19/09/10

I nuovi barbari all’attacco dell’immenso tesoro dei Parchi Nazionali




L’anomalia nel sistema capitalistico che i nostri governanti vorrebbero cancellare una volta per tutte

Per difendere l’incommensurabile patrimonio ambientale del nostro Paese sono stati istituiti, dal 1921 e nell’arco di ottant’anni, 24 Parchi Nazionali che proteggono in maniera più o meno efficace i principali ecosistemi della penisola. Purtroppo, nonostante l’importanza delle nostre aree protette, riconosciuta anche in campo internazionale, lo Stato investe solo pochi spiccioli nell’implemento e nella riconversione economica di tale zone, creando di fatto dei Parchi a metà. Le aree protette italiane, infatti, coprono la ragguardevole superficie di 15.000 km2 corrispondente all’8% dell’intera superficie nazionale, comprendenti aree già fortemente antropizzate. L’obiettivo primario resta quindi rendere compatibili le attività umane nelle zone periferiche dei Parchi con le rigide norme conservazioniste delle aree più selvagge ed intatte. Appaiono quindi ridicoli gli stanziamenti di 50 milioni di euro all’anno per l’intera rete dei Parchi, sufficiente a malapena all’autosostentamento della macchina burocratica degli Enti Parco. Non a caso, alcuni autorevoli direttori dei Parchi Italiani, ricoprono l’incarico a titolo gratuito.
Ebbene, con l’ultima finanziaria, il Governo che vuole la deregulation sulla caccia, il nuovo Piano Nucleare, le devastanti Grandi Opere, la cancellazione del V.I.A., il Piano Case etc. ha deciso di dimezzare a 25 milioni l’anno questa già risicata cifra. Il tutto senza alcun risparmio per l’Erario, poiché la legge prevede un piccolo taglio del 10% per il Ministero dell’Ambiente, che continua a percepire 720 milioni l’anno, di cui però, la cifra massima da trasferire ai Parchi Nazionali (il principale strumento di Protezione ambientale del Paese) è stabilita a 25 milioni. Cosa se ne faccia il Ministro Prestigiacomo con il resto dei finanziamenti rimane un mistero. Sembra chiaro quindi che la volontà politica sia un’altra, anche se celata dietro lo spauracchio del risanamento dei conti pubblici: costringere alla chiusura o paralizzare i Parchi Nazionali italiani.
Fin dalla loro istituzione i Parchi sono stati oggetto di attacchi e boicottaggi da parte dell’establishment capitalista e dell’ecomafia, soprattutto utilizzando strumentalmente le resistenze (spesso giustificate) delle popolazioni locali. Si era però sempre trovato un patto di non belligeranza tra gli interessi clientelari delle classi politiche, la necessità di sviluppo turistico di alcune aree del Paese e le convinzioni dei protezionisti più sinceri, che ha permesso la mera sopravvivenza dei Parchi. Compromesso che, malgrado tutto, ha portato al salvataggio in extremis del Pino loricato e dell’Orso bruno marsicano per dirne due. Oggi però l’opposizione di centrosinistra, totalmente impregnata dello stesso spirito rapace del Governo, tace. Inoltre, alcuni partiti ed associazioni (come i Verdi o Legambiente) che avevano a cuore, almeno a parole, la questione dei Parchi, hanno perso consistenza ed autorevolezza a causa delle numerose svolte opportuniste seguite negli ultimi anni. Lo stesso Presidente della Repubblica, l’ex “comunista” (si fa per dire) Napolitano, risponde al disperato appello dei Presidenti dei Parchi con una beffarda missiva in cui, come al suo solito, declina ogni responsabilità e rifiuta di prendere qualsiasi impegno personale in tal senso. Quali condizioni migliori quindi per sferrare l’affondo finale contro gli ultimi baluardi della natura selvaggia in Italia?
Nel 1864 Marsh riscosse grande successo con il suo libro “Man and Nature”, rivoluzionando il naturalismo scientifico, in senso conservazionista. Marsh comprese i pericoli delle rivoluzioni industriali e degli aumenti demografici che di lì a poco avrebbero interessato anche i luoghi più remoti della terra: capì come la Natura non rappresentasse solo una forza oscura da assoggettare od un pozzo senza fondo da cui attingere, bensì una fonte immensa ma comunque limitata di risorse da gestire e conservare per consegnarla integra alle generazioni future. Dopo l’uscita del suo libro in America fu istituito il primo Parco Nazionale del Mondo ed anche grazie all’influenza delle sue teorie in pochi decenni furono adottate le prime norme protezioniste nel nostro paese, culminate con il Regio Decreto a difesa delle foreste italiane nel 1923 ed in vigore tutt’oggi.
