione di questi luoghi, come CiaoLapo, associazione di  genitori che hanno subito un lutto perinatale. La sinistra, invece, si schiera  compattamente contro.  L’utilizzo strumentale di queste iniziative da parte  delle organizzazioni cattoliche, che vorrebbero riconoscere ai feti pieni  diritti e che quindi, come estrema conseguenza, vorrebbero che l’aborto  volontario fosse considerato un omicidio, fa chiudere in trincea tutti coloro  che difendono la 194, che vedono in queste iniziative un ulteriore attacco  morale alle donne. L’esigenza di difendere questo sacrosanto diritto rischia  però di accecare i suoi sostenitori. Pur nella consapevolezza della  strumentalizzazione dei cattolici, bisognerebbe essere più cauti  nell’approcciarsi a certi argomenti. La libertà di scelta, che giustamente  rivendichiamo con forza, dovrebbe valere anche verso chi sente l’esigenza di  seppellire un feto. Se ci soffermassimo un attimo a riflettere sull’argomento  potremmo accorgerci che, dietro la vergognosa strumentalizzazione dei cattolici,  c’è qualcos’altro, un dolore che merita di essere rispettato. Il lutto delle  molte coppie che perdono un figlio prima della nascita non trova spazio in  questa società, rimane inascoltato e crea disagio oltre che dolore. Le  dichiarazioni di fuoco, i sit-in di protesta, non fanno altro che far sentire i  protagonisti di queste dolorose vicende come “pedine” in giochi politici che  avvengono sulla loro pelle. Il punto non dovrebbe essere la legittimità o meno  di un embrione di essere considerato “persona”, ma la legittimità del dolore dei  genitori. Una coppia che desidera un figlio lo ama e lo immagina sin dal momento  in cui appare la lineetta sul test di gravidanza. Essere incinta significa  entrare in una dimensione speciale, piena di progetti e aspettative, colma di  amore, se quel sogno si interrompe il dolore è enorme. Non si tratta dunque di  misurare il grado di sviluppo del feto, ma di accogliere il dolore di una madre  e di un padre. Questo non dovrebbe confliggere in nessun modo con l’esperienza,  diversa, di una gravidanza indesiderata, durante la quale non si prova alcuna  gioia al pensiero che uno spermatozoo sia riuscito a conficcarsi in un proprio  ovulo. Una donna che affronta l’interruzione volontaria di gravidanza senza  rimorso non è certamente un mostro, sono situazioni personali che non possono  essere giudicate. Così come  il desiderio di seppellire il proprio bambino,  morto durante la gravidanza, non dovrebbe sollevare un coro di proteste.  Personalmente l’idea di seppellire un embrione risalente al primo trimestre di  gravidanza mi lascia molto perplessa, in quell’epoca gestazionale non hanno  nemmeno una forma definita, ma non alzerei gli scudi nemmeno su questo. Sono  decisioni private sulle quali è giusto avere la massima libertà di scelta.  Preferirei anche che si abbandonasse l’eccessivo culto del corpo dei morti, non  seppellire un corpo non dovrebbe coincidere con l’impossibilità di vedersi  riconosciuto il proprio dolore, ma sono mie opinioni che non imporrei certo per  decreto ad altri. In generale mi piacerebbe che la cultura di sinistra e  femminista rivelasse una maggiore sensibilità rispetto ai cattolici e alle  destre, che fanno leva sul dolore nel tentativo di obbligare chiunque a  conformarsi alla loro visione della vita. Piangere il proprio bambino nato morto  merita rispetto e non dovrebbe risultare offensivo per le donne che decidono di  abortire, questa grottesca contrapposizione tra “donne che piangono” e “donne  senza rimorso” non fa che alimentare il gioco di chi ci vorrebbe suddivise tra  buone e cattive. Alla base dei rapporti umani invece ci dovrebbe essere soltanto  il rispetto, rispetto per il dolore e rispetto per le scelte  altrui.
Enrica  Franco
Partito Comunista dei Lavoratori
Sezione di Pesaro
 
 