Oggi sappiamo che ogni intervento dell’uomo in un ecosistema può produrre gravi sconvolgimenti. L’unica arma di difesa di cui dispone la natura è proprio la biodiversità: la grande varietà di specie, ognuna con una sua particolare “abilità”, e la variabilità genetica (proporzionale alla dimensione delle popolazioni), per cui ogni individuo della stessa specie presenta caratteri diversi dall’altro, aiutano un ecosistema a reagire a qualsivoglia intervento umano o calamità naturale. Inoltre siamo maggiormente consci di quanto la nostra stessa esistenza è legata a doppio filo con la conservazione e l’implemento di questa biodiversità: sia per ragioni di dipendenza economica, energetica, alimentare dalla Natura, sia perché delle catastrofi seguenti uno sconvolgimento ambientale siamo spesso noi stessi a farne le spese.
L’Italia, nonostante la forte antropizzazione, detiene ancora oggi numerosi record mondiali in campo ambientale. Infatti la conformazione geografica (lo stivale attraversa ben 12° di latitudine), l’orografia estremamente varia (dalle profonde grotte carsiche ai 4810 mt del M.te Bianco), la varietà climatica (che spazia dal caratteristico clima mediterraneo sino ai climi nivali delle alpi) ed altri fattori non meno importanti, fanno si che il nostro paese possa vantare una grande biodiversità ed un gran numero di endemismi. La Flora e la Fauna italiane sono le più ricche d’Europa ed abbiamo una percentuale di superficie boscata tra le più alte riscontrabili tra i paesi ad industrializzazione avanzata. Alla luce di ciò, 24 Parchi Nazionali risultano persino insufficienti e vanno quindi difesi a spada tratta. Anche perchè una volta distrutti gli ultimi ecosistemi ancora intatti, sarà impossibile tornare indietro.
I Parchi dovrebbero rappresentare il luogo per eccellenza della Conservazione ecosistemica, dell’implemento delle aree Wilderness, della risoluzione di alcune criticità legate al pericolo di estinzione di animali o piante. L’Italia dovrebbe investire nei Parchi (e non guadagnarne sei euro per ognuno investito come avviene attualmente), per convertire i sistemi economici presenti nelle aree protette e renderli realmente ecocompatibili ma comunque sufficienti al sostentamento delle popolazioni locali. Dovrebbe insomma costruire un’isola totalmente refrattaria ai sistemi produttivi classici del capitalismo. Un’utopia in un sistema economico mondiale così aggressivo e rapace, ed ancor più in Italia dove la rete dei Parchi Nazionali comprende molte zone antropizzate ed industrializzate, spesso in aree del Paese in cui le infiltrazioni mafiose sono più frequenti (come nei numerosi Parchi del Sud e delle Isole).
Sappiamo che in un sistema di produzione regolato dalle leggi del profitto, dove si trascurano i diritti fondamentali degli stessi uomini, non c’è molto spazio per la difesa della natura. L’ambiente, anzi, viene ridotto dal capitalismo a due sole funzioni: quella di farsi depredare indiscriminatamente di tutte le risorse o quella di enorme discarica, cioè il soggetto ideale a cui far pagare la maggior parte delle esternalità negative del nostro sistema produttivo. L’Italia non fa eccezione. Appare chiaro, anzi, che le motivazioni che hanno portato ad istituire i primi Parchi Nazionali, non incontrino la simpatia dell’attuale Governo Italiano di Centro Destra nè dei precedenti di Centro Sinistra. Per i politici, i capitalisti ed i mafiosi italiani, al contrario (tranne alcuni rari “illuminati”), i Parchi hanno rappresentato un fastidioso limite all’avanzata del cemento e della speculazione. Oppure, nella migliore delle ipotesi, uno strumento clientelare di distribuzione delle “poltrone” ai propri amichetti. Perciò vogliono togliere di mezzo questo ostacolo ai propri interessi.
Analogamente a quanto accade in altri campi, i guadagni derivati dalla distruzione dell’Ambiente riguardano solo pochi avidi oligarchi. Le conseguenze disastrose di questo reiterato saccheggio, però, colpiscono l’intera popolazione mondiale, ricadendo in particolar modo proprio sui più deboli e sui più poveri. I comunisti non possono, quindi, che inserire la battaglia per la difesa delle aree protette e della Natura in Italia, in un quadro più generale di rivendicazioni ambientaliste di chiaro orientamento anticapitalista. Come non vogliamo continuare ad essere schiavi del sistema economico mondiale, non permetteremo che i padroni del mondo distruggano il nostro Paese ed il nostro Pianeta con la loro ingordigia. Il patrimonio naturale mondiale non può essere appannaggio di pochi e bisogna incoraggiare una nuova coscienza di classe anche in tal senso. Se non interrompiamo il prima possibile la loro festa, rischiamo di trovarci sepolti dagli scarti del loro banchetto.
Titto Leone

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